carlo de benedetti giovanni valentini il romanzo del giornalismo italiano

L’INGEGNERE HA PAGATO CARISSIMA LA SUA VANITÀ – GIOVANNI VALENTINI, NEL SUO SAGGIO “IL ROMANZO DEL GIORNALISMO ITALIANO”, RACCONTA LA FALLIMENTARE SCALATA DI CARLO DE BENEDETTI ALLA SOCIÉTÉ GENERALE DEL BELGIQUE NEL 1988: “CON LA SPREGIUDICATEZZA E L'ARROGANZA CHE GLI HANNO FATTO PERDERE TANTE SFIDE FINANZIARIE, L'INGEGNERE ERA PARTITO DA TORINO PER ANDARE A BRUXELLES CON UNA SCATOLA DI CIOCCOLATINI PEYRANO SOTTO IL BRACCIO E UNA SPAVALDA DICHIARAZIONE CHE GLI SAREBBE COSTATA CARA: ‘LA RICREAZIONE È FINITA!’” – L’ACQUISTO “STRAPAGATO” DELL’“ESPRESSO”, CHE FRUTTÒ A SCALFARI UNA “PACCATA DI SOLDI”: “COSÌ L'INGEGNERE FECE STAMPARE ‘EDITORE’, SOTTO IL SUO NOME E COGNOME, SUL BIGLIETTO DA VISITA”

Estratto da “Il romanzo del giornalismo italiano” di Giovanni Valentini (ed. La nave di Teseo), pubblicato dal “Fatto quotidiano”

 

carlo de benedetti

Era il 18 gennaio del 1988 quando Carlo De Benedetti, ancora socio di minoranza del Gruppo editoriale L'Espresso, annunciò a Parigi la scalata alla Société générale de Belgique. La holding belga, fondata a Bruxelles nel 1822, possedeva mezzo Congo attraverso partecipazioni in vari settori: carbone e siderurgia come nell'Ottocento, ma anche trasporti, chimica, tessile, cemento, costruzioni metalliche.

 

Negli ambienti di sinistra, veniva considerato l'archetipo del capitalismo disumano, ossessionata dalla sete di denaro, ma nello stesso tempo accusata di essere un ente rigido e burocratico, allergico all'innovazione. Un boccone prelibato, dunque, per l'Ingegnere, istigato dal suo chaperon Bernard Guetta, giornalista francese esperto di geopolitica.

 

A quella data, come raccontò Giuseppe Turani in un articolo pubblicato su L'Espresso in aprile, De Benedetti aveva già comprato il 18 per cento delle azioni della Vieille Dame, com'era chiamata la Sgb, e si apprestava a lanciare un'Opa per il 15%. “In questo modo”, spiega Turani, “sarebbe arrivato al 33% e si sarebbe posto come azionista di riferimento, in pratica come padrone e gestore.”

 

GIOVANNI VALENTINI - IL ROMANZO DEL GIORNALISMO ITALIANO

Ma, a tre mesi di distanza, che cosa rimaneva dell'atmosfera eccitata di quei giorni? “Nulla, soltanto tre fallimenti”, rispondeva Turani nel suo articolo. Con la spregiudicatezza e l'arroganza che gli hanno fatto perdere tante sfide finanziarie, l'Ingegnere era partito da Torino per andare a Bruxelles con una scatola di cioccolatini Peyrano sotto il braccio e una spavalda dichiarazione che gli sarebbe costata cara: “La ricreazione è finita!” Fatto sta che quelle vecchie volpi degli azionisti di Sgb, durante il fine settimana, decisero un aumento di capitale per diluire così la quota di De Benedetti.

 

Per lui, quindi, il primo fallimento fu quello di essere costretto a puntare sul 51%, con una spesa molto più alta. Il secondo, non avendo raggiunto quell'obiettivo, consisteva nel fatto che l'Ingegnere non aveva più il controllo della Società e, anzi, nemmeno un consigliere al vertice della holding. E il terzo fallimento, concludeva Turani, era stato quello di trovarsi di fronte all'ipotesi di una cogestione: uno smacco per un finanziere come lui, abituato ad avere pieni poteri ea comandare anche solo con il 25%.

 

eugenio scalfari carlo caracciolo carlo de benedetti

La scalata alla Sgb era stata un tentativo scaltro e audace, fallito per una scatola di cioccolatini. Fu proprio quello, Lo smacco, il titolo della nostra copertina, con una foto d'archivio in cui De Benedetti appariva seduto su una poltroncina gialla, affranto, piegato in due con la fronte poggiata su una mano e una cartellina verde nell'altra. Il giorno stesso in cui uscì L'Espresso mi chiamò al telefono inviperito, coprendomi di improprii.

