conte renzi

CONTE E RENZI HANNO UN PIANO PER FAR SALTARE IL PROPORZIONALE! LA RIFORMA ELETTORALE CONCORDATA DA M5S E PD, IN TEORIA, FA PARTE DEL PATTO DI GOVERNO, MA MATTEUCCIO VUOLE FAR SALTARE IL BANCO PER CONTINUARE A CONTARE QUALCOSA ANCHE SENZA VOTI – E LO SCHIAVO DI CASALINO È D'ACCORDO: NON VUOLE RISCHIARE DI PERDERE LA POLTRONA A PALAZZO CHIGI OGGI. E PUNTA AL QUIRINALE DOMANI (PARE CI CREDA DAVVERO...)

 

 

 

Francesco Verderami per il “Corriere della Sera”

 

RENZI CONTE

Sostiene Conte che dopo Palazzo Chigi sarà «contento» di tornare a fare l'avvocato: l'aveva detto giusto un anno fa, quando Salvini si preparava a togliergli la fiducia. In realtà il premier ha altri progetti, molto più ambiziosi, e pur di realizzarli ha stretto un patto con Renzi. Non c'entrano le nomine o i posti di governo, la strana coppia si ritrova (momentaneamente) alleata con l'obiettivo di sabotare la riforma proporzionale concordata da M5S e Pd.

 

«È tutto molto divertente», si schermisce il capo di Iv, che una settimana fa ha rispolverato la vecchia idea del «sindaco d'Italia» per esplicitare la sua ostilità al Germanicum, partorito dall'accordo tra Di Maio e Zingaretti.

zingaretti di maio

 

Ora, ha ragione Franceschini quando rammenta che «l'intesa sulla legge elettorale fa parte del patto di governo». Ma venne stipulato quando Iv ancora non esisteva. E dunque per Renzi quel «patto» va rivisto, siccome il proporzionale con soglia di sbarramento al 5% lo relegherebbe nella prossima legislatura ai margini del Parlamento, con pochi seggi per «diritto di tribuna».

 

MATTEO RENZI E GIUSEPPE CONTE COME BUGO E MORGAN

L'attuale sistema maggioritario gli garantirebbe invece un forte potere contrattuale, perché con i suoi voti potrebbe risultare determinante nella sfida dei collegi con il centro-destra, e quindi potrebbe far pesare il ruolo di «utilità marginale» del suo partito nella trattativa con gli alleati.

 

È a questo bivio che la strada di Renzi ha incrociato quella del premier, ambiguo ogniqualvolta deve sopire le voci su una sua futura lista: per spazzare definitivamente il campo dai boatos basterebbe un richiamo al «patto» che gli ha permesso di trasformarsi da Conte 1 in Conte 2.

 

giuseppe conte dario franceschini

Se non lo fa, è perché così perderebbe d'incanto il potere contrattuale che gli permette di restare a Palazzo Chigi oggi, e di puntare domani persino al Quirinale. D'altronde fu lui a confidare le sue aspirazioni mesi fa al ministro per gli Affari europei, durante un viaggio a Bruxelles: «Me lo verranno a chiedere», gli sussurrò il presidente del Consiglio. Da allora Amendola, vecchia scuola pci, non si è più ripreso.

 

Di Maio e Zingaretti avevano fiutato puzza di bruciato, notando la singolare coincidenza tra la sortita di Renzi contro la proporzionale, la fine delle ostilità di Iv verso il capo del governo e la calorosa accoglienza riservata dal premier alle richieste programmatiche presentategli dalla Boschi.

nicola zingaretti giuseppe conte

 

«Con lui parla lei», sorride Renzi. E il leader del Pd aveva provato a reagire. Ce n'è la prova nella dichiarazione di dieci giorni fa del vice segretario dem Orlando: «La legge elettorale va approvata da un ramo del Parlamento entro l'estate». Sembrava un fulmine a ciel sereno, in realtà era il disperato tentativo di rispondere all'azione ostile. Ma come nella guerra dei «Sei giorni» la contraerea egiziana iniziò a sparare solo dopo che l'aviazione israeliana aveva bombardato a terra tutti gli aerei nemici, così il Pd si è reso conto di aver fatto tardi.

