DA MILAN KUNDERA A 007, DA WISLAWA SZYMBORSKA A IAN FLEMING, DA LEONARDO SCIASCIA A JAMES BOND, IL SALASSO DI CALASSO PER VENDERE QUALCHE LIBRO IN PIU’ - “ADELPHI” RIPUBBLICA TUTTA LA SERIE E IL SUO COLTISSIMO PATRON SI ARRAMPICA SUGLI SPECCHI PER DARE DIGNITA’ LETTERARIA A QUELLI CHE VENIVANO LIQUIDATI COME “ROMANZETTI” PER ANALFABETI...

Ranieri Polese per il "Corriere della Sera"

Da un anniversario all'altro. Quattro anni fa, nel 2008, si festeggiavano i cento anni dalla nascita di Ian Fleming (1908-1964) con una imponente mostra allestita all'Imperial War Museum di Londra. Ora, per i sessant'anni dal primo film della serie 007 (Dr No, 1962), si è aperta un'altra grande mostra, sempre a Londra, al Barbican. Quattro anni fa ci si chiedeva ancora se Fleming meritasse il nome di scrittore (lo snobismo è duro a morire).

Sul «Guardian», Sam Jordison, un giovane critico iconoclasta già autore di una guida alle cento peggiori città del Regno Unito (Crap Towns, alla lettera «Città di merda»), scriveva: «Senza la serie infinita dei film, i libri di Bond avrebbero resistito così a lungo? La questione è controversa. Ma di certo si può dire che una scrittura così cattiva (nasty), inquietante, sgradevole merita ancora di essere letta».

Come esempio, Jordison citava l'incipit e la frase finale del primo romanzo di Fleming, Casino Royale (1963, ma scritto nel 1952: un altro anniversario, insomma). «Fumo, sudore: alle tre del mattino l'odore di un casinò dove si gioca forte è nauseante» è l'inizio, perfetto visto che le due varianti rimaste sul manoscritto erano molto più involute e indirette. Il finale è ancora più secco: «È morta la puttana».

Proprio con Casino Royale nella traduzione di Massimo Bocchiola comincia la ripubblicazione di tutto Fleming da parte di Adelphi, una scelta filologicamente corretta ma anche un suggerimento di lettura. Sì perché in quel romanzo cupo, claustrofobico, onirico (come scrive il curatore del corpus 007, Matteo Codignola) impariamo a conoscere un James Bond abbastanza diverso da quello a cui ci hanno abituato i film, da Sean Connery a Roger Moore fino a Pierce Brosnan (Daniel Craig no, sembra più «nasty») e il cui volto già dal primo capitolo, è descritto con parole rivelatrici: «Una maschera ironica, brutale, fredda».

LIBRI O FILM?
«Il mio primo incontro con James Bond, come per quasi tutti, è stato al cinema. A Roma, in una sala fumosa di corso Vittorio Emanuele, vidi Dr No, che in Italia era Agente 007. Licenza di uccidere. Ricordo un certo senso di euforia e divertimento per quella curiosa novità. Difficile resistere alla compresenza di Dr No e Ursula Andress. I libri li avrei letti molto più tardi» racconta Roberto Calasso.

«Però, a Londra, in quegli anni, ospite di William Winkworth, sommo conoscitore e collezionista di porcellane cinesi e giapponesi, mi ricordo che un giorno quel signore dottissimo e imprevedibile mi disse: "Attenzione, ho conosciuto quel Fleming, non è una persona banale" (anche lui era uno strano collezionista). Sembrava una bizzarria allora, perché prevaleva l'attenzione ai film.

Ma aveva perfettamente ragione. Lo prova il fatto che quei libri hanno retto tutto questo tempo, mostrano di avere una fibra che resiste. Proveniva, Fleming, dalla migliore università inglese, i servizi segreti. Lì aveva appreso, e come lui tanti altri scrittori, le complicate regole del mondo, splendori e miserie della natura umana. Mettendoci qualcosa in più. Per esempio l'idea di un superpotere, la Spectre, che sta al di sopra dei blocchi contrapposti e guida il gioco».