 

A farlo infuriare di più era stata l'immagine che lo ritraeva in un atteggiamento di sconforto, non riusciva a coglierne il significato e l'effetto simbolico: “Che cosa c'entra quella foto con tutta questa storia? Dove l'avete presa? È un affronto personale!”.

 

eugenio scalfari carlo de benedetti

Al contrario, Caracciolo gongolava di divertimento. E si complimentò con me per quella copertina. Lui aveva il pregio della souplesse e la classe aristocratica del Principe rosso. Ma soprattutto era un editore per mestiere e passione civile. E poi, il triplice fallimento dell'operazione non doveva essere dispiaciuto neppure al suo cognato, Gianni Agnelli. In realtà, il primo titolo che avevamo predisposto era Waterloo. All'ultimo momento, però, preferii cambiarlo per non infierire su CdB, come lo chiamavano in codice Carlo ed Eugenio con una certa nonchalance.

 

La bozza della copertina originaria, riprodotta a colori su carta lucida, rimase nella vaschetta di plastica sulla mia scrivania, fino al termine della mia direzione. E lì la lasciai, in eredità al mio successore Claudio Rinaldi, insieme a un'altra – a suo modo storico – che avevamo pubblicato il 14 febbraio '88 e di cui andavo particolarmente fiero.

 

EZIO MAURO - EUGENIO SCALFARI - CARLO DE BENEDETTI

Raffigurava il Governatore della Banca d'Italia, Carlo Azeglio Ciampi, seduto su una poltrona di velluto rosso sullo sfondo di una spiaggia caraibica. Il titolo di quel fotomontaggio recitava Ultima spiaggia. Nel mio editoriale, intitolato a sua volta Il governo del Governatore, di fronte alla caduta di Giovanni Goria, al disfacimento del sistema politico e al “ballo” della lira sui mercati internazionali, auspicavo la nomina di Ciampi a presidente del Consiglio.

 

Lui allora mi telefonò: “Lei sa che non sono abituato a chiamare i direttori dei giornali. Ma questa copertina mi ha colpito. Vorrei sapere se è una tua idea o se hai raccolto qualche 'voce' sul mio conto.” “No, più che un'idea è una nostra proposta. Un pallone da prova. Ma noi ci auguriamo proprio che si realizzi”, gli risposi.

 

GIOVANNI VALENTINI 1

Passarono cinque anni prima che l'ex governatore fosse chiamato a Palazzo Chigi. Poco tempo dopo l'elezione a Capo dello Stato nel '99, il presidente mi fece invitare a cena al Quirinale e, salendo la scaletta per raggiungere l'altana da dove si vede tutta Roma, m'intimò amabilmente: “Da stasera, mi devi osare del tu. Altrimenti, non t'invito più!”.

 

L'ultima volta che lo incontrai quando era ancora in carica, nella tenuta di Castel Porziano, mi congedò tenendomi i polsi con le mani: “Mi raccomando! Tu sei il più giovane della vecchia guardia”.

 

L'avvento di CdB

carlo de benedetti

Una brutta mattina del 1989 Scalfari convocò Marco Benedetto e me a Repubblica per annunciarci formalmente la decisione di cedere il Gruppo a De Benedetti. Fu un discorso scarno e rapido, durante il quale Eugenio tradì una qualche emozione: “Io, come sapete, non ho eredi maschi. Le mie due figlie non hanno alcuna intenzione di occuparsi di editoria. Ormai il Gruppo s'è allargato troppo per continuare a fare da solo e ha bisogno di rafforzarsi sul piano finanziario. De Benedetti è già nostro socio, è un amico e credo che sia la persona migliore alla quale possiamo passare il testimone”.

 

Per quanto la “voce” circolasse da tempo, per noi fu un colpo di scena. Marco e io ammutolimmo. L'operazione era decisa e non restava altro che prenderne atto. Spiega Paolo Panerai, giornalista e fondatore della Casa editrice Class, nel suo libro intitolato Le mani sull'informazione: “Quotato in Borsa, forte di un settimanale (L'Espresso, nda) che da poco aveva raggiunto l'apice della sua fortuna superando Panorama – e non se ne vedevano ancora le crepe – ricco del 50% di quello che sarebbe diventato il secondo quotidiano italiano di fatto gestito da Caracciolo e Scalfari nonostante la governance dell'alternanza ai vertici del consiglio con gli uomini della Mondadori, il gruppo L 'Espresso-Repubblica era il target ideale per De Benedetti, sempre più schierato politicamente a sinistra”.

