ANCHE L’ACCIAIO DEI RIVA VIAGGIAVA OFFSHORE: LA STRANA GIRANDOLA DI SOCIETÀ DEI PADRONI DELL’ILVA (PER AGGIRARE IL FISCO)

Vittorio Malagutti per "l'Espresso"

Travolti da un'ondata di inchieste giudiziarie con accuse che vanno dal disastro ambientale alla corruzione alla frode fiscale, ai Riva tocca l'arduo compito di difendere in Tribunale il loro buon nome di imprenditori. O quel che ne resta. Nel frattempo, però, la famiglia che ha scaraventato l'Ilva nello scandalo di questi mesi, potrebbe iscriversi al campionato mondiale dell'ingegneria finanziaria.

È un campionato che non esiste, ma se mai si disputasse, l'ottuagenario patron Emilio Riva e i parenti tutti avrebbero le carte in regola per fare un'ottima figura e magari per vincere. Nell'arco di una dozzina di anni i padroni dell'acciaieria di Taranto ora commissariata si sono palleggiati aziende e holding con un crescendo impressionante di operazioni finanziarie.

Compratori e venditori sono sempre loro, i Riva, in una girandola di affari di cui riesce difficile capire senso e finalità. Documenti e bilanci esaminati da "l'Espresso" raccontano di quote azionarie che rimbalzano tra l'Italia e il Lussemburgo. Società come Parfinex, Ilva international, Erisider Lux hanno cambiato soci anche più di una volta.

E insieme ai titoli si è mossa anche una montagna di denaro, per un valore complessivo che si misura in miliardi di euro. Solo che i soldi restano in famiglia, passano da una tasca all'altra dello stesso ristretto gruppo di persone, figli e nipoti del fondatore Emilio. E così, alla fine, rimane il sospetto che questo gran polverone serva più che altro a coprire una sorta di gioco delle tre carte finanziario. Quest'ultimo, a sua volta, sembra avere finalità precise: puntellare i bilanci (quando serve), risparmiare sulle tasse e, infine, rendere più complicato per l'osservatore esterno decifrare flussi di denaro e assetti del gruppo.

Sospetti fondati? Vediamo un caso concreto. E partiamo da un episodio recente che riguarda la Riva Acciaio (1.500 dipendenti, oltre un miliardo di ricavi), l'ombrello societario a cui fanno capo tutti gli stabilimenti italiani della famiglia, Ilva esclusa. L'11 settembre scorso l'azienda si è vista bloccare i conti correnti dai magistrati tarantini che indagano sulla gestione del polo siderurgico pugliese.

E il governo, messo sotto pressione da sindacati e Confindustria, è stato costretto a studiare un decreto ad hoc per far ripartire le fabbriche. «Come possiamo pagare banche, dipendenti e fornitori se i giudici bloccano i conti correnti della nostra società?», hanno protestato i Riva tramite i loro legali. Un problemone, in effetti. Anche perché a leggere i conti, si scopre che la famiglia lombarda aveva appena sottoposto a una robusta cura ricostituente la società poi bloccata dai magistrati tarantini.

Il bilancio 2012, infatti, si è chiuso con un utile record di 230 milioni. Merito dell'acciaio? Macché. I soldi sono arrivati dal Lussemburgo: dividendi per 250 milioni circa versati dalla società Stahlbeteiligungen holding, con sede nel Granducato. L'affare vale doppio, perché la Riva Acciaio non ha pagato neppure un euro di tasse su quella maxicedola. Tutto legale, per carità. Lo prevedono le norme varate per evitare la doppia imposizione sui dividendi. Sta di fatto che la Riva Acciaio ha festeggiato un bilancio da record pagando pochi spiccioli di tasse.

C'è di più. Di lì a poco la Stahlbeteiligungen holding, che d'ora in poi, per semplicità, chiameremo Stahl, ha cambiato azionisti. Tutto in famiglia: il 25 per cento di Riva Acciaio è stato girato alla capogruppo Riva Fire, che già possedeva il restante 75 per cento. L'operazione si è conclusa nella forma tecnica della scissione, con l'obiettivo di limitare al minimo indispensabile gli oneri fiscali.