La Spectre non appare subito nei romanzi. La prima volta è in Thunderball - Operazione tuono del 1961. Prima si parla sempre della Smersh, il braccio armato del Nkvd e poi Kgb. Sono i film, già dal primo, che introducono la Spectre: dicono perché non si voleva provocare i sovietici.

«Sì, però c'è sempre una figura che sta sopra alle parti in conflitto, una intelligenza che manovra all'insaputa dei protagonisti della politica mondiale - continua Calasso -. Una idea modernissima. Così come è veramente anticipatrice la trovata, direi l'ossessione di Fleming per i gadget. James Bond comincia a esistere soltanto quando è rivestito da questi minuscoli ordigni. Questo lo capiamo solo adesso che viviamo in un mondo che è sempre più fatto di protesi. Appese e incorporate in tutti noi, fin dalla primissima infanzia». Il cinema amplificherà questa mania dei gadget. Verrà presto la famosa Aston Martin, la valigetta speciale, orologi e accendini armati.

«Notevole è anche l'attaccamento di Bond per questi oggetti. Quando in Dalla Russia con amore deve separarsi dalla sua Beretta .25 per un'arma più efficace, prova un vero dispiacere, molto più forte che non per il distacco di esseri umani. E poi - prosegue Calasso - rispetto ai film, i libri come questo Casino Royale sono più cupi. Il Bond dei libri sa bene che la guerra, calda o fredda non importa, ha regole dure. O si uccide o si viene uccisi.

Lui deve uccidere. La contrapposizione fra Le Carré - personaggi squallidi, tristi, più veri - e Fleming - donne champagne e grandi alberghi - è sbagliata. Fleming descrive benissimo i meccanismi del potere, l'atmosfera quasi di prigione di un mondo diviso che aspetta sempre le mosse del nemico. Agli storici che studieranno gli anni della Guerra fredda, i suoi libri serviranno moltissimo per evocare certi fantasmi che si muovevano dietro le quinte».

ANNI CINQUANTA
Bond è fieramente anticomunista e Fleming ancora di più. Personaggi sadici e perversi come Rosa Klebb (Dalla Russia con amore) o Le Chiffre (Casino Royale) sono l'immagine stessa del Male. «Quello di Fleming è un antisovietismo fisiologico, preideologico. È un fatto di schieramento che non si discute. Ma quello che sorprende è il di più che mette nei personaggi, prendiamo Le Chiffre contro cui Bond gioca una memorabile sfida a baccarat. Uomo di Mosca che comanda i sindacati dei minatori alsaziani, in realtà usa i soldi del Cremlino per creare dei bordelli e intascarsi i guadagni. C'è uno scatto di fantasia tanto più singolare se si pensa che i giornali dell'epoca non dedicavano spazio a quel genere di scandali».

Vivendo nell'Inghilterra degli anni 50, dove c'era ancora il razionamento, Fleming concede al suo personaggio ogni genere di lussi: cocktail, alberghi, ristoranti, tutto al top. Quasi si direbbe una rivalsa contro la vita misera, un modo per far sognare i lettori. «L'Inghilterra di allora era un Paese estremamente grigio, povero. Ma anche qui, ecco l'impronta personale di Fleming.

La mania del marchio. Tutto dev'essere identificato, l'accendino Dunhill, il modo di fare il Martini cocktail, lo champagne Dom Perignon, quel certo tipo di tabacco. E non è solo un catalogo di oggetti proibiti ai più, è una trovata profetica. Che oggi noi, abituati a vivere in un mondo che aspira a essere una sequenza di marchi, senza soluzione di continuità, possiamo capire bene. Lui, Fleming, era avanti rispetto ai suoi tempi, aveva già immaginato, come fosse un esotismo, la normalità di oggi».

