1. GRAZIE A FAZIO E A CROZZA BERLUSCONI FESTEGGIA LA PIÙ DIABOLICA DELLE VITTORIE 2. NEANCHE IL CAINANO, IL FANTASMA EVOCATO A PIÙ RIPRESE, IL VERO PROTAGONISTA DELLA SERATA SANREMESE, TRA GAG-ATE CUPE E “VAFFA” AVREBBE OSATO TANTO SPERARE 3. SUL PALCO-GROTTA DELL’ARISTON NON C’È INVENZIONE, SURREALISMO, LAMPO DI GENIO. È TUTTO TELEFONATO, PREVEDIBILE, FATICOSO. GRAZIE A CINQUE AUTORI DOTTORALI, CUPI, MORALISTI CAPITANATI DA MICHELE SERRA. E PER SFASCIARE IL BARACCONE BASTANO DUE PEONES DOTATI DI FISCHIO E FACCIA COME IL CULO PRONTI A SCATTARE DURANTE LA SINISTRA ESIBIZIONE DI CROZZA E MANDARE IN VACCA LA RAI1 DI LEONE 4. LA BEFFA: TOTO CUTUGNO NELLA PARODIA DI IVAN DRAGO CON IL CORO DELL’ARMATA RUSSA

MAURIZIO CROZZA CONTESTATO A SANREMO
http://www.youtube.com/watch?v=lrtVEjqJrt0

DAGOREPORT
La madre (Russia) di tutte le marchette è tornata. Insieme all'armata rossa che non russa e ai dirigenti Rai che non dormono e pescano nel fiume dei diritti tv un bel souvenir d'Italie da appaltare ai fratelli sovietici. Mezz'ora agghiacciante. Un reperto trash già immortale. Con Toto Cotugno a cantare nella lingua di Putin, gli inamidati orchestrali di stirpe moscovita in divisa Beresina a bloccare sguardo e mascelle alle sue spalle nella parodia di Ivan Drago e il ridicolo involontario "spiezzato" in due da una performance in bilico tra i film finanziati dall'Istituto di Cultura a Nikita Mikhalkov e la tv di Bassora ai tempi di Saddam.

Neanche Berlusconi, il fantasma evocato a più riprese, il vero protagonista della serata sanremese, tra una Vodka e una Dacia avrebbe osato tanto. E ora, ad Arcore, superato nella profezia: «Sarà una festa dell'Unità» dai rimpianti sventolati davanti al congiunto terrore Littizzetto-Fazio dal sentimentale autore de "L'italiano": «Viaggio tanto nei paesi dell'Est e sento una nostalgia per la vecchia Unione Sovietica», Berlusconi festeggia la più diabolica delle vittorie. Ottenuta agitando il fantasma della rimonta elettorale.

Preoccupando i committenti romani di stanza al Nazareno e gli attori in trasferta ligure. Quelli che non dubitano. Quelli che non sono ‘organici' ma-alla maniera di Jannacci-il Pd è dentro di loro, l'appartenenza è una cosa seria e la Crociata contro il barbaro di un lungo ventennio, un genere che offre un altro inatteso giro di giostra.

Fazio, Littizzetto e Crozza salgono a bordo senza cinture. Ripetendo un copione da modernariato veltroniano già macerato da sconfitte e illusioni più friabili dell'immutabilità berlusconiana. Il satrapo sperava nella prevedibilità dello schema. I fazisti non lo hanno tradito. Dottorali. Cupi. Moralisti: «Quante belle signore eleganti qui» dice il Silvio di Crozza: «Anche io faccio le cene eleganti ma qui siete diversi, siete tutti vestiti».

Alimentando con un'assenza più efficace di qualsiasi presenza l'incendio della barricata che intona di preferenza una sola nota, per lucrare su Sanremo a Berlusconi è bastato poco. Portare in campo aperto e stimolare da vecchio mestierante il disco rotto della brigata comica che da tre lustri, con le idee in formalina e la fantasia in cantina, occupa i palinsesti con l'ossessione circolare che come illustra Zeman, uccide anche il talento.

Si augurava che parlassero di lui, il commendator Pompetta. È puntualmente avvenuto. Ha mosso l'esca utilizzando la notizia di giornata: «Crozza non tocchi il Papa». Per non perdere l'abbrivio ha poi minacciato l'obiezione di coscienza al canone della Rai comunista. E infine ha fatto abboccare all'amo la partecipata testimonianza di lotta catodica del pueblo dal contratto a nove zeri.

