DELITTO IN SALSA AGRODOLCE - SI STRINGE IL CERCHIO ATTORNO AI DUE MAROCCHINI KILLER DI TORPIGNATTARA MA LA FUGA DI NOTIZIE DALLA QUESTURA POTREBBE AVERLI GIÀ FATTI SCAPPARE - CRESCONO I DUBBI SULL’ATTIVITÀ DI MONEY TRANSFER (PIÙ O MENO LEGALE) GESTITA DAGLI ZHENG - IL SOSTITUTO PROCURATORE DELLA DIREZIONALE NAZIONALE ANTIMAFIA DIANA DE MARTINO: “LA MAFIA CINESE È COINVOLTA NEL TRAFFICO DI MERCE CONTRAFFATTA E NEL RICICLAGGIO DI DENARO SPORCO”…
1 - ROMA, NOMI E VOLTI DEI DUE KILLER GIÃ NELLE MANI DEI CARABINIERI
Massimo Martinelli per "il Messaggero"
Adesso è un problema di indirizzo. E di tempo. Perché dei due balordi che la sera del 4 gennaio hanno listato a lutto il quartiere di Torpignattara e l'Italia intera, i carabinieri del Comando provinciale sanno tutto. I nomi, la provenienza e quanti anni hanno. E poi i precedenti penali; conoscono le amicizie e i posti che frequentano. Hanno le loro fotografie, riprodotte persino nei telefonini personali. Bisogna solo cercarli in quel chilometro quadrato all'interno del raccordo anulare, sempre ammesso che i due non abbiamo già lasciato la città .
I NOMI DEI KILLER. SONO MAROCCHINI
Il più pericoloso ha 30 anni e precedenti penali per rapina e ricettazione. E' stato già arrestato negli anni scorsi, processato e condannato. Ha scontato la pena e avrebbe dovuto essere fuori dai confini nazionali. Ma come accade di regola in casi del genere, non ha obbedito all'ordine di allontanamento dal nostro Paese e ha proseguito la sua carriera criminale nella periferia romana.
Sulla sua identità non esistono dubbi: nella borsa, sul motorino, persino sul telefonino di Lia Zheng, sono rimaste le stesse impronte digitali che depositò la prima volta che finì in manette. Il suo presunto complice ha vent'anni, anche lui è marocchino e nello schedario interforze del Viminale non ci sono le sue impronte digitali. Significa che non ha precedenti penali. E a inchiodarlo, finora, c'è soprattutto un dato di fatto: è l'amico inseparabile del pregiudicato che ha rovistato nella borsetta.
Le fotografie. Nitide abbastanza da rivelare la loro identità . Sono i fotogrammi della pellicola che scorreva nella telecamera posizionata in una traversa di via Prenestina. Si vedono i due ragazzi che arrivano trafelati, in un orario perfettamente compatibile con quello del fuga. Eccoli che si tolgono il casco. Ecco che dalle mani di quello che era seduto sul sedile posteriore spunta una borsa nera con l'interno bianco, quella di Lia Zheng, la moglie del barista appena ucciso con sua figlia in braccio. Per gli investigatori è la prova regina.
LA COLLABORAZIONE DEL QUARTIERE
Non ci arrivano per caso, i carabinieri, a quel motorino Honda Sh300 parcheggiato in maniera regolare, forse per non dare nell'occhio, nella traversa di via Prenestina. La soffiata arriva dal quartiere. Dalla stessa gente del Pigneto che in passato è scesa in strada per difendere o per bastonare le proprie anime che meritavano l'uno o l'altro trattamento. Accade giovedì 5 gennaio, meno di 24 ore dopo il duplice omicidio ma ampiamente sufficienti per portare alle stelle la rabbia e lo sdegno di quel quartiere multietnico che vive secondo regole sociali non codificate.
GLI INFORMATORI
Le stesse voci (per ora anonime) che hanno consentito di ritrovare lo scooter dal quale sono decollate le indagini potrebbero consentire lo scacco matto finale. Gli uomini del comandante provinciale Maurizio Mezzavilla e del capo del reparto operativo Salvo Cagnazzo hanno tirato fuori tutti i «contatti» a disposizione delle stazioni dei carabinieri della zona.
Si tratta dei cosiddetti informatori: italiani ed extracomunitari che hanno avuto in passato piccoli precedenti penali e che hanno deciso di servire in qualche modo la giustizia, anche per saldare quei vecchi conti in sospeso: galleggiano negli ambienti della microcriminalità , magari vivono di espedienti. Ma al momento giusto possono diventare i campanelli d'allarme per sventare un attentato, o un sequestro di persona. Oppure, gli sherpa per arrivare ai due fuggiaschi del 4 gennaio.
IL MANDANTE
E' il filo che gli investigatori si preparano a tirare per arrivare fino ai due killer. La rapina era su commissione, e su questo la certezza è unanime. I due marocchini sapevano il giorno in cui Zhou Zheng avrebbe avuto una bella somma in tasca. E sapevano anche che era sua abitudine farla custodire alla moglie, nella borsetta nera. Di più: sapevano anche quando sarebbe tornato a casa con la piccola Joy, e immaginavano - sbagliando - che la presenza della bambina lo avrebbe convinto a non opporre resistenza. Quindi esiste una terza persona che conosceva perfettamente abitudini, orari e movimenti di denaro. Questa persona, che certamente il giorno del delitto ha frequentato a lungo il bar della coppia di cinesi, è nel mirino. Potrebbe essere arrestata insieme ai due killer. O addirittura prima di loro.
