IL CINEMA DEI GIUSTI - “PER LE TETTE DI GIUNONE”! E ARRIVA ANCHE “POMPEI” A ROVINARE LA MEMORIA DEI PEPLUM (GLI SPETTATORI FANNO IL TIFO PER IL VULCANO)

Marco Giusti per Dagospia

Pompei di Paul S. Anderson.

"Per le tette di Giunone!", "Dolce Cassia", "Parola di Quinto Appius Corvus". Ahi! Avevamo appena lasciato un cafonissimo "Hercules" americano in versione gladiatoria che ci arriva tra capo e collo un altro peplum di poco più raffinato. Ovviamente non italiano, ma di coproduzione americo-tedesca-canadese. Si tratta di "Pompei", diretto dal Paul W.S. Anderson della saga di "Resident Evil" e de "I tre moschettieri", scritto da Janet Scott Batchler e Lee Batchler di "Batman Forever", da Michael Robert Johnson di "Sherlock Holmes" e, sembra, rivisto dal più istruito Julian Fellowes di "Downtown Abbey". Almeno si sarà letto Plinio.

Il tutto è girato in Ontario, tra i castori canadesi, che non ha francamente molto della costa napoletana, anche se il regista giura di essere andato a riprendere il Vesuvio proprio da vicino. In America il film, malgrado i suoi 100 milioni di budget, è stato accolto malamente da un coro di "è dai tempi di Dante's Peak che non si tifava così tanto per il vulcano", "quando partono i titoli di coda l'unica soddisfazione è sapere che non ci sarà un sequel", da critici che ancora non hanno perdonato a Paul W. S. Anderson i suoi film con la moglie Milla Jovovich.

Sarei meno cattivo, anche perché, con tutti i suoi difetti e le sue ingenuità, alla fine il vecchio Vulcano la parte sua la fa sempre, gli effetti speciali funzionano e qualche battuta buona il cinico senatore Corvus di Kiefer Sutherland la azzecca. Come quando alla bella Cassia che gli chiede se si può definire uno sport la mattanza dei gladiatori, risponde con un "Sport? Non è sport, è politica". Come a Sochi e a Kiev, insomma. Anche se l'idea che i cittadini pompeiani vedano i romani come invasori è totalmente ridicola.

Nemmeno i fan salernitani del giovane rapper Rocco Hunt al Festival di Sanremo credo che in fondo la pensino così dei romani (dei napoletani, non so...). Ma la scena del simil De Magistris napoletano che riceve il senatore Quinto Appio Corvo, potente supertrafficone romano legato al nuovo imperatore Tito e gli propone un nuovo piano regolatore con doppio stadio sembra scritta da Travaglio.

Rispetto alle tante versioni della distruzione di Pompei nel 79 d.c. a causa dell'eruzione del Vesuvio, di solito ispirate al romanzo "Gli ultimi giorni di Pompei" di Edward George Bulwer Lytton, come quella a noi più cara diretta da Mario Bonnard e Sergio Leone nel 1959 con Steve Reeves, questa cerca di mettere insieme un po' troppo. Un inizio alla "Conan il barbaro", con l'eroe da piccolo che vede tutta la sua famiglia distrutta dai romani cattivi, poi una storia e dei personaggi alla "Spartacus" (la serie), e una seconda parte costruita come un disaster movie alla "Titanic".

Il tutto nella Pompei ricostruita in Canada e con il solito eccesso di scene di gladiatori che si menano. I romani, si sa, sono cattivi e sadici. Si vogliono anche pappare la bella di turno che è innamorata del nostro eroe. I buoni sono i non romani, dai celti agli stessi pompeiani, anche se i traci, chissà perché, vengono massacrati peggio che in "Totò contro Maciste" ("Vi avevo chiesto sei gladiatori traci, non sei gladiatori froci!"). Così un valoroso e giovane gladiatore, Milo, cioè Kit Harington, il Jon Snow di "Trono di spade", si vuole vendicare dei cattivi romani che hanno completamente distrutto la sua famiglia e la sua tribù di celti equestri.

Trasportato dalla provincia, cioè da Londra, a Pompei, Milo scopre che i fetentoni responsabili del massacro, il senatore Corvus, un Kiefer Sutherland totalmente disinteressato e il suo perfido braccio destro Proculo, Sasha Roiz, si trovano proprio là in visita al sindaco della città, Severus, Jared Harris, figlio di Richard. Ora, Severus e sua moglie Aurelia, la grande Carrie Ann-Moss, hanno una figlia, Cassia, la bella Emily Browning, che piace molto al senatore, anche se a lei il senatore non piace per nulla, e le preferisce il gladiatore Milo, schiavo, gladiatore, ma bono e forzuto.

La storia si complica. Perché, mentre il pubblico di Pompei ha riempito lo stadio per i giochi dei gladiatori neanche se giocasse il Napoli, il Vesuvio inizia a eruttare e sarà pioggia di fuoco e massi in testa per tutti. Il primo numero della stadio, e questo è divertente, vede proprio una sorta di messa in scena gladiatorea delle eroiche gesta romane con i celti romanzate per l'occasione. I romani sono interpretati da un folto gruppo di gladiatori bellicosi, mentre i celti, con tanto di catene, sono rappresentati proprio da Milo e dal suo fedele amico africano Atticus, il cristone Akimmuoye Agbaye.

Così Milo dovrà salvare la bella dalle grinfie di Corvus, farsi la sua vendetta e magari salvarsi la vita proprio durante l'eruzione del vulcano. Il film non può giocare, come la serie di "Spartacus", su sesso e violenza fuori controllo, è un prodotto più indirizzato alla famiglia, ha buone scene d'azione e buoni effetti speciali. Gli attori fanno quel che possono cercando di schivare bombe di fuoco in 3D.

Se Kiefer Sutherland è particolarmente fuori parte bardato da senatore romano trafficone innamorato della bella, il protagonista Kit Harington non è tanto più espressivo. Ai tempi del nostro peplum, si sa, facevamo di meglio, ma a scrivere un film come questo trovavamo oltre a Sergio Leone, Sergio Corbucci e Duccio Tessari, cioè il meglio del nostro cinema d'avventura, un Ennio De Concini. Qualche lettura in più l'aveva fatta. Già in sala.

 

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