1. A DIFFERENZA DI RE GIORGIO, I POTERI FORTI, ATTRAVERSO IL “CORRIERONE” IN DUPLEX CON “FINANCIAL TIMES”) VOGLIONO ANDARE SUBITO AL VOTO PER INCORONARE RENZI 2. SUL COLLE PIÙ ALTO LA PRIMA DOMANDA CHE SI SONO POSTI È STATA: PERCHÉ IN UNA FASE DELICATISSIMA DELLA VITA POLITICA ALLE PRESE CON IL DUALISMO (INFINITO E IRRISOLTO) LETTA & RENZI E CON UNA RIFORMA ELETTORALE CHE STAGNA ALLE CAMERE, DE BORTOLI VA ALL’ASSALTO DI RE GIORGIO GIÀ MINACCIATO DI IMPEACHMENT DAI GRILLINI? 3. E PERCHÉ LA RICOSTRUZIONE DI QUEGLI EVENTI È AFFIDATA ALLE CONFIDENZE DEL PRINCIPALE COMPETITORE DEL CORRIERE, L’EDITORE DE “LA REPUBBLICA” CARLO DE BENEDETTI? 3. “AMMAZZA IL GATTOPARDO” DI FRIEDMAN (DITO DA RCS-RIZZOLI) SARÀ PRESENTATO MERCOLEDÌ 12 DA MIELI E DE BORTOLI E - A SORPRESA -, PROPRIO DALL’EX BANCHIERE PASSERA IL PIÙ SPONSORIZZATO IN VIA SOLFERINO TRA I POSSIBILI PREMIER DEL FUTURO

di Tina A. Commotrix per Dagospia

E' soltanto un eufemismo parlare di "irritazione" del Quirinale per la pubblicazione sul Corrierone di alcune anticipazioni del libro di Alan Friedman ("Ammazziamo il gattopardo", in uscita per Rizzoli) che lanciano un'ombra lunga e pesante sull'operato del capo dello Stato in occasione del ribaltone del novembre 2011 che portò all'uscita volontaria di Berlusconi da palazzo Chigi e all'arrivo del supertecnico Mario Monti.

Nulla di nuovo in verità, come vedremo, sul piano della ricostruzione di quegli avvenimenti che Dagospia bollò subito come "papocchio" Napolitano e che fecero gridare al "golpe bianco" Silvio Berlusconi ispirato dall'Europa tecnocrate.

Ma sul Colle più alto la prima domanda che si sono posti sfogliando le pagine del quotidiano milanese è stata questa: perché in una fase delicatissima della vita politica alle prese con il dualismo (infinito e irrisolto) Letta&Renzi e con una riforma elettorale che stagna alle Camere, il direttore Flebuccio de Bortoli va all'assalto di Re Giorgio già minacciato di impeachment dai grillini?

E perché la ricostruzione di quegli eventi è affidata alle confidenze del principale competitore del Corrierone, l'editore de "la Repubblica" Carlo De Benedetti, il quale a Friedman (una sua vecchia e cara conoscenza) rivela che già nell'agosto del 2011 Monti gli chiese consiglio in previsione di prendere la guida del traballante governo allora ancora nelle mani del Cavaliere nero?

Il che non è una grande scoperta. Sempre che in quella calda estate del 2011 l'Ingegnere non avesse smesso di leggere i giornali che arrivavano in edicola. A cominciare dalla sua "la Repubblica".

Basta sfogliare i quotidiani del giugno 2011 (Monti sarà nominato senatore a vita il 9 novembre) per capire l'aria afosa e umida che tirava nel Paese e sul Quirinale senza accamparsi "scoop" fuori tempo massimo. E nel giugno di quell'anno il nome di Mario Monti come successore di Draghi in Bankitalia o, in alternativa, premier di un futuro gabinetto tecnico condiva ogni articolo o "pastone" politico. E a nessuno dei cronisti sfuggiva pure il nesso che nessun governo del presidente potesse nascere senza l'imprimatur di Re Giorgio e dei Poteri marci.

Lo stesso Gran Visir del Cavaliere Gianni Letta che teneva i contatti con il Quirinale, si lanciava in un forte riconoscimento pubblico della personalità di Monti a margine di un convegno sull'Europa: "Ti ringrazio per il richiamo alla responsabilità, quando hai detto che le prossime tre settimane saranno settimane chiave per l'Europa. Temo, che lo saranno anche per l'Italia". (6 giugno 2011)

Un mese dopo, luglio 2011, era stato lo stesso Berlusconi fiutando l'aria che si respirava nei Palazzi del potere, a profetizzare la fine traumatica del suo esecutivo (politico) e ad agitare lo spettro di un gabinetto tecnico. "Vogliamo farmi fare la fine del governo Amato", dichiarava il Cavaliere assediato a palazzo Chigi.