 

carlo de benedetti eugenio scalfari

Eugenio aveva prevenduto la sua quota strategica, la seconda del patto di sindacato dopo quella di Caracciolo, spuntando per lealtà le stesse vantaggiose condizioni per lui e per gli altri soci: Aldo Bassetti, estromesso a suo tempo dalla sua famiglia per aver acquistato azioni dell' Caffè espresso; Cristina Busi, vedova dell'imprenditore bolognese concessionario della Coca-Cola in Emilia Romagna, compresa la Riviera adriatica; l'industriale farmaceutico, Claudio Cavazza, inventore della carnitina che – secondo la leggenda – aveva consentito alla nostra Nazionale di calcio nel 1982 di vincere i Campionati del mondo in Spagna e grande collezionista di opere d'arte; Mario Ciancio, direttore-editore del quotidiano La Sicilia di Catania, proprietario di alcune emittenti televisive e poi della Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, destinato a diventare nel '96 presidente della Fieg (la Federazione editori di giornali) con l'appoggio del Principe rosso.

 

carlo de benedetti eugenio scalfari

A Scalfari, l'affare fruttò circa 80 miliardi delle vecchie lire su un totale di 450: una “paccata di soldi”, come gli avrebbe rinfacciato in seguito De Benedetti in un'infelice e sgradevole sortita televisiva, nel gennaio 2018, durante la trasmissione Otto e mezzo di Lilli Gruber su La7. Ma anche Caracciolo ei soci minori, in virtù della mossa di Eugenio, realizzarono un bel guadagno. Così l'Ingegnere strapagò l'acquisto del Gruppo L'Espresso e potrà finalmente far stampare “Editore”, sotto il suo nome e cognome, sul biglietto da visita.

carlo de benedetti al festival della tv di dogliani 2023 GIOVANNI VALENTINI Giovanni Valentini con Eugenio Scalfari (1984) EUGENIO SCALFARI - GIANNI ROCCA - MAURO BENE - GIOVANNI VALENTINI REPUBBLICA carlo de benedetti saluta eugenio scalfari

Ultimi Dagoreport

donald trump vladimir putin giorgia meloni

DAGOREPORT - IL VERTICE DELLA CASA BIANCA È STATO IL PIÙ  SURREALE E “MALATO” DELLA STORIA POLITICA INTERNAZIONALE, CON I LEADER EUROPEI E ZELENSKY IN GINOCCHIO DA TRUMP PER CONVINCERLO A NON ABBANDONARE L’UCRAINA – LA REGIA TRUMPIANA: MELONI ALLA SINISTRA DEL "PADRINO", NEL RUOLO DI “PON-PON GIRL”, E MACRON, NEMICO NUMERO UNO, A DESTRA. MERZ, STARMER E URSULA, SBATTUTI AI MARGINI – IL COLMO?QUANDO TRUMP È SCOMPARSO PER 40-MINUTI-40 PER “AGGIORNARE” PUTIN ED È TORNATO RIMANGIANDOSI IL CESSATE IL FUOCO (MEJO LA TRATTATIVA PER LA PACE, COSÌ I RUSSI CONTINUANO A BOMBARDARE E AVANZARE) – QUANDO MERZ HA PROVATO A INSISTERE SULLA TREGUA, CI HA PENSATO LA TRUMPISTA DELLA GARBATELLA A “COMMENTARE” CON OCCHI SPACCANTI E ROTEANTI: MA COME SI PERMETTE ST'IMBECILLE DI CONTRADDIRE "THE GREAT DONALD"? - CILIEGINA SULLA TORTA MARCIA DELLA CASA BIANCA: È STATA PROPRIO LA TRUMPETTA, CHE SE NE FOTTE DELLE REGOLE DEMOCRATICHE, A SUGGERIRE ALL'IDIOTA IN CHIEF DI EVITARE LE DOMANDE DEI GIORNALISTI... - VIDEO

francesco milleri gaetano caltagrino christine lagarde alberto nagel mediobanca

TRA FRANCO E FRANCO(FORTE), C'E' DI MEZZO MPS - SECONDO "LA STAMPA", SULLE AMBIZIONI DI CALTAGIRONE E MILLERI DI CONTROLLARE BANCHE E ASSICURAZIONI PESA L’INCOGNITA DELLA BANCA CENTRALE EUROPEA - CERTO, PUR AVENDO IL 30% DI MEDIOBANCA, I DUE IMPRENDITORI NON POSSONO DECIDERE LA GOVERNANCE PERCHÉ NON HANNO REQUISITI DETTATI DALLA BCE (UNO FA OCCHIALI, L'ALTRO CEMENTO) - "LA STAMPA"  DIMENTICA, AHINOI!, LA PRESENZA DELLA BANCA SENESE, CHE I REQUISITI BCE LI HA TUTTI (E IL CEO DI MPS, LOVAGLIO, E' NELLE MANI DELLA COMPAGNIA CALTA-MELONI) - COSA SUCCEDERÀ IN CASO DI CONQUISTA DI MEDIOBANCA E DI GENERALI? LOR SIGNORI INDICHERANNO A LOVAGLIO DI NOMINARE SUBITO IL SOSTITUTO DI NAGEL (FABRIZIO PALERMO?), MENTRE TERRANNO DONNET FINO ALL'ASSEMBLEA DI GENERALI...