Al resto, una volta mimetizzati nella terra di mezzo delle claque contrapposte del vecchio Ariston un paio di rapidi peones dotati di fischio e faccia come il culo pronti a scattare durante la sinistra esibizione di Crozza, ha provveduto l'emulazione. Più empatica di qualunque ‘suggerimento dalla regia'. In platea non ne potevano più. Il messaggio chiaro, irradiato in 20 milioni di abitazioni, lo spot gratuito, il regalo di Natale fuori tempo massimo a Berlusconi era un grido: «Basta politica». Poi qualche "Vattene via", "Pirla" sparsi, irritazione a macchia di leopardo (per una platea distante dalle prime file spesa di appena 168 euro) e molte urla.

Distonie erroneamente, penosamente addebitate da un Fazio in versione-Claudia Mori: "Grazie al pubblico che ci ha permesso di individuarle" a un paio di comparse prezzolate e che invece somigliavano a chiare spie di qualcosa di spontaneo. Di mai visto. Il manifesto di una saturazione diffusa. Una stanchezza. Una delusione. Il ripudio di un copione già visto e di un brano messo sul piatto troppe volte.

Crozza, l'uomo che avrebbe dovuto salvare il Festival, nei panni di Silvio il gangster. Che scende le scale impomatato, canta un'aria aznavouriana "indimenticable" riscritta da Verdini (capìto la battutona), somiglia forse all'originale e proprio per questo, nella tautologia, non fa ridere mai. Non c'è invenzione, surrealismo, lampo di genio. È tutto telefonato, prevedibile, faticoso: "Faccio Totò o taglio i soldi alla scuola pubblica?". Piovono fischi, Crozza si blocca, è visibilmente sotto choc. Deve intervenire Fazio e anche plasticamente, si sgretola un piccolo mondo antico. Fatto di certezze, presunzioni e pacche sulle spalle.

Nella pause lunghissime e nel calvario della rivolta in diretta si capiva che il fulcro dell'ingranaggio si era rotto. E adesso per ripararlo o ripararsi altrove non c'è più tempo. Per nessuno. Senza rete protettiva ("Ballarò") o pubblici fidati o ammaestrati ("Che tempo che fa") oggi più di ieri, Grillo insegna, si cade. E non si sa dove si finisce. Non è più epoca di fideismi o cambiali al buio. Non è più tempo di bianco o nero.

Nell'indefinitezza cade senza rialzarsi Crozza. Costretto a un doppio, infinito black-out. A due atti sospesi che non si distinguono tra loro. Durante il primo (in un replay del comizio ligure di Celentano all'Ariston), dopo aver mostrato anche al pubblico siberiano gelo, sgomento e sorpresa per la contestazione: «Amici, non è propaganda», Crozza annaspa, cammina sul palco e intimidito, affonda: «Non fate così».

Si rende necessario il salvifico soccorso di Don Fabio: «No ragazzi, così non vale, stiamo calmi sereni e tranquilli. Siamo qui per applaudire uno dei più apprezzati comici italiani, dobbiamo divertirci e non approfittare del festival di Sanremo per farci notare con due urla. Ascoltiamo tutto l'intervento di Maurizio Crozza e poi ognuno dirà la sua» e il comico può riprendere.

Ma tra un sermoncino: «Cosa hanno in comune Sanremo e le elezioni? Chiunque vinca non conta una mazza» e un sillogismo da Transatlantico: «Andremo a votare con un quadro politico totalmente privo di logica. Chiunque governerà lo farà alleandosi con qualcuno che lo ha appena mandato a cagare. Credetemi, siamo ingovernabili» inciampa di nuovo. Deve rientrare Fazio. Il danno è fatto.

Con respiro affannoso, come in trance, comunque ‘groggy' come mai prima d'ora, senza più timone per guidare tra gli iceberg, finalmente Crozza scivola su Bersani, Ingroia e Montezemolo truccato dallo scarparo Della Valle. Si smarca dall'incubo. Pare concludere in crescendo. Ma volto, cera e commiato dicono il contrario. Lo applaudono tutti, anche in piedi, ma è tardi. Esce di scena con l'abbraccio di consolazione di Fazio e la netta sensazione del flop epocale.

Per salvare la pelle bastava che la nazionale degli autori democrat capitanata da Michele Serra, una nutritissima pattuglia (Claudio Fasulo, Pietro Galeotti, Massimo Martelli, Francesco Piccolo, Marco Posani) suggerisse a Crozza dopo lo stanco show della Littizzetto su Imu e dintorni di non iniziare la sua estenuante mezz'ora proprio con la demolizione di Berlusconi ma piuttosto di partire con Bersani e finire col Banana. Come non detto.

