CHOOSY È, SE VI PARE - IL DJ LINUS È D’ACCORDO CON LA FORNERO E PREDICA: “SI PENSA ANCORA CHE SE FAI 4 COSE IN FILA POI AUTOMATICAMENTE LA QUINTA SIA IL POSTO DI LAVORO” – CONTRO-LINUS: “SE C’È QUALCOSA CHE RIMPROVERO ALLA MIA GENERAZIONE, E CHE CREDO SIA L’ORIGINE DI MOLTI DEI NOSTRI MALI, NON È DI ESSERE “CHOOSY”. È DI NON ESSERLO ABBASTANZA”...

1 - «GIOVANI? ILLUSI E CHOOSY». LINUS DIFENDE IL MINISTRO FORNERO
Bruno Giurato per "Lettera43.it"

La dichiarazione del ministro del Lavoro Elsa Fornero, il bisillabo «choosy», «schizzinosi», rivolto ai giovani in cerca di occupazione, ha provocato un diluvio universale di critiche, in cui le sferzate più o meno ironiche dei commentatori sui giornali si sono mischiate alle perturbazioni del sempre irritabile mondo social.

LA POLEMICA INFIAMMA I SOCIAL. Su Twitter l'hashtag #choosy ha regalato momenti di ebbrezza anche satirica, culminati in un tombale «ma vaffanchoosy».
Il fatto che la frase non fosse una critica a chi cerca lavoro, ma suonasse più come una constatazione di fatto è stato giudicato irrilevante. La precisazione quasi immediata di Fornero è stata utile, sì, ma a far inviperire tutti. La tempesta (di recrimininazioni, commenti, sfottò) perfetta, con la Fornero in mezzo, insomma.

LINUS, LA VOCE CONTRO. Non fosse per una voce quasi isolata. Quella di Linus.
Lo storico conduttore di radio Deejay, e responsabile del settore radiofonico del gruppo L'Espresso, ha postato sul suo blog un commento, in cui tra l'altro ha scritto: «Sono totalmente d'accordo con la ministra Fornero (a parte il vezzo della definizione in inglese) quando dice che i giovani dovrebbero essere meno selettivi nelle aspettative di lavoro».
Ed è singolare che la presa di posizione di Linus abbia scatenato 150 commenti in poche ore. Alcuni d'accordo, altri meno, ma tutti più o meno civili.

«Mi fa specie che nel 2012 quando la gente ha una mentalità più aperta, si pensi ancora che se fai quattro cose in fila poi automaticamente la quinta sia il posto di lavoro», ha detto Linus a Lettera43.it. Aggiungendo: «Non ha mai funzionato così».

DOMANDA. Colpa di molte scuole sempre più specializzate e spesso non molto utili?
RISPOSTA. La laurea ti prepara per fare un percorso, ma non è detto che nella vita tu riesca a seguirlo. Ai miei figli ho sempre detto: «Anche se studi una cosa non è detto che farai quello, farai quello che la vita ti permetterà di fare».

D. Quindi è colpa dei giovani?
R. Senz'altro no. Il problema vero è che le esigenze del mercato cambiano molto più velocemente di quanto facciano le strutture formative che gli stanno attorno.

D. Eppure lei è riuscito a fare il lavoro dei suoi sogni...
R. Al quinto anno delle superiori ho scoperto la radio, e ho dimenticato completamente la scuola. Ovviamente mi hanno bocciato, e ovviamente mia madre mi ha detto: «Adesso vai a lavorare. Di sera vai a scuola, dopodiché se avanza tempo fai anche la radio».

D. E lei cosa ha fatto?
R. Ho fatto come diceva. Facevo per otto ore al giorno l'operaio, poi le scuole serali, e dalle 10 a mezzanotte la radio.

D. Per quanto tempo è andata avanti così?
R. L'ho fatto per due anni perché mi sono fatto bocciare anche due volte

D. Di studiare non aveva voglia, insomma.
R. No, non mi interessava. Ma quei due anni sono stati per me più importanti del militare. Dalle otto di mattina alle cinque di sera a fare un lavoro fisico. Ho capito che il mondo non è soltanto aspirazioni, bisogna anche tener conto della concretezza.

D. Non sarà che in Italia ci siamo abituati a desiderare professioni troppo prestigiose e poco concrete?
R. Un po' è colpa della fabbrica dei sogni della nostra società. Il benessere che c'è arrivato addosso negli ultimi 30 anni ha creato delle illusioni. E tanti hanno creduto che si potesse fare un lavoro più bello e più divertente di quello dei rispettivi genitori.