donald trump grandi della terra differenza mandati

FLASH! - FA MALE AMMETTERLO, MA HA VINTO DONALD TRUMP: NEL 2018, AL G7 IN CANADA, IL TYCOON FU FOTOGRAFATO SEDUTO, COME UNO SCOLARO CIUCCIO, MENTRE VENIVA REDARGUITO DALLA MAESTRINA ANGELA MERKEL E DAGLI ALTRI LEADER DEL G7. IERI, A WASHINGTON, ERA LUI A DOMINARE LA SCENA, SEDUTO COME DON VITO CORLEONE ALLA CASA BIANCA. I CAPI DI STATO E DI GOVERNO EUROPEI, ACCORSI A BACIARGLI LA PANTOFOLA PER CONVINCERLO A NON ABBANDONARE L'UCRAINA, NON HANNO MAI OSATO CONTRADDIRLO, E GLI HANNO LECCATO VERGOGNOSAMENTE IL CULO, RIEMPIENDOLO DI LODI E SALAMELECCHI...

pietrangelo buttafuoco alessandro giuli beatrice venezi

DAGOREPORT – PIÙ CHE DELL’EGEMONIA CULTURALE DELLA SINISTRA, GIULI E CAMERATI DOVREBBERO PARLARCI DELLA SEMPLICE E PERENNE EGEMONIA DELL’AMICHETTISMO E DELLA BUROCRAZIA – PIAZZATI I FEDELISSIMI E GLI AMICHETTISSIMI (LA PROSSIMA SARÀ LA DIRETTRICE DEL LATO B VENEZI, CHE VOCI INSISTENTI DANNO IN ARRIVO ALLA FENICE), LA DESTRA MELONIANA NON È RIUSCITA A INTACCARE NÉ LO STRAPOTERE BARONALE DELLE UNIVERSITÀ NÉ LE NOMINE DIRIGENZIALI DEL MIC. E I GIORNALI NON NE PARLANO PERCHÉ VA BENE SIA ALLA DESTRA (CHE NON SA CERCARE I MERITEVOLI) CHE ALLA SINISTRA (I BUROCRATI SONO PER LO PIÙ SUOI)

donald trump giorgia meloni zelensky macron tusk starmer

DAGOREPORT - DOVE DIAVOLO È FINITO L’ATTEGGIAMENTO CRITICO FINO AL DISPREZZO DI GIORGIA MELONI SULLA ‘’COALIZIONE DEI VOLENTEROSI”? - OGGI LA RITROVIAMO VISPA E QUERULA POSIZIONATA SULL'ASSE FRANCO-TEDESCO-BRITANNICO, SEMPRE PRECISANDO DI “CONTINUARE A LAVORARE AL FIANCO DEGLI USA” - CHE IL CAMALEONTISMO SIA UNA MALATTIA INFANTILE DEL MELONISMO SONO PIENE LE CRONACHE: IERI ANDAVA DA BIDEN E FACEVA L’ANTI TRUMP, POI VOLA DA MACRON E FA L’ANTI LE PEN, ARRIVA A BRUXELLES E FA L’ANTI ORBÁN, INCONTRA CON MERZ E FA L’ANTI AFD, VA A TUNISI E FA L’ANTI SALVINI. UNA, NESSUNA, CENTOMILA - A MANTENERE OGNI GIORNO IL VOLUME ALTO DELLA GRANCASSA DELLA “NARRAZIONE MULTI-TASKING” DELLA STATISTA DELLA GARBATELLA, OLTRE AI FOGLI DI DESTRA, CORRONO IN SOCCORSO LE PAGINE DI POLITICA INTERNA DEL “CORRIERE DELLA SERA”: ‘’PARE CHE IERI MACRON SI SIA INALBERATO DI FRONTE ALL’IPOTESI DI UN SUMMIT A ROMA, PROPONENDO SEMMAI GINEVRA. MELONI CON UNA BATTUTA LO AVREBBE CALMATO” - SÌ, C’È SCRITTO PROPRIO COSÌ: “CON UNA BATTUTA LO AVREBBE CALMATO”, MANCO AVESSE DAVANTI UN LOLLOBRIGIDA QUALSIASI ANZICHÉ IL PRESIDENTE DELL’UNICA POTENZA NUCLEARE EUROPEA E MEMBRO PERMANENTE DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL'ONU (CINA, FRANCIA, RUSSIA, REGNO UNITO E USA) - RIUSCIRÀ STASERA L’EROINA DAI MILLE VOLTI A COMPIERE IL MIRACOLO DELLA ‘’SIRINGA PIENA E MOGLIE DROGATA’’, FACENDO FELICI TRUMP E MACRON?