"Berlusconi sa che la crisi potrebbe essergli fatale. Sospetta che qualcosa comunque sia in movimento, che il precipitare della situazione potrebbe davvero aprire la strada a quel che Pisanu e Casini hanno già battezzato come governo di emergenza, che siano al lavoro per affidare le chiavi all'ex commissario Ue, Mario Monti", è osservato tra gli altri da Carmelo Lopapa su "la Repubblica" di Mauro&De Benedetti.
Anzi.

In quell'estate e nel successivo autunno tutti i media - Corrierone capofila -, spingevano sul Quirinale per un forte e salutare ribaltone "tecnico" a palazzo Chigi. E che l'uomo della provvidenza imposto dall'Europa era il bocconiano Mario Monti.

Nel libro di Alain Friedman, senza nulla togliere al merito dell'autore che raccoglie preziose testimonianze dirette (Monti in primis), c'è soprattutto la conferma che l'"operazione Monti" fu pensata e studiata ben prima del "ribaltone" di fine anno.
Poi rifinita nei dettagli (istituzionali), da Re Giorgio con la nomina del professore a senatore a vita.

Va bene, allora, "lanciare" un libro edito dalla casa madre ("Rizzoli") e fortemente voluto dal suo presidente, Paolino Mieli. Uno che d'intrighi di Palazzo se ne intende assai.
Altro è, politicamente parlando, dare l'impressione che il "Corriere della Sera" vada all'assalto del Quirinale che si oppone (ormai in solitudine) alle pretese di Superbone Renzi di mettere all'angolo il governo di Enrico Letta.

Come da settimane vanno reclamando in coro i Poteri marci. Un "voltafaccia" impensabile fino all'altro giorno da parte di Flebuccio de Bortoli sempre schierato dalla parte di Re Giorgio.
Tant'è.

Il volume "Ammazza il gattopardo" sarà presentato, mercoledì 12 ("Sala Buzzati"), dallo stesso Mieli, da Flebuccio de Bortoli e - a sorpresa -, proprio dall'ex banchiere Airone Passera il più sponsorizzato in via Solferino tra i possibili candidati-premier del futuro.

 

 

 

 

 

 

 


MANOVRA BERLUSCONI
Lo spettro del governo tecnico
"Vogliono farmi fare la fine di Amato"
Dal Cavaliere sì al dialogo. Ira con chi chiede le dimissioni: sciacalli. Con Tremonti tregua fino alla fine dell'anno, ma tramonta il taglio delle tasse. Il sospetto è che i moderati abbiano già individuato una soluzione nel nome di Mario Monti
di CARMELO LOPAPA

