1. ENTRO I PROSSIMI 5 GIORNI ALESSANDRO SALLUSTI FINIRà AGLI ARRESTI DOMICILIARI! 2. GLI E’ STATO APPLICATO IL DECRETO SVUOTA CARCERI: ERA STATO CONDANNATO A 14 MESI 3. ANCORA NON SI SA SE IL DIRETTORE DE “GIORNALE” POTRA’ SCRIVERE/FARE IL SUO LAVORO 4. HA SCELTO COME DOMICILIO COATTO LA CASA DELLA SUA COMPAGNA DANIELA SANTADECHè 5. “LA POLITICA HA AVUTO DUE MESI PER RIMEDIARE A QUESTA BARBARIE. NON L’HA FATTO” 6. FERRARELLA: “PIÙ CREDIBILI SAREBBERO LE CRITICHE ALLA LEGGE SE I GIORNALISTI AVESSERO SEMPRE RISPETTATO LA DEONTOLOGIA. MA PER GLI ERRORI IN BUONA FEDE, A RIPRISTINARE VERITÀ E ONORE DEL DIFFAMATO, DEVE BASTARE LA RETTIFICA, SENZA QUELLE FURBIZIE CHE TROPPO SPESSO NASCONDONO NELL'ANGOLO DI UN'ULTIMA PAGINA CIÒ CHE DI FALSO ERA STATO GRIDATO IN PRIMA” – GIULIO ANSELMI: “UNA LEGGE INSENSATA”

1. CARO PROCURATORE, NO A SCORCIATOIE E ATTESE DA TORTURA -
LA POLITICA HA AVUTO DUE MESI DI TEMPO PER RIMEDIARE A QUESTA BARBARIE. NON LO HA FATTO

Alessandro Sallusti per Il Giornale (venerdì scorso)

A mezzanotte scade la sospensione dell'ordine di carcerazione emesso nei miei confronti dopo la condanna a dodici mesi per un reato di opinione commesso da altri ai tempi in cui dirigevo Libero.

Inutile ricordare che la cosa ha soltanto due precedenti, Guareschi e Jannuzzi (evitò il carcere con la grazia) nella storia della Repubblica, inutile ricordare come a mio avviso la sentenza sia stata motivata con dei falsi, inutile sostenere, come è, che si tratta di una vendetta nei miei confronti e dell'area politico-culturale cui appartengo da parte di una magistratura ideologica che se la fa e se la mena (la querela è di un pm).

La politica ha avuto due mesi di tempo per rimediare a questa barbarie. Non lo ha fatto. Non pochi senatori si sono prima messi il passamontagna (voto segreto) come comuni rapinatori per confermare il carcere ai giornalisti, poi hanno versato lacrime di coccodrillo approvando un comma ad personam che salva i direttori (ma, paradosso, non me) e infine si sono arenati nelle sabbie mobili. Il nostro Senato l'unica cosa che ha provocato è uno sciopero dei giornali italiani, al quale noi non aderiamo come spiega oggi su questa pagina Vittorio Feltri.

Non parliamo di Napolitano, capo della magistratura, che non ha proferito parola in tutti questi giorni dimostrando di essere quello che è, un rancoroso comunista che pensa così di prendersi una squallida rivincita sulla storia che lo ha visto sconfitto. Non sono da meno il premier Monti, campione di liberismo a parole, e la ministra Severino che evidentemente ha una coscienza che sta alla Giustizia come la mia al greco antico.

Dunque non c'è via d'uscita, devo andare in carcere, è questione di ore. L'ordine lo deve firmare la Procura di Milano, il cui capo è Bruti Liberati. Mi dicono, ho letto su alcuni giornali, che lui non è entusiasta di rimanere con il cerino in mano e fare eseguire una condanna scritta da altri e che sporcherebbe il suo prestigioso curriculum. Procuratore, almeno lei non mi deluda. Ha il dovere di applicare la legge, senza inventare per me scorciatoie o privilegi non richiesti, tipo ulteriori dilazioni, arresti domiciliari diretti o cose del genere.

Glielo dico, glielo chiedo, perché lei non ha il diritto di infliggermi ulteriori pene rispetto a quella erogata. Che sia prolungare l'attesa (a questo punto lei si macchierebbe oltre che di omissione di atti d'ufficio anche del reato di tortura) o che si tratti di farmi entrare in una casta alla quale non voglio appartenere. Non si inventi balle o scuse.