 

 

«Di legge elettorale se ne parlerà a settembre dopo le elezioni regionali», diceva ieri compiaciuto Rosato, in nome di Renzi. E un autorevole esponente della segreteria democrat ha dovuto riconoscere come «ben che vada» la riforma verrà licenziata entro luglio «ma solo dalla commissione» alla Camera.

 

maria elena boschi 1

In Aula non ci arriverà, perché al primo voto segreto il Germanicum rischierebbe di saltar per aria. Pd e M5S hanno fatto i conti: con Forza Italia divisa e la Lega che traccheggia, la proporzionale verrebbe bucherellata dai deputati del «partito di Renzi» e da quelli del «partito di Conte», cioè quei grillini, ex democristiani e post comunisti, desiderosi di trovar riparo nella lista dell'«avvocato del popolo» che finge di voler tornare ad essere avvocato e basta.

giuseppe conte luigi di maio dario franceschini

 

conte renziBoschi Conte Bellanova

 

Ultimi Dagoreport

giorgia meloni ursula von der leyen donald trump dazi matteo salvini

DAGOREPORT – LA LETTERINA DELL’AL CAFONE DELLA CASA BIANCA È UNA PISTOLA PUNTATA ALLA TEMPIA DEI LEADER EUROPEI, CUI È RIMASTA UNA SOLA VIA DI USCITA, QUELLA COSIDDETTA “OMEOPATICA”: RISPONDERE AL MALE CON IL MALE. LINEA DURA, DURISSIMA, ALTRIMENTI, ALLE LEGNATE DI TRUMP, DOMANI, ALL’APERTURA DELLE BORSE, SI AGGIUNGERANNO I CALCI IN CULO DEI MERCATI. LA CINA HA DIMOSTRATO CHE, QUANDO RISPONDI CON LA FORZA, TRUMP FA MARCIA INDIETRO - SE LA “GIORGIA DEI DUE MONDI” ORMAI È RIMASTA L’UNICA A IMPLORARE, SCODINZOLANTE, “IL DIALOGO” COL DAZISTA IN CHIEF, NEMMENO LE CIFRE CATASTROFICHE SULLE RIPERCUSSIONI DELLE TARIFFE USA SULLE  AZIENDE ITALIANE, TANTO CARE ALLA LEGA, HA FERMATO I DEMENZIALI APPLAUSI ALLA LETTERA-RAPINA DA PARTE DI MATTEO SALVINI – ASCOLTATE JOSEPH STIGLITZ, PREMIO NOBEL PER L’ECONOMIA: “TRUMP NON AGISCE SECONDO ALCUN PRINCIPIO ECONOMICO, NON CONOSCE LO STATO DI DIRITTO, È SEMPLICEMENTE UN BULLO CHE USA IL POTERE ECONOMICO COME UNICA LEVA. SE POTESSE, USEREBBE QUELLO MILITARE’’

steve witkoff marco rubio sergei lavrov

RUBIO, IL TAJANI STARS AND STRIPES – IL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO NON TOCCA PALLA E SOFFRE IL POTERE DI STEVE WITKOFF, INVIATO DI TRUMP IN MEDIO ORIENTE CHE SE LA COMANDA ANCHE IN UCRAINA. IL MINISTRO DEGLI ESTERI USA PROVA A USCIRE DALL’ANGOLO PARLANDO DI “NUOVA IDEA” DELLA RUSSIA SUI NEGOZIATI IN UCRAINA. MA IL MINISTRO DEGLI ESTERI DI PUTIN, LAVROV, SUBITO VEDE IL BLUFF: “CONFERMIAMO LA NOSTRA POSIZIONE” – TRUMP AVEVA OFFERTO DI TUTTO A WITKOFF, MA L’IMMOBILIARISTA NON HA VOLUTO RUOLI UFFICIALI NELL’AMMINISTRAZIONE. E TE CREDO: HA UN CONFLITTO DI INTERESSE GRANDE QUANTO UN GRATTACIELO...