Quello appena descritto, però, è soltanto l'ultimo anello di una catena di affari che comincia addirittura nel 2004. Nel giro di una decina di anni la Stahl ha fatto un lungo viaggio per poi tornare al punto di partenza. È un circolo chiuso. I Riva comprano. I Riva vendono. Vediamo, semplificando al massimo i vari passaggi. Si parte, come detto, nel 2004, quando la Riva Acciaio compra l'intero capitale della holding lussemburghese. Nel ruolo di venditore c'era la Riva Fire con base a Milano in una palzzina alla periferia nord della città.

La Stahl, già all'epoca, giocava un ruolo importante nel complicato organigramma del gruppo siderurgico. Infatti, subito dopo aver comprato l'Ilva messa in vendita dallo Stato, la famiglia Riva aveva pensato bene di trasferire in Lussemburgo una quota del 21 per cento circa della società appena privatizzata. Quella partecipazione era stata assegnata alla Stahl.

Secondo i magistrati milanesi che indagano sulle presunte frodi fiscali dei Riva, la cessione nel Granducato di una parte del capitale di Ilva sarebbe servita, già nel 1997, a spostare denaro esentasse all'estero con destinazione finale una rete di quattro trust costituiti nell'isola di Jersey. Questa però è un'altra storia (e un'altra indagine). Torniamo a seguire il lungo viaggio della Stahl, che nel 2008, quando sono passati meno di quattro anni dalla prima compravendita, è già pronta a prendere la via del ritorno.

Ed ecco, allora, che Riva Fire si ricompra il 75 per cento della società lussemburghese ceduta nel 2004. Nel frattempo la Stahl ha continuato a svolgere il lavoro di sempre. Oltre a controllare una quota dell'Ilva di Taranto e alcune partecipazioni minori, la holding offshore funzionava anche da banca interna al gruppo. Nei conti 2004, per dire, si scopre che la Riva Acciaio ha pagato alla sua controllata in Lussemburgo oltre 26 milioni di interessi su un debito di circa 370 milioni.

La logica è sempre la stessa: il denaro si sposta da un Paese ad elevata tassazione verso un altro dove le imposte societarie sono irrisorie. E a proposito di risparmi fiscali, va segnalato che anche in questo caso la Stahl non è passata di mano con una semplice compravendita. I commercialisti dei Riva, che si affidano da sempre all'importante studio tributario Biscozzi Nobili, hanno consigliato la strada della scissione societaria della venditrice Riva Acciaio. Una strada certamente più tortuosa, ma che in compenso consente di aggirare (legalmente) le tasse.

E come mai Riva Fire si ricompra il 75 per cento di una società che aveva ceduto solo quattro anni prima? Il bilancio 2008 della società acquirente dedica qualche riga alla questione. Si parla di "razionalizzazione dell'attività di detenzione, possesso e gestione delle partecipazioni estere", di "accorciamento della catena di controllo" e di "sviluppo dei flussi di dividendi". Sono tutte esigenze comprensibili e legittime. Il fatto è, però, che solo quattro anni prima i Riva si erano mossi esattamente in senso opposto. E non è ancora finita. Nel 2012 la Riva Acciaio si libera anche dell'ultimo 25 per cento di Stahl, non senza aver prima incassato 250 milioni di dividendi esentasse.

Il cerchio si chiude. L'intero capitale sociale della holding lussemburghese torna alla casella di partenza, cioè alla Riva Fire. Dura poco. Alla fine dell'anno scorso la holding del Granducato passa sotto il controllo della Riva Forni elettrici. Vi gira la testa? Tenetevi forte per il gran finale. La Stahl, infatti, non è più la stessa di un tempo. Giunta alla tappa finale del suo peregrinare, la società lussemburghese si è liberata della quota del 25 per cento dell'Ilva che, come abbiamo visto, possedeva sin dal 1997.

Chi ha comprato? Tanto per cambiare le azioni sono rimaste in casa. Adesso la partecipazione nell'acciaieria di Taranto risulta intestata alla Siderlux, una società lussemburghese costituita ad hoc l'anno scorso.