Nelle carceri italiane solo quest'anno sono entrate 6.095 persone con condanne simili alla mia (pena definitiva inferiore ai due anni) e altre diciassettemila potrebbero uscire per fine pena anticipata (residuo inferiore ai due anni). Io non ho alcun diritto di passare davanti a tutti questi disgraziati, neppure all'ultimo marocchino, solo perché dirigo un giornale. Non ci provi, procuratore, perché l'unico patrimonio che abbiamo noi giornalisti sono credibilità e coerenza. Se proprio c'è un problema di sovraffollamento faccia così: scarceri o mandi ai domiciliari un avente diritto con più anzianità di me e così si libera la branda.

Io e gli italiani, signor procuratore, ci aspettiamo che lei faccia fino in fondo il suo lavoro senza guardare in faccia nessuno e si prenda le responsabilità che le competono come io mi sono prese le mie. Se poi, per caso, si dovesse vergognare, sono affari suoi, non miei. Non mi rovini più di quanto abbiano già fatto suoi indegni colleghi. Mi creda, non me lo merito.

2 - FRANCO SIDDI: «COSÌ C'È SQUILIBRIO OBBLIGO DI RETTIFICA PIÙ STRINGENTE»...
Virginia Piccolillo per il "Corriere della Sera"

«Per salvarne uno ne colpiscono cento. E in realtà non salveranno neanche quell'uno, cioè Sallusti, perché le norme ad personam portano jella». Il presidente della Fnsi (Federazione Nazionale della Stampa), Franco Siddi, ricorre anche all'arma della superstizione pur di convincere il Senato ad «affossare» il ddl di modifica della norma sulla diffamazione.

Perché?
«Per evitare una figuraccia terribile al Parlamento, facendo passare una legge mostruosa, squilibrata e incostituzionale che distingue tra giornalisti e direttori. Ed è già all'attenzione dell'Europa perché prevede la pena sproporzionata del carcere per i giornalisti».

Il relatore Pdl del testo, Filippo Berselli, fa notare che c'era già.
«Andrebbe tolto. E comunque anche nelle multe questa legge mette in pericolo i più deboli: i giornali più poveri, i giornalisti meno protetti. Noi una soluzione la proponiamo».

Quale?
«L'obbligo di rettifica entro sette giorni, documentata e riparatrice, come primo elemento di responsabilizzazione di qualsiasi giornalista e principale condizione per il ristoro del diffamato».

L'obbligo c'è già ora ma a volte, come nel caso Sallusti, viene ignorato.
«Infatti questo strumento va reso più incisivo. Con l'istituzione di un giurì: un organismo esterno all'Ordine dei giornalisti, con personaggi autorevoli che possano garantire un controllo immediato della documentazione e dell'applicazione della norma».

Se oggi dovesse passare sarà sciopero?
«Certamente lo sciopero tornerebbe immediatamente in campo».

Cosa vi augurate?
«Che anche il governo faccia la sua parte. Per ora, come è giusto, ha esercitato solo un'azione di moral suasion per un tema che andrebbe trattato dal Parlamento. Ma visto che non è successo nulla spero che il ministro Severino intervenga nell'iter».


3 - GIULIO ANSELMI: «FERMARLA SUBITO SEMBRA FATTA PER VENDETTA»...
Virginia Piccolillo per il "Corriere della Sera"

«Legge insensata e dal sapore di vendetta. Va fermata subito». Giulio Anselmi, storico direttore ora presidente della Fieg (Federazione Italiana editori di giornali), lancia un ultimo appello al Senato: «Noi cerchiamo di fare buona informazione, voi cercate di dare prova di buonsenso».

Finora è sembrato più di vedere prove di forza. È ottimista che ciò possa accadere?
«Ho visto con piacere molti interventi di politici e del ministro Paola Severino, che hanno dato segno di buona volontà».

Basteranno?
«Finora mi è sembrato che si sia dato ascolto più a volontà vendicative. Non sarà un caso se tra quelli più attivi ci siano persone al centro di vicende finite sui giornali non proprio edificanti».

