
QUEL PEZZO DI SORKIN - IL BRILLANTE E LOGORROICO SCENEGGIATORE HA APPENA VINTO IL GLOBE PER ''STEVE JOBS'', MA L'ACADEMY LO SCHIFA: AGLI OSCAR MANCO LA NOMINATION - ''JOBS, ERA INCAPACE DI AMARE LA FIGLIA, MA IN GRADO DI CREARE EMOZIONI CON GLI OGGETTI, E ANDARE CONTRO OGNI RICERCA DI MERCATO''
Marco Consoli per “L’Espresso”
aaron sorkin vince il golden globe per steve jobs
Quando Steve Jobs è morto il settimanale "Time" gli ha chiesto di scrivere il suo coccodrillo: «Non volevo essere scortese, ma nonostante sapessi che era stato un uomo d' affari molto potente in grado di creare un' azienda di successo planetario, ho risposto che non avevo nessun coinvolgimento emotivo nei suoi confronti: se me l' avessero chiesto per John Lennon avrei accettato, ma in questo caso ho rifiutato. Poi però quando ho visto come la gente in ogni parte del mondo lo piangeva e lo idolatrava, ho avuto una sorta di illuminazione. Solo poche settimane dopo ho accettato l' incarico di scrivere un film su di lui, basato sulla biografia scritta da Walter Isaacson».
Aaron Sorkin, sceneggiatore vincitore dell' Oscar per "The Social Network" e apprezzato autore delle serie tv "The Newsroom" e "West Wing", descrive così il suo approccio a "Steve Jobs", il film in uscita il 21 gennaio che cerca di rispondere all' interrogativo chiave su chi fosse il fondatore di Apple. «Fin dall' inizio ero certo di non voler scrivere un biopic tradizionale, in cui si toccano i momenti chiave di una vita intera, che vanno dalla nascita alla morte», continua.
«Amo particolarmente le storie che si svolgono dietro le quinte, i racconti in tempo reale e gli spazi claustrofobici, elementi più volte utilizzati per i miei testi teatrali. Quindi ho deciso di dividere il racconto in tre atti, ambientati nei minuti precedenti il lancio di tre prodotti, cercando di drammatizzare alcuni conflitti della sua vita e cristallizzare alcuni momenti chiave: il rifiuto della paternità di sua figlia Lisa, l' allontanamento da Apple e il successivo ritorno nella compagnia che contribuì a fondare».
Come ha lavorato per risolvere l' enigma Steve Jobs? «Per un anno e mezzo ho parlato con tutte le persone che lo avevano conosciuto, e in particolare con sua figlia Lisa, che non aveva rilasciato interviste nemmeno ad Isaacson. Era difficile per me, padre di una ragazza, capire perché lui avesse negato a lungo la paternità, e sono rimasto colpito da come Lisa sia in grado di raccontare anche di quanto orribile è stato suo padre con lei, senza provare astio nei suoi confronti».
Lei non lo ha mai incontrato? «Gli ho parlato tre volte, ma al telefono: la prima mi chiamò per dirmi che gli era piaciuta una mia sceneggiatura, la seconda per invitarmi a visitare la Pixar e chiedermi di scrivere un film, e l' ultima volta per aiutarlo col discorso che avrebbe dovuto fare alla Stanford University».
Si è spiegato perché, quando è morto, il mondo lo ha pianto come fosse un guru? «Ho capito che le persone erano innamorate non tanto di lui, ma degli oggetti che aveva creato. Da scrittore posso identificarmi con questo tipo di relazione, perché so che ci sono persone che amano o detestano quanto ho scritto: capire ciò vuol dire comprendere il concetto di paternità dell' autore. Ma c' era anche un' altra cosa che mi interessava investigare».
Quale? «Dare risposta alla domanda che il suo socio e amico Steve Wozniak continua a fargli durante tutto il corso del film: cos' è che fa di te un genio, se non sei nemmeno in grado di costruire la tecnologia che vendi? La verità è che Jobs era capace di indicare a ingegneri e designer le modifiche da apportare ad un gadget tecnologico perché le persone mostrassero un attaccamento emotivo per lo stesso.
Questo spiega perché ad esempio fosse importante per lui avere oggetti rettangolari con angoli arrotondati. La genialità di Steve Jobs si trova nel punto di contatto tra tecnologia ed arte».