Il nuovo riassetto, varato mentre sui padroni dell'Ilva si stava scatenando la tempesta giudiziaria, serve a separare il business dei prodotti lunghi da quello dei piani, questo è quanto si legge nei documenti societari.Una vera svolta. Per vent'anni i Riva avevano tenuto le due attività sotto lo stesso cappello. Poi esplode il caso giudiziario e partono le grandi manovre tra Italia e Lussemburgo. Con gran via vai di scatole societarie e milioni. Una semplice coincidenza. O no?

 

EMILIO RIVA - ILVAEMILIO RIVAEMILIO RIVA jpegbanch ilva riva ILVA DI TARANTO IMPIANTO ILVA A TARANTO acciaieria

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni elly schlein

DAGOREPORT - COME DESTABILIZZARE IL NEMICO PIÙ INTIMO? SEGUITE IL METODO MELONI: AD OGNI INTRALCIO CHE SI INVENTA QUEL GUASTAFESTE DI SALVINI, LA MINACCIA DELLA DUCETTA È SEMPRE LA STESSA: ANDIAMO AL VOTO ANTICIPATO E VEDIAMO QUANTO VALE NELLE URNE ‘STO CARROCCIO - QUESTO RITORNELLO MELONIANO DI ANTICIPARE DI UN ANNO LE POLITICHE 2027, PERCHÉ NON LO FA SUO ANCHE ELLY SCHLEIN? ANZICHÉ STAR LÌ A PIAGNUCOLARE DI “SALARIO MINIMO”, DI “POLITICA INDUSTRIALE CHE NON C’È” E DI “CETO MEDIO IMPOVERITO”, SE L’ITALIA VA A PUTTANE, METTA L'ARMATA BRANCA-MELONI IN DIFFICOLTÀ: SI TOLGA L’ESKIMO DA GRUPPETTARA E LANCI LEI A GRAN VOCE UNA BELLA CAMPAGNA FATTA DI SLOGAN E FRASI AD EFFETTO PER CHIEDERE LO SFRATTO DEL GOVERNO, LANCEREBBE COSI' UN GUANTO DI SFIDA ALL’ARROGANZA DELLA DUCETTA, METTENDOLA IN DIFFICOLTÀ E NELLO STESSO TEMPO RIUSCIREBBE A TRASMETTERE AL POPOLO DISUNITO DELL’OPPOSIZIONE UN SENTIMENTO FORTE, AFFINCHE' IL SOGNO DI MANDARE A CASA GIORGIA MELONI POSSA DIVENTARE REALTÀ - SE OGGI, LA STORIA DEI NUOVI MOSTRI POLITICI SI FONDA SULL’IMMAGINARIO, COSA ASPETTA ELLY SCHLEIN A CAMBIARE MUSICA?

orazio schillaci marcello gemmato paolo bellavite ed eugenio serravalle

DAGOREPORT – I DUE NO-VAX NOMINATI NEL COMITATO TECNICO SUI VACCINI SPACCANO FRATELLI D'ITALIA: MONTA IL PRESSING PER FAR DIMETTERE EUGENIO SERRAVALLE E PAOLO BELLAVITE DALL’ORGANISMO – IN MOLTI RITENGONO CHE IL RESPONSABILE POLITICO DELL’IMPROVVIDA DECISIONE SIA MARCELLO GEMMATO, FARMACISTA E POTENTE SOTTOSEGRETARIO ALLA SALUTE MELONIANO – IL MINISTRO ORAZIO SCHILLACI È FRUSTRATO DAI CONTINUI BLITZ POLITICI CHE LO PONGONO DI FRONTE A DECISIONI GIÀ PRESE: NON CONTA NULLA E TUTTI PRENDONO DECISIONI SULLA SUA TESTA. ORA SAREBBE INTENZIONATO A REVOCARE L’INTERO GRUPPO DI LAVORO SE I NO-VAX NON SLOGGIANO. ENTRO 48 ORE…

