IL CANTO LIBERO DI BATTISTI - GRAN MOGOL: "CON LA VITTORIA IN TRIBUNALE HO LIBERATO LA SUA MUSICA. LUCIO E’ DI TUTTI. I TALENT? CON I MECCANISMI DI OGGI NON AVREMMO AVUTO BATTISTI - LA RIVELAZIONE: “SONO STATO BOCCIATO ALL' ESAME DI STATO IN ITALIANO. MA NON PER COLPA MIA"

Simona Voglino Levy per “Libero Quotidiano”

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Giulio Rapetti, in arte Mogol. Anzi, solo Mogol: chiamatelo così. Gli piace. Un Maestro, un artista, un gigante. E, in questo caso, il climax non conosce retorica. Venticinque anni fa ha creato il Cet, Centro europeo di Toscolano, in Umbria, dove «formiamo l' uomo per formare l' artista», come campeggia sulla home page del sito della scuola.

 

MOGOL E BATTISTIMOGOL E BATTISTILUCIO BATTISTI MOGOLLUCIO BATTISTI MOGOLmogol e battisti 2mogol e battisti 2

Parla a poche ore dalla prima sentenza del Tribunale civile di Milano che, per ora, gli ha dato ragione: la vedova Battisti dovrà risarcirlo per oltre 2 milioni di euro. In più: il Tribunale «condanna l' ostracismo opposto dalla Signora a qualsiasi utilizzo, promozione o celebrazione di brani del marito Lucio Battisti».

Maestro, cominciamo da qui: è felice?
«Sono contento, è un atto di giustizia: Lucio è tornato libero. Lui appartiene a tutti. Tutto ciò che riguarda la promozione del suo repertorio è giusto, lo tiene vivo e questo è importante anche per i giovani. Non ho vinto io, abbiamo vinto tutti: serve qualità, oggi».

Non ce n' è più?
«Guardi, il punto è che purtroppo la promozione si è messa a fare la produzione. E questo fa in modo che non ci sia più la ricerca delle cose belle, ma quella del profitto».

Per questo continua a portare avanti la sua scuola, con tanta dedizione?
«Chi si loda s' imbroda ma in questo momento siamo una fra le migliori in Europa. Siamo una no profit: parzialmente sostentata dallo stato e parzialmente dal sottoscritto, perché gli aiuti statali soli non bastano. E sono uno dei docenti, gli altri sono ex allievi. Abbiamo un sistema didattico innovativo».

Ovvero?
«L' io psicologico è formato da una somma: il dna e l' ambiente. Il dna lo riceviamo nel momento del concepimento, mentre l' ambiente lo assorbiamo tutti i giorni dal quinto mese. Il punto è cercare di far assorbire l' ambiente migliore all' allievo, per farlo divenire qualcuno che appartenga al linguaggio degli dei. Il nostro sistema vuole fissare il sapere attraverso l' analisi approfondita dei testi e delle opere. La cultura deve essere assorbita, solo così poi può creare automatismi: è così per tutte le arti».

E il talento innato, quindi, non esiste?
«La predisposizione esiste, però tra predisposizione e automatismo vince il secondo. E lo si acquisisce attraverso un apprendimento costante e di qualità. Noi normalmente usiamo solo il 3% delle nostre possibilità: abbiamo un potenziale inespresso spaventoso. Il talento è latente in tutti, ma va coltivato. Altra cosa è il genio, ma quello si esprime da piccoli, senza nessuno stimolo. È un dono, ma ce l' ha uno su otto, dieci milioni».

Ne conosce di geni?
«Due: uno è Gianni Bella».

E l' altro?
«Si chiama Grazia Cucco, è la pittrice che ha fatto il capolavoro dell' Expo che sta girando l' Italia. A 5 anni l' ha punta un' ape. Non sapeva spiegare a parole cosa fosse accaduto: l' ha disegnato».

A proposito di talento: ne hanno mai cercato uno dei suoi dai vari talent?
«La ringrazio per la domanda. E la risposta è: no».