È lo spettro del governo Amato che ritorna, che si aggira per un giorno intero nella dimora di Arcore, che rivive negli incubi del Cavaliere. La speculazione internazionale che attanaglia la lira, l'uscita dal serpentone monetario, l'Italia che nel '93 finisce nella tenaglia. E l'esecutivo a guida socialista costretto alla maxi manovra per poi lasciare il posto al governo tecnico targato Ciampi. Una trama che sembra riproporsi. "Vogliono farmi fare quella fine lì, ma noi abbiamo i numeri in Parlamento e sono perfino in crescita, non ci riusciranno" si sfoga Silvio Berlusconi ricevendo a Villa San Martino dirigenti del partito milanese e sentendo da Roma pochi ministri.
Dal centrosinistra arriva il lasciapassare per la manovra. Ma non sarà a costo zero. L'uscita di D'Alema, l'invito ad approvarla e farsi da parte, lo manda su tutte le furie: "È puro sciacallaggio, questa non è la manovra del mio governo ma dell'Italia, cercare di farmi fuori con giochi di Palazzo approfittando della speculazione è spregiudicato". Teso, preoccupato, a tratti abbattuto, raccontano. Berlusconi sa che la crisi potrebbe essergli fatale. Sospetta che qualcosa comunque sia in movimento, che il precipitare della situazione potrebbe davvero aprire la strada a quel che Pisanu e Casini hanno già battezzato come governo di emergenza, che siano al lavoro per affidare le chiavi all'ex commissario Ue Mario Monti. Ai figli ricevuti a pranzo e poi a Ghedini e al portavoce Bonaiuti e a tutti gli interlocutori di giornata, invece il premier ripeterà di essere convinto che "la crisi sarà superata: ce la faremo anche questa volta". Ma avverte tutta la gravità della situazione. Ed è disposto a tutto pur di superarla.
Dal Colle parte l'appello a tutte le forze politiche. Gianni Letta tiene i rapporti col Quirinale per tutto il giorno. Sarà proprio il sottosegretario a suggerire al presidente del Consiglio di "stupire" gli avversari e lanciare in prima persona un appello al "senso di responsabilità nazionale" in vista dell'approdo della manovra in aula. Romano Prodi glielo manda a dire a distanza, "dovrebbe farlo". Ma Berlusconi non ce la fa a spingersi a tanto. Pur confidando ai dirigenti pidiellini ricevuti nel pomeriggio di essere disposto a confrontarsi con l'opposizione per raggiungere "la più ampia convergenza". La crisi è tale da congelare, per il momento, anche la guerra in atto con Tremonti. Da Arcore il premier si tiene in contatto con il ministro, impegnato all'Ecofin di Bruxelles, per confidare poi ai suoi che "Con Giulio sarà tregua almeno fino all'approvazione del Documento economico e finanziario, fino a fine anno". La resa dei conti, scatterà dopo, se tutto non precipita prima. Resta il senso di sconfitta, è chiaro ormai anche all'inquilino di Palazzo Chigi che la riforma fiscale, l'abbattimento delle tasse, è un sogno ormai archiviato.
Deve accontentarsi dell'accordo siglato invece con le opposizioni sulla manovra, che va approvata in fretta. Lo mettono a punto nel giro di poche ore i quattro "ambasciatori" ai quali il presidente del Consiglio affida il compito di trattare con il centrosinistra. Se ne occupa di persona il solito Gianni Letta e con lui il neo segretario Angelino Alfano, il sottosegretario all'Economia Casero, il vicepresidente della Camera Lupi. Manovra da approvare entro il 21 luglio al Senato e entro il 29 alla Camera, pochi emendamenti per un tour de force che tuttavia potrebbe non bastare. Da qui l'input di Palazzo Chigi per tentare la forzatura e ottenere il primo sì già entro domenica a Palazzo Madama. Angela Merkel chiede di fare in fretta, i mercati, soprattutto, lo pretendono. Ma non sarà facile.
La fibrillazione è alle stelle, il previsto tonfo in borsa e l'attacco speculativo non colgono di sorpresa Berlusconi, ma alimentano tutte le più cupe preoccupazioni. In mattinata il presidente del Consiglio decide di fare un giro di orizzonte e di sentire anche i vertici dei principali istituti di credito del Paese, ne ottiene la garanzia sulla tenuta del sistema bancario. Ma in questa fase non è quello il problema. Lo sono i titoli di Stato sotto attacco, lo è il differenziale tra i buoni del tesoro e i bund tedeschi. Il premier tedesco Merkel che rivela la telefonata avuta poche ore prima con Berlusconi, la sua mano tesa, sarà un importante segnale lanciato ai mercati, ma il Cavaliere avverte anche le controindicazioni politiche di quella "fiducia" accordata all'Italia. Diventa pure un messaggio insidioso: il tuo governo, la tua economia, sono in difficoltà. Se la manovra dovesse non bastare, se la speculazione dovesse infierire, Berlusconi si troverebbe spalle al muro. Allora gli incubi potrebbero prendere corpo.
(12 luglio 2011)

