DALL’ESTORSIONE ALLA CORRUZIONE: BERLUSCONI E TARANTINI POTREBBERO ENTRARE NELL'INDAGINE SUGLI APPALTI FINMECCANICA - RIUSCIRÀ “IL PORTO DELLE NEBBIE” A DISSIPARE UNA VOLTA PER TUTTE IL SOSPETTO DI UN RIFUGIO GIUDIZIARIO per POTENTI? – IL CAPO DELLA PROCURA FERRARA SI RITROVA NELLA CURIOSA POSIZIONE DI GUIDARE UNA PROCURA IMPEGNATA IN UN'INDAGINE CHE COINVOLGE IL CAPO DEL GOVERNO DA CUI POTREBBE ESSERE DESIGNATO A RICOPRIRE UN NUOVO INCARICO…

Giovanni Bianconi per Corriere della Sera

Arrivato con l'ipotesi di estorsione ai danni del presidente del Consiglio, il fascicolo numero 045199/11 appena aperto dalla Procura di Roma sembra destinato a riservare nuove sorprese. Alcuni atti dell'inchiesta proveniente da Napoli potrebbero essere stralciati e finire in quella in corso sugli appalti gestiti da Finmeccanica. L'imprenditore barese Gianpaolo Tarantini, che reclutava ragazze da portare nelle residenze del premier, fu infatti facilitato nei suoi contatti con Finmeccanica e la Protezione civile proprio da Berlusconi; una coincidenza da cui potrebbe scaturire l'iscrizione di entrambi nel registro degli indagati per una presunta corruzione.

Del resto lo stesso pubblico ministero di Bari Eugenia Pontassuglia, titolare dell'originaria indagine sull'imprenditore procacciatore di donne, ha riferito ai suoi colleghi di Napoli e Lecce: «Un filone rimasto poco esplorato era quello dei rapporti tra Tarantini e Finmeccanica per il tramite di Berlusconi... Avevamo l'intima convinzione che il rapporto tra Tarantini e Berlusconi non si fosse mai interrotto».

Dell'eventuale nuova inchiesta a carico del presidente del Consiglio e del suo giovane amico si è parlato a lungo e si continua a parlare nei conciliaboli al primo piano della Procura di Roma, dove si trovano gli uffici del procuratore Giovanni Ferrara e dei suoi aggiunti.

E se ne parla ai piani superiori, nelle stanze dei sostituti che considerano l'esito di questo procedimento un decisivo banco di prova per quello che fu ribattezzato «il porto delle nebbie»; l'ultima occasione per dissipare una volta per tutte il sospetto di un rifugio giudiziario dove le accuse mosse ai potenti di turno sono destinate a evaporare, fino a svanire.

Nei giorni scorsi diversi magistrati sono andati dal procuratore Giovanni Ferrara per raccomandare una conduzione limpida e ferma di accertamenti che tocca molto da vicino i comportamenti e le relazioni del premier. Il quale ha sostenuto a gran voce la competenza romana dell'indagine avviata a Napoli, dove s'è rifiutato di andare a testimoniare.

Ora che il voluminoso incartamento è approdato a Roma, chi lavora nell'ufficio inquirente più importante d'Italia proprio per la sua vicinanza ai palazzi del potere, vuole sentirsi garantito. Senza atteggiamenti pregiudiziali o persecutori nei confronti del capo del governo, ma anche senza eccessivi riguardi o timori. E senza discutibili decisioni-lampo, come avvenne con il sequestro delle foto scattate nella villa di Berlusconi in Sardegna, su sollecitazione dell'interessato.

Ferrara ha assegnato l'indagine al procuratore aggiunto Pietro Saviotti. Un pubblico ministero esperto, noto per il suo scrupolo e per i processi che ha condotto in materia di terrorismo e in altri delicati settori, considerato vicino a Magistratura democratica, la corrente di sinistra dei giudici.

Saviotti gestirà l'inchiesta insieme a un sostituto di fiducia, e ben presto dovrà prendere decisioni significative. Intanto sulla sorte di Gianpaolo Tarantini, tuttora detenuto, se il Tribunale del riesame di Napoli dovesse lasciarlo agli arresti, fossero anche domiciliari. E poi sulla convocazione o meno della «parte lesa» Silvio Berlusconi, e in quale veste. Testimone, come ritenevano i pm napoletani, con l'obbligo di rispondere e dire la verità, o imputato di reato connesso, come reclama l'avvocato Niccolò Ghedini, difensore del presidente del Consiglio?

Agli atti c'è la memoria di quattro pagine e mezza sottoscritta da Berlusconi, consegnata da Ghedini al procuratore prima ancora che arrivasse il fascicolo da Napoli. È un documento fin troppo generico, dove il premier nega qualsiasi ipotesi di estorsione, e definisce le centinaia di migliaia di euro recapitate in contanti a Tarantini un semplice gesto di beneficienza verso una famiglia in difficoltà.

Ricostruzione a cui, alla Procura di Roma, non sembra credere nessuno. Sulla base di altri atti contenuti nel fascicolo. A cominciare dalle testimonianze della segretaria e del maggiordomo di Berlusconi, che lo definiscono infastidito e stizzito dalle continue richieste di denaro avanzate da Tarantini, dirette o mediate da Valter Lavitola, il giornalista-imprenditore che avrebbe preso parte al ricatto.

Che fare, dunque? Convocare subito il premier (assistito o meno dall'avvocato), per colmare le lacune della memoria scritta, o rimandare questo appuntamento in attesa dell'esito di altri accertamenti? Magari sulla possibile «induzione a rendere dichiarazioni mendaci all'autorità giudiziaria» ipotizzata dai pm di Napoli, non necessariamente alternativa all'estorsione?

Nelle scelte da compiere Saviotti è autonomo. Dovrà però riferire le sue mosse a Ferrara, il quale si ritrova nella curiosa posizione di guidare una Procura impegnata in un'indagine che coinvolge il capo del governo da cui potrebbe essere designato a ricoprire un nuovo incarico. Al ministero della Giustizia, infatti, è vuota da alcuni mesi l'importante poltrona di capo del Dipartimento per gli affari di giustizia, e uno dei nomi che circola con più insistenza per andare a occuparla è quello di Ferrara, che in ogni caso dovrà lasciare l'incarico di procuratore ad aprile.

Se il ministro della Giustizia Nitto Palma chiamasse Ferrara al suo fianco, fino alla nomina del successore l'ufficio sarebbe retto dal procuratore aggiunto vicario Giancarlo Capaldo, che in estate ha restituito la delega dell'indagine sugli appalti Enav e Finmeccanica dopo le notizie su un pranzo conviviale tra lui, il ministro Tremonti e il parlamentare (poi indagato) Marco Milanese, a casa di un avvocato amico comune.

Capaldo ha rivendicato la correttezza del proprio comportamento, e motivato il passo indietro con la necessità di interrompere i «tentativi di delegittimazione» nei suoi confronti e «l'aggressione all'intero ufficio»; ora la vicenda torna d'attualità per via della possibile «reggenza».

Anche di questo si discute nelle stanze e nei corridoi della Procura di Roma, dove lavorano come sostituti il presidente e il segretario dell'Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara e Giuseppe Cascini. Altra coincidenza che tiene i riflettori puntati su un'istituzione mai del tutto immune da sospetti di rallentamento o insabbiamento delle inchieste più delicate. Ma stavolta, assicura uno dei tanti pubblici ministeri che vogliono scrollarsi di dosso questa etichetta, «abbiamo acceso i fari antinebbia».

 

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