Era anche un abilissimo stratega del marketing… «Infatti mise sul mercato la versione del Mac con 128 kbyte di memoria, pur avendo già sviluppato quella da 512k, perché vendendo un modello inferiore avrebbe potuto guadagnare la fiducia della gente e successivamente vendergli un modello migliore».
Nel film lei fa riferimento a come la tecnologia ha rivoluzionato il giornalismo, quando il reporter che deve intervistare Jobs gli dice «non potrei lavorare nel tuo settore perché le cose cambiano troppo in fretta» e Steve gli risponde «beh, inizieranno a cambiare molto in fretta anche per te». «La tecnologia ha radicalmente cambiato il giornalismo, ma anche se con Internet sembra meno importante di prima, la mia opinione è che la fondazione di una buona democrazia debba essere la buona informazione. È un diritto del popolo essere informato e i giornalisti hanno un' enorme responsabilità: dare alle persone informazioni frivole facendo credere loro che sono importanti è altrettanto grave quanto dargli informazioni errate».
A un certo punto lei fa anche dire a Jobs: «La gente non sa ciò che vuole finché non glielo fai vedere». «È una battuta che ha a che fare con l' idea dell' arte. Lavorando a film e serie tv molto spesso ho sentito chi si occupava del business speculare su cosa volesse o non volesse vedere il pubblico. Quando ho scritto "West Wing" molti mi dicevano che non si poteva realizzare una serie tv sulla politica a Washington, ma oggi ci sono decine di show come quello.
Penso che cercare di capire cosa desideri la gente e poi darglielo sia una pessima ricetta per creare sceneggiature o prodotti riusciti, e Jobs la pensava allo stesso modo: quando l' amministratore delegato John Sculley gli diceva che non esistevano ricerche comprovanti la necessità di tagliare il prezzo dei Mac, di fronte alla sua insistenza di abbassarlo, Steve gli diceva «io sono la ricerca, perché sono il più grande esperto del mondo sul Mac». E aveva ragione.
Il suo Steve Jobs sembra un politico in un vortice di richieste da parte di chi lo circonda, grane da risolvere e continue decisioni da prendere. Lei che si è occupato della materia in "West Wing", pensa che Jobs sarebbe stato un buon politico? «I politici, almeno negli Usa, sono orientati dai sondaggi. Hanno persone che gli dicono quello in cui la gente che li vota crede. Quindi quando devono fare un discorso si presentano al proprio elettorato e gli dicono ciò che vuole sentire.
Questo si chiama "comandare dalle retrovie" e può dare luogo ad errori tremendi, come quando George W. Bush, seguendo il sentimento popolare e gli interessi personali, invase l' Iraq nel 2003, perché il 67 per cento degli americani pensava che l' 11 settembre fosse colpa di Saddam Hussein. All' epoca ci sarebbe stato bisogno di un presidente che guardando quelle statistiche si presentasse alla nazione e dicesse la verità: Saddam non c' entra nulla. Questa è vera leadership, quando si è capaci di prendere una decisione giusta anche se impopolare.
steve jobs con la figlia lisa a palo alto
Credo che Steve Jobs fosse questo tipo di persona, ma anziché in politica esercitava questa capacità negli affari: quando tutte le ricerche dicevano che i consumatori volevano un computer aperto e modificabile, in cui poter sostituire i pezzi a piacere, Jobs fece esattamente il contrario e trionfò. Solo che forse in politica uno come lui non sarebbe durato a lungo».
Chrisann Brennan con sua figlia
A proposito, a novembre nel suo Paese ci saranno le elezioni per il nuovo Presidente. Se dovesse scrivere un conflitto tra due candidati ipotetici che personaggi sarebbero? «Due uomini agli antipodi: uno come Donald Trump, che comunque non credo arriverà alla fine, ma rappresenta il nazionalismo xenofobico, la supremazia bianca in cui si riconosce una parte del Paese più vasta di quanto pensassimo. E un altro che parla degli argomenti di cui dovremmo veramente occuparci: povertà, educazione, cambiamento climatico, condizione della classe media e sicurezza nazionale. Il secondo andrebbe controcorrente, mentre il rivale cerca di confondere le acque con discussioni su come scacciare i musulmani o vietare che i ragazzi possano baciarsi tra loro».