In Dalla Russia con amore Bond va a Istanbul portandosi dietro un libro, La maschera di Dimitrios di Eric Ambler. «Un omaggio doveroso al grande maestro della spy story inglese moderna. Ecco, nel catalogo Adelphi, Ambler si trova già da molti anni, dal 1999. Fleming è su quella linea, perciò quando l'estate che rappresenta i diritti di Fleming ci propose la pubblicazione dei suoi libri, siamo stati ben contenti. Anche per far scoprire il vero volto di un personaggio che da oltre mezzo secolo non ci ha più abbandonato».

QUESTIONI DI CLASSE
«Scritto per distrarmi da altre faccende». Dieci anni dopo l'uscita del suo primo romanzo, Casino Royale (da Jonathan Cape, il 13 aprile del 1953, con una tiratura di 7 mila copie) Ian Fleming scriveva questa frase sulla copia di bozze che gli era rimasta. Con quel libro cominciava la saga di James Bond, l'agente 007 al servizio di Sua Maestà Britannica, con licenza di uccidere come indicava il doppio zero. Un'epopea lunga quattordici titoli (due sarebbero stati pubblicati dopo la morte dell'autore), carica di un successo di vendite che da allora non si è più arrestato e coronata dai trionfi mondiali dei film tratti dai suoi libri (a settembre saranno 23 con l'uscita di Skyfall con Daniel Craig).

Già, ma quali erano le faccende a cui Fleming non voleva pensare? La noia prima di tutto («Quelli che gli dei vogliono distruggere li fanno annoiare» si legge in Dalla Russia con amore). La noia di una vita che non aveva da offrigli niente di simile a quello che per lui erano stati gli anni di guerra.

Quando, fra il 1939 e il 1945, braccio destro del capo del servizio controspionaggio della Marina, l'ammiraglio John Godfrey, si era trovato al centro di operazioni decisive per le sorti del conflitto. Finita la guerra, lasciata la Marina, era tornato al giornalismo - negli anni 30 aveva già lavorato per l'agenzia Reuters - diventando capo del servizio esteri del «Sunday Times», con la licenza non di uccidere ma di avere ogni anno due mesi di ferie da trascorrere a Goldeneye, la sua casa in Giamaica.

James Bond, insomma, poteva rappresentare il sogno di quella vita avventurosa ed eccitante che ormai non gli competeva più. L'altra preoccupazione, poi, era il matrimonio con Ann Rothermere: nel '52, quando Fleming comincia a scrivere, la signora gli ha comunicato di aspettare un figlio da lui. Lui, da gentiluomo, la sposerà. Sempre in quell'anno nasce Casper, a cui - nel '62 - dedicherà la favola di una macchina volante, Chitty Chitty Bang Bang.

Un figlio sfortunato che morirà di overdose a soli 23 anni. Un matrimonio problematico, visto che Ann non risparmierà acidi giudizi sui libri del marito. Amica di letterati terribilmente snob (Evelyn Waugh, Nancy Mitford) che guardavano con aria di sufficienza quelle storie di spie, Ann non ama niente di quei romanzi («pornografia» dirà a un certo punto).

Abituato a trattare le relazioni pericolose fra le grandi potenze, Fleming non aveva tenuto conto del sistema di caste imperante in Inghilterra. E per cui lui, nonostante il successo dei suoi libri (o forse proprio per quello), era giudicato non all'altezza. Eppure era partito bene, figlio di un banchiere ricchissimo, studi a Eton, vacanze sulla neve in Austria. Poi, inavvertitamente, aveva sceso qualche gradino e agli occhi di quegli snob i suoi «romanzetti» non meritavano attenzione. E lui era considerato un non scrittore che trafficava con storie e personaggi volgari. Pregiudizi smentiti da sessant'anni di successi. È arrivato il tempo di riconoscere i suoi meriti di scrittore.

 

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