LE PERQUISIZIONI
Sono scattate non appena il capo del Ris di Roma, Luigi Ripani, ha confermato la sovrapponibilità delle impronte lasciate da uno dei marocchini con quelle depositate nell'archivio del Viminale. I carabinieri del Comando provinciale hanno passato al setaccio le abitazioni di parenti e amici dei due sospettati. Senza esito.
Raccordo blindato. L'unica incognita, quella che ha fatto maledire le fughe di notizie agli investigatori, è l'ipotesi che i due marocchini siano già fuori da Roma. Per questo i carabinieri hanno praticamente sigillato il raccordo anulare e le stazioni ferroviarie. Esiste una rete di controllo invisibile ma capillare, che consente di individuare quasi tutti i volti che salgono sui treni e le targhe in uscita dalle consolari. E poi ci sono quelle foto prese dal video, che ormai moltissimi degli investigatori si riguardano in continuazione sui loro telefonini.
2 - "MAFIA ASIATICA E ATTIVITÃ ILLEGALI: Ã SOLO LA PUNTA DELL'ICEBERG"
Sara Menafra per "il Messaggero"
Del lato oscuro della comunità cinese residente a Roma si sa poco. Pochissimo. Lo spiega subito il sostituto procuratore della direzione nazionale antimafia Diana De Martino che lo scorso 11 ottobre ha presentato alla Commissione parlamentare sulla mafia la relazione sulla criminalità romana assieme ai vertici di piazzale Clodio: «Conosciamo solo la punta dell'iceberg, è una comunità molto chiusa».
L'attenzione degli investigatori al momento è tutta dedicata alla cattura dei killer della piccola Joy e del padre Zhou Zheng. Ma l'attività di money transfer che i Zheng svolgevano parallelamente al bar su via Casilina - non è chiaro quanto legalmente - e la caccia ai clienti che preferivano affidarsi a loro piuttosto che ad uno sportello o ad una banca, ha riacceso i riflettori su un mondo potrebbe aver lambito la vita di Zhou Zheng. Finendo per esporlo all'azione di rapinatori inesperti a caccia di soldi facili.
Dottoressa De Martino, cosa sappiamo con certezza di questo mondo?
Il primo punto da cui partire è che delle attività illegali che toccano la comunità cinese conosciamo solo la punta dell'iceberg. Le denunce che ci arrivano sono pochissime, anche per crimini gravi come le rapine. Nell'ultimo periodo in cui ho lavorato presso la procura di Roma mi sono occupata del sequestro di un bambino a scopo di estorsione. E capimmo subito che la vicenda venne denunciata immediatamente solo perché era avvenuta durante l'orario di lavoro dei genitori, che gestivano un ristorante proprio sotto l'abitazione, altrimenti con ogni probabilità non ne avremmo saputo nulla neppure in quella occasione.
Si parla della presenza sul territorio di famiglie importanti della mafia cinese, che qui hanno una specie di succursale.
I clan cinesi veri e propri si occupano soprattutto del rapporto con la madre patria. In particolare nel traffico di esseri umani che arrivano in Italia con documenti contraffatti o usati più volte per persone diverse.
Ma quanto è esteso il giro di affari illegale? E ci sono legami con la criminalità italiana?
Qualche indicazione interessante ce l'ha data l'operazione Muraglia cinese, nel 2008. Una joint venture tra il clan camorristico dei Giuliano e la mafia cinese. L'organizzazione, attraverso la società immobiliare Dafa Consulenze, aveva monopolizzato la gestione e il controllo delle attività commerciali a Roma. La merce contraffatta partiva dalla Cina e arrivava al porto di Napoli. Veniva stoccata nei magazzini del Napoletano e poi trasferita in alcuni capannoni a Cassino, in provincia di Frosinone.
Ma la stessa società era in grado di fornire servizi al mercato illegale, tra i quali il riciclaggio mediante trasferimento verso l'estero di ingenti somme di denaro. Sappiamo che i soldi da spostare sono molti e provengono da attività di vario genere. In molti casi prevedono intense relazioni commerciali internazionali, come nel caso del traffico dei rifiuti scoperto dalla procura di Roma ormai quasi dieci anni fa, con l'indagine del pm Iasillo.
In tutto questo magma tra legale e illegale che peso ha l'attività di money transfer?
Sicuramente è una attività essenziale per imprese criminali che, in particolare nel caso di quelle cinesi, si occupano di contrabbando e mercato illegale. Ma poi il money tranfer illegale o comunque frazionato viene posto in essere anche solo per evitare le nuove tassazioni sulle transazioni. Nelle ultime inchieste di cui ci siamo occupati veniva attivato usando sia in partenza che in arrivo dei nomi di fantasia, un metodo piuttosto semplice per far transitare ingenti somme di denaro.
Quali altri tipi di attività economiche illegali conosciamo?
Lasciano certamente impressionati le estensioni anche fisiche di capannoni che contengono merce contraffatta o merce prodotta dalle stesse fabbriche che vendono legalmente in Italia, ma diffuse attraverso circuiti paralleli. L'operazione del febbraio 2010 nella periferia romana che ha portato a rintracciare 500mila tonnellate di merce, contenuti in trenta magazzini a loro volta compressi in otto capannoni.