trump zelensky putin donald volodymyr vladimir

DAGOREPORT – ARMATI DI RIGHELLO, GLI SHERPA DI PUTIN E TRUMP SONO AL LAVORO PER TROVARE L’ACCORDO SULLA SPARTIZIONE DELL’UCRAINA: IL 15 AGOSTO IN ALASKA L’OBIETTIVO DEL TEPPISTA DELLA CASA BIANCA È CONVINCERE PUTIN AD “ACCONTENTARSI”, OLTRE DELLA CRIMEA, DEL DONBASS, RITIRANDOSI PERO' DALLE REGIONI UCRAINE OCCUPATE DALL'ESERCITO RUSSO: KHERSON E ZAPORIZHZHIA (CON LA SUA CENTRALE NUCLEARE) - TRUMP POTREBBE AGGIUNGERE LO STOP ALLE SANZIONI E CHISSÀ CHE ALTRO – PRIMA DI UN INCONTRO PUTIN- ZELENSKY, TRUMP PORTERA' I TERMINI DELLA PACE ALL'ATTENZIONE DEGLI ALLEATI EUROPEI DI KIEV - PER GARANTIRE L'EX COMICO CHE MOSCA NON SGARRERA', MACRON, MERZ E COMPAGNI PROPORRANNO L'INGRESSO DELL'UCRAINA NELL'UNIONE EUROPEA (CHE FA SEMPRE PARTE DELLA NATO) - PER L’ADESIONE UE SERVE L’OK DEI FILO-PUTINIANI ORBAN E FICO (CI PENSERÀ LO ZAR A CONVINCERLI) - UNA VOLTA FIRMATA, DOPO 6 MESI DEVONO ESSERE APERTE LE URNE IN UCRAINA - LA GAFFE: "VENERDI' VEDRO' PUTIN IN RUSSIA...": TRUMP SULLA VIA SENILE DI BIDEN? OPPURE....

antonio decaro michele emiliano roberto fico giuseppe conte elly schlein vincenzo de luca

DAGOREPORT - SCHLEIN E CONTE FANNO CAMPOLARGO (MA SOLO PER LE REGIONALI, PER ORA): DOPO GIANI IN TOSCANA E RICCI NELLE MARCHE, E' FATTA ANCHE PER I 5STELLE ROBERTO FICO IN CAMPANIA E PASQUALE TRIDICO IN CALABRIA (DOVE NON CI SONO CHANCE DI VITTORIA) - L'ULTIMO OSTACOLO RESTA VINCENZO DE LUCA, CHE CHIEDE DI NOMINARE IL FIGLIO, PIERO, SEGRETARIO DEL PD REGIONALE. MA ELLY NON VUOLE FARE LA FIGURA DA PERACOTTARA: FU LEI A COMMISSARIARE IL PARTITO, COME ATTO OSTILE NEI CONFRONTI DEL "CACICCO" DE LUCA, E A FAR FUORI SUO FIGLIO DA VICECAPOGRUPPO ALLA CAMERA - IN PUGLIA, QUEL CROSTONE DI EMILIANO È INDIGESTO A ANTONIO DECARO PER LA VECCHIA STORIELLA DELL'INCONTRO CON LA SORELLA DEL BOSS CAPRIATI, "PADRINO" DI BARI VECCHIA, RACCONTATA DAL GOVERNATORE URBI ET ORBI - VIDEO!

matteo salvini luca zaia alberto stefani luca de carlo

DAGOREPORT - VIA COL VENETO: LISTA ZAIA? E GIORGIA MELONI S'INCAZZA! - SE IMPORRA' IL SUO CANDIDATO, IL FRATELLONE D'ITALIA LUCA DE CARLO, SI RITROVERÀ UN LISTONE "DOGE" CHE PORTEREBBE VIA UN FIUME DI VOTI (E AVREBBE LA MAGGIORANZA DEI SEGGI, COMMISSARIANDO DI FATTO IL GOVERNATORE MELONIANO) - MATTEO SALVINI SPINGE FORTE SUL GIOVANE ALBERTO STEFANI, MA LA DUCETTA NON MOLLA L'OSSO DI CONQUISTARE LA RICCA REGIONE VENETA - IN BARBA AL SUO GROSSO BOTTINO DI CONSENSI, LA FIAMMA NON HA IN TASCA ALCUNA REGIONE DEL NORD (IN LOMBARDIA NON TOCCA PALLA: E' ROBA DI LA RUSSA...)