FINANZIARIA PRESSIONI EUROPA DIMISSIONI
Tremonti sotto assedio "Attenti, me ne vado" ma c'è l'ombra di Monti
La giornata più lunga del ministro. A sera dice: "Sono due giorni che non dormo". Letta e Casini gli avevano fatto avere le condizioni di Pd e Udc: "Trattiamo soltanto con te". Un sito di gossip rilancia la voce di dimissioni: "Lo farà domenica, travolto dal caso Milanese". Schiacciato tra la Ue e il governo, è apparso ad alcuni "spaventato" e "provato" nel fisico
di ALBERTO D'ARGENIO
Isolato, atterrito, schiacciato tra le richieste dei partner europei che gli chiedono di fare di più per salvare l'Italia e un governo, quello Berlusconi, che ragiona solo con il bilancino dei voti. C'è addirittura chi lo descrive "provato fisicamente" e "spaventato" dalla crisi che ha iniziato a stringere la morsa sull'Italia. Giulio Tremonti non dorme da due notti. Il peso dell'attacco dei mercati lo sente fisicamente. Così come sente stringersi la morsa dell'inchiesta Milanese. Inizia a sentire il fiato sul collo di quel Mario Monti indicato dal Pd come possibile premier di un governo di transizione che Berlusconi sta pensando di scippare agli avversari offrendogli proprio la poltrona di Tremonti. Lui, il superministro, in mattinata è a Bruxelles. Lo attendono i colleghi europei per discutere di mercati e di Grecia. Ma il telefono della sua stanza d'albergo inizia a squillare. Dall'altro filo del telefono i leader dell'opposizione.
Come lunedì sera Enrico Letta e Casini gli ripetono che loro l'appello di Napolitano alla coesione lo accolgono, ma solo se tratteranno con lui. "Con Berlusconi non vogliamo negoziare, deve restare fuori dalla partita perché una sua intromissione sarebbe controproducente, dannosa, un peso per tutti". Il superministro non ribatte. Annuisce. Si reca al Justus Lipsius, il palazzo dei vertici Ue, e davanti alle telecamere dà l'annuncio che segna la giornata. "Sto andando a Roma a chiudere il Bilancio dello Stato". Infila la porta a vetri e parte, disertando l'Ecofin.
La giornata è costellata dai colloqui telefonici. Si sente con il presidente Napolitano e con i capi dell'opposizione. Il triangolo che sbroglia la situazione è questo. Berlusconi è out, per lui si informa sull'andamento della giornata Gianni Letta. Arrivato a Roma Tremonti incontra i capigruppo di maggioranza e opposizione. Per la prima volta nella sua carriera di ministro tratta direttamente gli emendamenti alla Finanziaria. In serata con i suoi collaboratori si dirà soddisfatto, "ci siamo accordati con tutti i gruppi, è la prima volta nella storia che chiudiamo una manovra con appena 7-8 emendamenti". Ma la giornata del ministro è stata tutt'altro che rose e fiori.
Chi ha lavorato al suo fianco racconta che mai come in questi due giorni di panico a Piazza Affari il superministro si è sentito solo. "Quando l'opposizione gli faceva notare l'assenza di leadership del premier e della maggioranza lui annuiva", racconta un senatore presente alle riunioni. Testimonia un deputato d'opposizione: "Era talmente provato che non era sprezzante come suo solito, anzi, era disponibile". Ma la tensione, e il carattere del ministro, escono tutte quando nel tardo pomeriggio incontra i capigruppo al Senato della maggioranza e tira fuori la sopresa. "Mi è arrivata una richiesta in inglese", scandisce usando l'espressione di quando vuol far capire che qualcosa gli è stato imposto in Europa. Entro sei mesi si deve dare il via a un piano di liberalizzazioni e privatizzazioni per far cassa e rilanciare il Pil. Gasparri salta in piedi e obietta che di questo non se ne era mai parlato. Tremonti gelido replica: "Se non si fa vi dovete trovare un altro ministro dell'Economia".
Ma l'arma della minaccia questa volta potrebbe non bastare a salvarlo. I colleghi di governo, tanto del Pdl quanto della Lega, ormai di lui farebbero volentieri a meno. E intanto l'inchiesta sul suo ex braccio destro, Marco Milanese, si allarga, rendendo sempre più difficile la posizione del superministro. Tanto che in Transatlantico si spargono le voci sulle sue dimissioni a Finanziaria approvata e a mercati chiusi. Cioè domenica. Boatos raccolti anche da Dagospia, che in serata li rilancia in apertura di sito. E che qualcosa si stia muovendo lo testimonia chi ha parlato di recente con Berlusconi. Il premier si sarebbe mosso per non farsi trovare impreparato dalle dimissioni (tutt'altro che sgradite) del suo ministro. Si racconta abbia contattato Mario Monti e l'ex commissario Ue si sarebbe detto pronto a mettere la faccia sul salvataggio dell'Italia come ministro solo in cambio di succedere poi a Berlusconi come capo di un governo di "salute nazionale". Guarda caso ieri sera Rosy Bindi se n'è uscita con questa battuta: "Meglio un Monti di Tre-Monti".
(13 luglio 2011)
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