E ora, inseguita da un collettivo ordine di cattura dell'Interpol, dall'affettuoso desiderio di ospitalità delle galere di Bolzaneto e dalle proteste automatiche del Pdl, la nave sanremese è alla deriva. Al di là dei lautissimi ascolti favoriti dalla concorrenza e dall'indecifrabilità complessiva della nebuolosa chiamata Auditel, si può parlare di disastro concettuale.

Per conquistare gli indecisi al voto, illuminare gli agnostici o recuperare voti alla causa dei buoni, Sanremo, molto più del Santoro di La7, fa rima con Waterloo. Lo dicono le impressioni. Lo certificano frammenti di tv balcanica in prima serata Rai.

Toto Cotugno, ipercinetico, riadatta una fortunata notte di trent'anni fa: "Lasciatemi cantareee, con la chitarra in manooo, lasciatemi cantare sono un italiano". Fazio omaggia Giuseppe Verdi in un incipit da requiem. "Popolare non è necessariamente sinonimo di scarsa qualità" giura Fabione, ma forse mente. Il resto è acre odore di incenso per il funerale di Stato che si rinnova di stagione in stagione da 63 anni.

Senza più bellezze, canzoni e arte (buono il solo Silvestri) bisognerebbe chiudere. Senza soldi o soldati di ventura alla Benigni, che pur nel cabotaggio dell'esibizione a gettone, a Berlusconi sapeva far male, sarebbe opportuno evitare di replicare l'ossidato modello dell'appello calato dall'alto in vista dell'ennesima emergenza democratica. Dell'ennesimo al lupo al lupo travestito da gara canora. Invece si andrà avanti. Senza le stelle, precipitando verso lo stallo di sistema.

Robertaccio costava e i rubli non bastavano. Allora via di risulta e canovaccio consueto, con lo spettro del Mulino Bianco all'orizzonte e il breviario della correttezza civile in rapida declinazione. I gay che con sorriso imbalsamato raccontano la loro esperienza amorosa per cartelli con sottofondo di musica classica (e ti chiedi se per dar voce al matrimonio di contrabbando a New York, c'era proprio bisogno della pseudo poesia del cartellismo alla Dylan-Ginsberg).

I calciatori neri ma "italiani" come Angelo Ogbonna del Torino accolto da un Cotugno gioviale e ‘spiritoso' «Io tifo per il Milan, lì c'è uno come te, Balotelli» in linea con il loquace Paolo Berlusconi che recentemente, con «affetto», aveva definito Supermario il «negretto preferito di famiglia».

La tutela delle donne che in una notte di febbraio, con le peggiori intenzioni, la gioiosa macchina da guerra del servizio pubblico televisivo e i guru di settore consegnano, insieme a tutto il resto delle macerie, a Silvio. Quello che chiede di mostrare il lato B, domanda alle fanciulle quante volte vengano e dal 1994, godendo con lo stesso collaudato brevetto di ieri, prende italiani e stranieri, avversari e apologeti, per il culo.

 

 

SANREMO MAURIZIO CROZZA CONTESTATO SANREMO MAURIZIO CROZZA CONTESTATO SANREMO LESIBIZIONE DI MAURIZIO CROZZA jpegSANREMO PRIMA SERATA jpegSANREMO LESIBIZIONE DI MAURIZIO CROZZA jpegSANREMO PRIMA SERATA jpegSANREMO PRIMA SERATA jpegSANREMO PRIMA SERATA jpegSANREMO LESIBIZIONE DI MAURIZIO CROZZA jpegSANREMO PRIMA SERATA jpegFABIO FAZIO IN MEZZO AL CORO DELL'ARMATA ROSSASANREMO MAURIZIO CROZZA CONTESTATO SANREMO LESIBIZIONE DI MAURIZIO CROZZA jpegSANREMO LESIBIZIONE DI MAURIZIO CROZZA jpegSANREMO PRIMA SERATA jpegSANREMO LESIBIZIONE DI MAURIZIO CROZZA jpegSANREMO LESIBIZIONE DI MAURIZIO CROZZA jpeg