D. Ha criticato il mondo social che si è scagliato contro Fornero.
R. A volte mi dà molto fastidio il popolo social. Spesso la Rete diventa una specie di volano, per cui uno dice una cosa un po' retorica e tutti superficialmente la seguono, amplificandola.

D. Anche lei è stato criticato dal web per il suo post.
R. Molti hanno commentato di non essere d'accordo, e hanno ragione. Ma non piacciono i giudizi troppo netti.

D. Sembra che qualsiasi cosa dica Fornero ormai ce la si prenda con lei «a prescindere».
R. Quello che ho scritto non è in difesa del ministro né tantomeno un dogma. Però credo sia giusto pensare che il mondo del lavoro è una cosa e quello degli studi è un'altra. Se non si riesce a farli coincidere non è un dramma.

2 - GIOVANI? TROPPO POCO "CHOOSY"
Andrea Andrei per "Dagospia"

«Mi fa specie che nel 2012, quando la gente ha una mentalità più aperta, si pensi ancora che se fai quattro cose in fila poi automaticamente la quinta sia il posto di lavoro».
E ancora: «Credo sia giusto pensare che il mondo del lavoro è una cosa e quello degli studi è un'altra. Se non si riesce a farli coincidere non è un dramma». Firmato: il dj Linus (da "Lettera43.it"). Uno che, a detta sua, è stato bocciato due volte, perché di studiare non aveva voglia.

Ora: cosa ne sa, Linus, di cosa significhi investire soldi (tanti) ma soprattutto vent'anni della propria vita sui libri, aspirando a un lavoro che non dico debba essere quello dei sogni, ma che almeno abbia una qualche attinenza con quello per cui hai investito e fatto sacrifici?

Ma Linus può parlare, perché lui per due anni ha fatto l'operaio e la sera andava a lavorare in radio. Certamente il maestro di vita Linus non sa cosa significhi studiare. Non sa che è un lavoro a tempo pieno, eppure c'è gente che oltre a quello, per pagarsi gli studi, va a fare il cameriere, che probabilmente non è un lavoro molto attinente con il proprio percorso universitario. Gente che mette giusto quelle "quattro cose in fila" per arrivare a guadagnare meno di mille euro al mese dopo un'infinità di stage non pagati.

Linus appartiene a quella generazione che imparava sul campo, è vero, ma che aveva modo di farlo, anche se a costo di sacrifici.

L'unico dibattito possibile, in merito, mi sembra l'annientamento del concetto di vergogna. A cominciare da Linus, ma soprattutto dal ministro Frignero. E non è per cavalcare un discorso populistico da social network. È perché di prediche ne abbiamo piene le palle. Lo sappiamo che studiare è una cosa e lavorare un'altra. È per questo che ci accontentiamo di lavorare gratis dieci ore al giorno, ringraziando pure chi, sfruttandoci a costo zero, ci dà un'enorme "possibilità di crescita". Andiamo a vedere cos'è e come viene fatto uno stage in Italia e come invece viene concepito in Francia, dove gli studenti (tutti) non accettano tirocini che siano retribuiti meno di 600 euro. Noi no. Ed è colpa nostra, di noi studenti "schizzinosi", che abbiamo perso di vista cosa sia il vero lavoro.

Recentemente ho avuto modo di visitare un campo di concentramento nazista in Germania. Lo dico subito per chi già starà storcendo il naso: non ho alcuna intenzione di paragonare le cose, sia chiaro. Lo prendo come esempio estremo. Nei campi di lavoro nazisti, dove l'umanità era annientata e la vita valeva meno di zero, i detenuti venivano costretti a lavorare nelle fabbriche, e venivano retribuiti. Certo, retribuiti per modo di dire, visto che poi di quei soldi se ne facevano ben poco.

Ma questo per dire che anche i nazisti, che hanno distrutto i diritti inviolabili alla libertà e alla dignità, non riuscivano a concepire che a un lavoro non corrispondesse una ricompensa. È un discorso economico: io produco, tu (padrone) mi paghi, anche se poi ti arricchisci molto più di me. Sarei curioso di sapere cosa ne avrebbe pensato Marx, del nostro concetto di stage.

Da contratto, il tirocinio infatti non prevedrebbe altro se non uno status da "spettatore" per lo stagista, non un ruolo attivo (che quindi produce ricchezza per il "padrone"). Ma così, viene da dire, non si impara niente. Esatto. Eppure i giovani schizzinosi ringraziano, ingrassano il proprio curriculum e fanno la fame nella speranza di poter davvero fare un lavoro che possa dirsi tale.

Se c'è qualcosa che rimprovero alla mia generazione, e che credo sia l'origine di molti dei nostri mali, non è di essere "choosy". È di non esserlo abbastanza.

 

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