UNO SCRITTORE SENZA – TROPPO POPOLARE, TROPPO SUCCESSO, QUINDI AVVERSATO E SOLO: BEVILACQUA NON ERA AMATO DALL’INTELLIGHENZIA - DA PASOLINI ABBANDONÒ LA GARZANTI “COLPEVOLE” DI AVERLO ARRUOLATO

Mario Baudino per "La Stampa"

Di sé ha raccontato tutto, in un continuo dialogo col proprio presente e soprattutto col proprio passato che travalicava nella letteratura e nella finzione, tanto che alla fine resta difficile distinguere la realtà dai sogni, dalle esperienze visionarie, dai giochi di specchi dello scrittore.

Ma Alberto Bevilacqua resterà per sempre l'autore di un libro che ha rappresentato molto più di un'indole nazionale: La Califfa , pubblicato nel '64, emblema popolare e sentimentale del miracolo economico. Divenne un film da lui diretto, sei anni dopo, anch'esso indimenticabile, e un volto: quello di Romy Schneider, con cui lo scrittore-regista ebbe una tormentata e pubblicizzatissima relazione.

Alberto Bevilacqua era nato a Parma nel giugno del ‘34. È morto ieri, nella clinica romana Villa Mafalda dove era da tempo ricoverato per decisione della sorella, dopo un lungo e doloroso declino che è stato anch'esso al centro di pubbliche polemiche. La compagna Michela Macaluso, che non aveva titolo legale per decidere della sua sorte e non poteva quindi farlo trasferire altrove, come avrebbe desiderato, aveva chiesto l'intervento della magistratura perché, sosteneva, le cure non erano all'altezza della situazione e i costi parevano smisurati.

Il tribunale aveva nominato un tutore legale, che tuttavia la clinica, proprio ieri, ringrazia per la collaborazione nel comunicato sulla morte dello scrittore. In ogni caso è stata disposta l'autopsia, triste finale di partita per un uomo che ha conosciuto un successo enorme e duraturo, venato di un'altrettanta inattaccabile malinconia.

Come scrittore ha avuto molto: dagli esordi nel solco di una robusta narrativa padana che lo apparentava non tanto al neorealismo ormai declinante quanto ad autori come Giuseppe Berto e Giovanni Arpino, alla vasta popolarità con l'esplorazione del mistero, della magia, delle esperienze più o meno extrasensoriali, in un'interrogazione continua rivolta all'universo femminile. Il punto di equilibrio è negli Anni Sessanta, non solo con La Califfa ma ad esempio con Questa specie di amore (che vinse il Campiello nel ‘66) o L'occhio del gatto , che fra grandi polemiche vinse lo Strega nel '68, quando sembrava d'obbligo sdegnare i premi.

La neoavanguardia non lo amava, ma anche Pasolini abbandonò la Garzanti, nel ‘74, prendendo a pretesto proprio il fatto che l'editore milanese aveva arruolato lo scrittore (fra l'altro per un solo libro). Lui si sentiva avversato e solo: «I miei veri compagni di strada - scrisse dopo la morte di Sciascia - che avevano venti o trent'anni più di me, da Paolo Volponi a Sciascia, a Goffredo Parise, a Beppe Fenoglio, sono scomparsi. E oggi mi trovo orfano. Quella era la mia generazione».

Alla figura di Sciascia è legato un altro mistero letterario, quello del suo primo romanzo pubblicato poi da Einaudi nel 2000, La polvere sull'erba. Una storia di dopoguerra, potentissima, che affronta i delitti del cosiddetto Triangolo rosso, le vendette consumate dopo la Liberazione, dal punto di vista di un giovane, figlio d'un aviatore epurato perché volò con Balbo. In quell'occasione spiegò di aver semplicemente recuperato la versione integrale del suo primo libro apparso in forma di racconti e «censurato» nei Quaderni della galleria , curati da Leonardo Sciascia.

Proprio lo scrittore siciliano gli avrebbe consigliato allora di evitare le pagine più scabrose, dato il momento politico. Varie ricostruzioni filologiche hanno indotto a dubitare di questa ricostruzione. Ma ciò non toglie nulla alla statura dello scrittore, con le sue nevrosi e la sua generosità, il gusto del teatro e persino l'ingenuità: inafferrabile e dotato di uno smisurato talento.

L'elenco dei suoi libri - e delle sue poesie - è sterminato: da Una città in amore (1962) a Umana avventura (1974), da Una scandalosa giovinezza (1978) a La festa parmigiana (1980), da Il curioso delle donne (1983) a La donna delle meraviglie (1984) fino a I sensi incantati (1991) o Storie della mia storia (2007), per non citarne che alcuni, al di là di quelli divenuti ormai piccoli e grandi classici. Senza dimenticare il lungo dialogo con la madre, figura centrale nella sua opera e nella sua formazione.

Ne ha raccontato la storia in Lui che ti tradiva . E la madre Lisa, con la sua energia giovanile, poi precipitata nella depressione da cui però riemerge negli anni maturi, è certamente il prototipo della Califfa: la donna che lega e scioglie, prossima e inarrivabile. L'averla vista a colloquio con Borges, come ebbe poi a raccontare, in quanto «di origine argentina», forse è parte della sua idea di letteratura come viaggio tra gli spiriti, più che della biografia.

 

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