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ignazio la russa

DAGOREPORT - LA RISSA CONTINUA DI LA RUSSA - L’ORGOGLIOSA  CELEBRAZIONE DELL’ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE DEL MOVIMENTO SOCIALE, NUME TUTELARE DEI DELLE RADICI POST-FASCISTE DEI FRATELLINI D'ITALIA, DI SICURO NON AVRÀ FATTO UN GRANCHÉ PIACERE A SUA ALTEZZA, LA REGINA GIORGIA, CHE SI SBATTE COME UN MOULINEX IN EUROPA PER ENTRARE UN SANTO GIORNO NELLE GRAZIE DEMOCRISTIANE DI MERZ E URSULA VON DER LEYEN - DA MESI 'GNAZIO INTIGNA A FAR DISPETTI ALLE SORELLE MELONI CHE NON VOGLIONO METTERSI IN TESTA CHE A MILANO NON COMANDANO I FRATELLI D'ITALIA BENSI' I FRATELLI ROMANO E IGNAZIO LA RUSSA – DALLA SCALATA A MEDIOBANCA ALLA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA, DAL CASO GAROFANI-QUIRINALE ALLO SVUOTA-CARCERI NATALIZIO, FINO A PROPORSI COME INTERMEDIARIO TRA I GIORNALISTI DI ‘’REPUBBLICA’’ E ‘’STAMPA’’ E IL MAGNATE GRECO IN NOME DELLA LIBERTÀ D’INFORMAZIONE – L’ULTIMO DISPETTUCCIO DI ‘GNAZIO-STRAZIO ALLA LADY MACBETH DEL COLLE OPPIO… - VIDEO

brunello cucinelli giorgia meloni giuseppe tornatore

A PROPOSITO DI…. TORNATORE – CRISI DEL CINEMA? MA QUALE CRISI! E DA REGISTA TAUMATURGO, NOBILITATO DA UN PREMIO OSCAR, CIAK!, È PASSATO A PETTINARE IL CASHMERE DELLE PECORE DEL SARTO-CESAREO CUCINELLI - MICA UN CAROSELLO DA QUATTRO SOLDI IL SUO “BRUNELLO IL VISIONARIO GARBATO”. NO, MEGA PRODUZIONE CON UN BUDGET DI 10 MILIONI, DISTRIBUITO NELLE SALE DA RAI CINEMA, ALLIETATO DAL MINISTERO DELLA CULTURA CON TAX CREDIT DI 4 MILIONCINI (ALLA FINE PAGA SEMPRE PURE PANTALONE) E DA UN PARTY A CINECITTA' BENEDETTO DALLA PRESENZA DI GIORGIA MELONI E MARIO DRAGHI - ET VOILÀ, ECCO A VOI SUI GRANDI SCHERMI IL “QUO VADIS” DELLA PUBBLICITÀ (OCCULTA) SPACCIATO PER FILM D’AUTORE - DAL CINEPANETTONE AL CINESPOTTONE, NASCE UN NUOVO GENERE, E LA CRISI DELLA SETTIMA ARTE NON C’È PIÙ. PER PEPPUCCIO TORNATORE, VECCHIO O NUOVO, È SEMPRE CINEMA PARADISO…

theodore kyriakou la repubblica mario orfeo gedi

FLASH! – PROCEDE A PASSO SPEDITO L’OPERA DEI DUE EMISSARI DEL GRUPPO ANTENNA SPEDITI IN ITALIA A SPULCIARE I BILANCI DEI GIORNALI E RADIO DEL GRUPPO GEDI (IL CLOSING È PREVISTO PER FINE GENNAIO 2026) - INTANTO, CON UN PO’ DI RITARDO, IL MAGNATE GRECO KYRIAKOU HA COMMISSIONATO A UN ISTITUTO DEMOSCOPICO DI CONDURRE UN’INDAGINE SUL BUSINESS DELLA PUBBLICITÀ TRICOLORE E SULLO SPAZIO POLITICO LASCIATO ANCORA PRIVO DI COPERTURA DAI MEDIA ITALIANI – SONO ALTE LE PREVISIONI CHE DANNO, COME SEGNO DI CONTINUITÀ EDITORIALE, MARIO ORFEO SALDO SUL POSTO DI COMANDO DI ‘’REPUBBLICA’’. DEL RESTO, ALTRA VIA NON C’È PER CONTENERE IL MONTANTE ‘’NERVOSISMO’’ DEI GIORNALISTI…