diletta leotta ilary blasi stefano sala pier silvio berlusconi

FLASH – IL BRUTALE AFFONDO DI PIER SILVIO BERLUSCONI SU ILARY BLASI E DILETTA LEOTTA (“I LORO REALITY TRA I PIÙ BRUTTI MAI VISTI”), COSÌ COME IL SILURAMENTO DI MYRTA MERLINO, NASCE DAI DATI HORROR SULLA PUBBLICITÀ MOSTRATI A “PIER DUDI” DA STEFANO SALA, AD DI PUBLITALIA (LA CONCESSIONARIA DI MEDIASET): UNA DISAMINA SPIETATA CHE HA PORTATO ALLA “DISBOSCATA” DI TRASMISSIONI DEBOLI. UN METODO DA TAGLIATORE DI TESTE BEN DIVERSO DA QUELLO DI BABBO SILVIO, PIÙ INDULGENTE VERSO I SUOI DIPENDENTI – A DARE UNA MANO A MEDIASET NON È LA SCURE DI BERLUSCONI JR, MA LA RAI: NON SI ERA MAI VISTA UNA CONTROPROGRAMMAZIONE PIÙ SCARSA DI QUELLA CHE VIALE MAZZINI, IN VERSIONE TELE-MELONI, HA OFFERTO IN QUESTI TRE ANNI…

giorgia meloni elly schlein luca zaia vincenzo de luca eugenio giani elly schlein elezioni regionali

PER UNA VOLTA, VA ASCOLTATA GIORGIA MELONI, CHE DA MESI RIPETE AI SUOI: LE REGIONALI NON VANNO PRESE SOTTOGAMBA PERCHÉ SARANNO UN TEST STRADECISIVO PER LA MAGGIORANZA – UNA SPIA CHE IL VENTO NON SPIRI A FAVORE DELLE MAGNIFICHE SORTI DELL’ARMATA BRANCA-MELONI È IL TENTATIVO DI ANTICIPARE AL 20 SETTEMBRE IL VOTO NELLE MARCHE, DOVE IL DESTRORSO ACQUAROLI RISCHIA DI TORNARE A PASCOLARE (IL PIDDINO MATTEO RICCI È IN LEGGERO VANTAGGIO) – IL FANTASMA DI LUCA ZAIA IN VENETO E LE ROGNE DI ELLY SCHLEIN: JE RODE AMMETTERE CHE I CANDIDATI DEL PD VINCENTI SIANO TUTTI DOTATI DI UN SANO PEDIGREE RIFORMISTA E CATTO-DEM. E IN CAMPANIA RISCHIA LO SCHIAFFONE: SI È IMPUNTATA SU ROBERTO FICO, IMPIPANDOSENE DI VINCENZO DE LUCA, E SOLO UNA CHIAMATA DEL SAGGIO GAETANO MANFREDI LE HA FATTO CAPIRE CHE SENZA LO “SCERIFFO” DI SALERNO NON SI VINCE…

marina pier silvio berlusconi giorgia meloni

NULLA SARÀ COME PRIMA: PIER SILVIO BERLUSCONI, VESTITO DI NUOVO, CASSA IL SUO PASSATO DI RAMPOLLO BALBETTANTE E LANCIA IL SUO PREDELLINO – IN UN COLPO SOLO, CON IL COMIZIO DURANTE LA PRESENTAZIONE DEI PALINSESTI, HA DEMOLITO LA TIMIDA SORELLA MARINA, E MANDATO IN TILT GLI OTOLITI DI GIORGIA MELONI, MINACCIANDO LA DISCESA IN CAMPO. SE SCENDE IN CAMPO LUI, ALTRO CHE 8%: FORZA ITALIA POTREBBE RISALIRE (E MOLTO) NEI SONDAGGI (IL BRAND BERLUSCONI TIRA SEMPRE) – NELLA MILANO CHE CONTA IN MOLTI ORA SCOMMETTONO SUL PASSO INDIETRO DI MARINA DALLA GESTIONE “IN REMOTO” DI FORZA ITALIA: D'ALTRONDE, LA PRIMOGENITA SI È MOSTRATA SEMPRE PIÙ SPESSO INDECISA SULLE DECISIONI DA PRENDERE: DA QUANTO TEMPO STA COGITANDO SUL NOME DI UN SOSTITUTO DI TAJANI?