Perché secondo lei?
«Perché ce l' hanno loro la scuola, se la fanno da soli con i vari personaggi televisivi».

E cosa pensa di quel meccanismo?
«Che per insegnare qualcosa bisogna avere una grandissima competenza. Solo con quella si può trasmettere il sapere. La scuola lì è diventato uno spettacolo».

Con i meccanismi di oggi Battisti avrebbe rischiato di non sfondare?
«Sicuramente: né Battisti né Mogol. Questo è molto grave».

Perché?
«Dalla qualità della cultura popolare dipende anche quella di un popolo. Un libro di grande successo vende 100 mila copie. Una canzone popolare viene conosciuta e assorbita da decine di milioni di persone: è una responsabilità. La cultura popolare è tutto. Sto parlando dei grandi successi. Che sono sempre più rari».

Forse quelli ci sono ancora, sono i grandi cantautori che mancano?
«Un tempo i cantautori adattavano molto spesso la musica alle parole e quindi qualche volta la sacrificavano, facendo delle messine cantate. Ricorda le canzoni di protesta?».
Sì...
«Quella cosa non esiste più. Erano scritte in base ad una forma ideologica. Erano discorsi politici. Si andava a cantare col pugno alzato o la mano tesa. Ai tempi non appartenere a un' ideologia politica era una colpa: voleva dire essere dei qualunquisti. Lucio ed io cantavamo di cose universali, per questo le nostre canzoni restano».

Né lei, né Battisti eravate interessati alla politica. Ora lo è di più?
«Non direi».

Allora cambiamo argomento: da dove arriva il suo pseudonimo?
«Mio padre era il direttore generale europeo della Ricordi.
Non volevamo confusione.
Quindi ho mandato almeno 100 pseudonimi alla Siae».
E?
«Tra questi c' era anche Mogol, generale delle giovani marmotte. L' ho aggiunto alla mia anagrafe, è il mio cognome».

Prima di diventare Mogol si chiamava solo Giulio Rapetti, però. Che ragazzo era?
«Iperattivo...».
Chissà che bei temi...
«Guardi, sono stato bocciato all' esame di Stato. In italiano. Ma non per colpa mia».

E di chi?
«Il tema era: "come saranno le città del 2000". Le ho descritte con grattacieli, strade asfaltate e gente con i pattini a rotelle per andare più veloci».

E cosa non andava?
«Ho finito dicendo: sarà bene fare attenzione quando si comprano le uova perché si rischierà di fare una frittata».

Non è stato capito?
«Non era la mia maestra a correggere, la signora Ferrari, 70 anni con il collettino in pizzo fatto probabilmente da lei. Era una ragazza giovane che ha sostenuto che fossi andato fuori tema. Mentre ci ero stato perfettamente dentro».

E quindi?
«L' esame di stato era la possibilità di studiare, se non si superava si poteva fare solo il bottegaio. Allora ho recuperato e alla fine mi sono diplomato».
Ed è diventato Mogol. Sentiamo cosa scrive, ma non sappiamo cosa ascolta...
«Non la radio. Ascolto poco, sono sempre in giro».

Allora, chi le piace?
«Giuseppe Anastasi, autore di Arisa. Come interpreti: Mengoni e la Michelin. La canzone con cui ha vinto Sanremo è stata scritta anche da mio figlio Cheope (insieme a Federica Abbate a Fabio Gargiulo, ndr)».

Dove trova l' ispirazione?
«Nella mia vita, nei ricordi. Sono autobiografico o comunque biografico. Lo scrittore che fa cronaca è uno scrittore credibile, come diceva Miller».

Quindi il suo segreto è stato raccontare la verità?
«Sì. Senza pudore. Senza addomesticarla: la verità vera».
Lei è un grande sostenitore della Siae. Che però viene accusata di essere egemonica nel suo monopolio.
«La Siae siamo noi autori e compositori. Protegge la cultura e dà da vivere a chi scrive le canzoni. Fine della Siae, fine della cultura. Nessuno ha la sua capillarizzazione per controllare una cosa evanescente come il diritto d' autore».

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