john elkann lingotto fiat juventus gianni agnelli

A PROPOSITO DI… YAKI – CHI OGGI ACCUSA JOHN ELKANN DI ALTO TRADIMENTO NEL METTERE ALL’ASTA GLI ULTIMI TESORI DI FAMIGLIA (“LA STAMPA” E LA JUVENTUS), SONO GLI STESSI STRUZZI CHE, CON LA TESTA SOTTO LA SABBIA, IGNORARONO CHE NEL FEBBRAIO DEL 2019, SETTE MESI DOPO LA SCOMPARSA DI MARCHIONNE, IL NUMERO UNO DI EXOR E STELLANTIS ABBANDONÒ LA STORICA E SIMBOLICA “PALAZZINA FIAT”, LE CUI MURA RACCONTANO LA STORIA DEL GRUPPO AUTOMOBILISTICO. E SOTTO SILENZIO (O QUASI) L’ANNO DOPO C’ERA STATO LO SVUOTAMENTO DEL LINGOTTO, EX FABBRICA EMBLEMA DELLA FIAT – LA PRECISAZIONE: FONTI VICINE ALLA SOCIETÀ BIANCONERA SMENTISCONO QUALSIVOGLIA TRATTATIVA CON SAUDITI...

giorgia meloni matteo salvini

DAGOREPORT – ESSÌ, STAVOLTA BISOGNA AMMETTERLO: SULLA LEGGE DI BILANCIO MATTEO SALVINI HA PIÙ DI QUALCHE SACROSANTA RAGIONE PER IMPEGNARSI A MORTE NEL SUO RUOLO DI IRRIDUCIBILE SFASCIACARROZZE DELLA MARCHESINA DEL COLLE OPPIO (“IL GOVERNO SONO IO E VOI NON SIETE UN CAZZO!’’) - DIETRO UNA FINANZIARIA MAI COSÌ MICRAGNOSA DI 18 MILIARDI, CHE HA AFFOSSATO CONDONI E PENSIONI CARI A SALVINI, L’OBIETTIVO DELLA DUCETTA È DI USCIRE CON UN ANNO IN ANTICIPO DALLA PROCEDURA DI INFRAZIONE PER DEFICIT ECCESSIVO ATTIVATA DALL'EUROPA NEL 2024. COSÌ SARÀ LIBERA E BELLA PER TRAVESTIRSI DA BEFANA PER LA FINANZIARIA 2026 CHE SARÀ RICCA DI DEFICIT, SPESE E "MENO TASSE PER TUTTI!", PROPRIO IN PERFETTA COINCIDENZA CON LE ELEZIONI POLITICHE 2027 – OVVIAMENTE LA “BEFANA MELONI” SI PRENDERÀ TUTTO IL MERITO DELLA CUCCAGNA, ALLA FACCIA DI LEGA E FORZA ITALIA…

moravia mussolini

‘’CARO DUCE TI SCRIVO...’’, FIRMATO ALBERTO MORAVIA - “AMMIRO L'OPERA DEL REGIME IN TUTTI I VARI CAMPI IN CUI SI È ESPLICATA E IN PARTICOLARE IN QUELLO DELLA CULTURA. DEBBO SOGGIUNGERE CHE LA PERSONALITÀ INTELLETTUALE E MORALE DELLA ECCELLENZA VOSTRA, MI HA SEMPRE SINGOLARMENTE COLPITO PER IL FATTO DI AVERE NEL GIRO DI POCHI ANNI SAPUTO TRASFORMARE E IMPRONTARE DI SÉ LA VITA DEL POPOLO ITALIANO” (1938) - LE 998 PAGINE DEI “TACCUINI” DI LEONETTA CECCHI PIERACCINI SONO UNA PREZIOSISSIMA MEMORIA, PRIVA DI MORALISMO E DI SENTIMENTALISMO, PER FICCARE IL NASO NEL COSTUME DELL’ITALIA LETTERARIA E ARTISTICA FINITA SOTTO IL TALLONE DELLA DITTATURA FASCISTA - DAL DIARIO DI LEONETTA PIERACCINI, SPICCANO LA VITA E LE OPERE E LA SERVILE E UMILIANTE LETTERA A MUSSOLINI DEL “SEMI-EBREO” ALBERTO PINCHERLE, IN ARTE MORAVIA – ALTRA NOTA: “SIMPATIA DI MORAVIA PER HITLER. EGLI DICE CHE DEGLI UOMINI POLITICI DEL MOMENTO È QUELLO CHE PIÙ GLI PIACE PERCHÉ GLI PARE NON SIA MOSSO DA AMBIZIONE PERSONALE PER QUELLO CHE FA...”