In quali parti del ddl legge l'intento punitivo?
«La mannaia di sanzioni economiche pesanti. O la rettifica ad ogni costo. Ci deve essere, ma fondata sui fatti non sulla pretesa di far pubblicare la prima cosa che passa per la testa di chi, magari a sproposito, si senta diffamato. Mi auguro si faccia una pausa di riflessione».

Ma l'intento dichiarato di «salvare il soldato Sallusti», impone di fare presto.
«Se c'è un'emergenza si abolisca il carcere. Ma per tutti».

Lei che è stato direttore non ha apprezzato la distinzione?
«Per niente, si vuole risolvere il problema di uno, dando una strizzatina d'occhio ai direttori. È un modo di affrontare un tema epocale davvero "micragnoso"».

Cosa intende?
«Noi stiamo cercando di interpretare un'informazione nuova che sta addirittura cambiando il nostro panorama culturale. Pensiamo solo a come cambia il problema della privacy con i siti internet. Ci sono diritti da bilanciare, ma c'è anche la necessità di tener conto dell'evoluzione globale. Qui invece ragioniamo ancora come quando esisteva solo la penna».


4- QUELLE NORME COSÌ SBAGLIATE
Luigi Ferrarella per il "Corriere della Sera"

Sembra quasi che sia un problema dei giornalisti la legge sulla diffamazione che il Senato si appresta a votare oggi. Invece è un problema dei cittadini il coacervo di contraddizioni e irrazionalità precipitate nel testo a forza di colpi di mano e spesso sotto il passamontagna del voto segreto: dalle multe anche di 50.000 euro (tali da ipotecare i bilanci di testate medio-piccole) al divieto di replicare alle rettifiche quand'anche espongano palesi falsità, fino al carcere per il cronista ma non per il direttore quando pure concorrano nella medesima diffamazione.

Questa legge riguarda tutti perché dal diritto di ricevere informazioni, necessarie a operare consapevoli scelte quotidiane, dipende la salute di una società. E per questo un organo di informazione che mente non è solo una bega tra giornalisti, ma un problema che avvelena l'intera collettività e fa perdere ai fatti il loro valore di realtà.

Nel contempo, in tema di libertà di manifestazione del pensiero, la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo raccomanda però che la misura dell'ingerenza punitiva dello Stato sia strettamente proporzionata alla tutela dell'onore e della reputazione, e non sconfini invece in sanzioni di per sé tali da dissuadere i media dallo svolgere il loro ruolo di controllori: perciò Strasburgo non include la diffamazione, ma solo l'istigazione all'odio e alla violenza, tra le circostanze eccezionali che giustificano il carcere per i giornalisti, e boccia persino le pene pecuniarie se sproporzionate nell'entità.

Ecco, dunque, che ad alimentare lo scombinato progetto normativo in cantiere resta solo la parimenti arrogante pretesa di impunità di un certo giornalismo, incline a spacciare le diffamazioni per «reati di opinione» e a chiamare diritto di critica la licenza di attribuire consapevolmente a qualcuno fatti falsi.

Più credibili sarebbero oggi le critiche alla legge se da parte dei giornalisti fosse stato sempre rigoroso il rispetto delle regole deontologiche. Tuttavia bilanciare due diritti garantiti dalla Costituzione non sarebbe impossibile fuori dalla presunzione di farne prevalere in maniera acritica uno sull'altro. In caso ad esempio di errore commesso in buona fede dal giornalista, a ripristinare verità e onore del diffamato gioverebbe, ben più del carcere o di un maxiassegno, un più responsabile esercizio del rimedio della rettifica, senza esagerate rigidità ma anche senza quelle furbizie che troppo spesso nascondono nell'angolo di un'ultima pagina ciò che di falso era stato gridato in prima.

In questi e altri analoghi gesti di autocorrezione nessuno potrebbe denunciare bavagli alla libertà di stampa. A patto che contemporaneamente sia finalmente prosciugata l'opacità dell'odierno (finto) proibizionismo: dando ai giornalisti un diretto e trasparente accesso agli atti della pubblica amministrazione, sulla scia americana del «Freedom of information act» datato 1966 e già nel 1974 contemperato con le esigenze della privacy; e arginando con un contrappasso le cause quanto più temerarie tanto più economicamente intimidatorie, cioè con la previsione di un risarcimento al giornalista in proporzione al valore della maxirichiesta danni che risulti palesemente infondata.

 

 

 

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