I FILM ITALIANI? UNA “CATEGORIA PROTETTA” - SCHEMA DI DECRETO DA ULTIMA SPIAGGIA DEI MINISTRI PASSERA E ORNAGHI NEL SEGNO DELL’AUTARCHIA - LA RAI DOVRÀ DESTINARE IL 3,6% DEI RICAVI COMPLESSIVI ANNUI A PRODUZIONE, FINANZIAMENTO E ACQUISTO DI FILM ITALIANI - MEDIASET, LA7 E SKY IL 3,5% DEGLI INTROITI NETTI - 200 MILIONI IN PIU’ PER IL CINEMA TRICOLORE - PREVISTO ANCHE L’INSERIMENTO OBBLIGATORIO IN PALINSESTO (MANCO SOLO IL DIKTAT A VEDERLI)…

Michele Anselmi per "Lettera 43"

In fondo è una forma di protezionismo cinematografico in chiave "autarchica", ma guai a dirlo. Così meglio parlare di «quote di investimento finanziario e di programmazione». Però siamo lì. Poco prima di andarsene, i ministri Corrado Passera e Lorenzo Ornaghi (Sviluppo economico il primo, Beni e attività culturali il secondo) hanno deciso di fare un regalo, di forte impronta simbolica, al cinema italiano, conquistandosi subito il plauso dell'Anica, che è un po' la Confindustria del cinema, e dell'associazione "100 Autori".

Trattasi di uno schema di decreto, trasmesso ai presidenti di Camera e Senato nella speranza che entri in vigore a luglio, nel quale sono «sono determinate le quote di investimento finanziario e di programmazione nei palinsesti che le emittenti televisive sono tenute a riservare alle opere cinematografiche di espressione originale italiana».
Che cosa significa materialmente? Questo: in linea con la normativa comunitaria e in attuazione della legge 122 del 1998, la Rai dovrà destinare il 3,6% dei ricavi complessivi annui a produzione, finanziamento, pre-acquisto e acquisto di film italiani, mentre per le altre emittenti, cioè Mediaset, La7 e Sky, tale obbligo riguarda il 3,5% degli introiti netti.

Quanto agli obblighi di programmazione, il testo prevede che la Rai dedichi ai film italiani l'1,3% del tempo di trasmissione nei palinsesti non tematici e il 4% in quelli tematici; per le altre tv la disposizione riguarda l'1% del tempo di diffusione nei palinsesti non tematici e il 3% in quelli tematici.

In sostanza, il decreto, «senza introdurre oneri aggiuntivi per le emittenti», favorirà la concentrazione di un volume di investimenti annui per il cinema tricolore valutabile, complessivamente, in circa 200 milioni di euro. Tale cifra si raggiunge facendo la media su quanto investito nell'audiovisivo dai quattro soggetti televisivi sopra menzionati negli ultimi due anni: 750 milioni di euro nel 2011, circa 600 mila nel 2012.

Dichiarano orgogliosi i due ministri in partenza: "Favoriamo un significativo rafforzamento della sinergia fra chi produce i film in maniera indipendente e chi li diffonde, come le emittenti televisive. La cinematografia italiana ha tutte le carte in regola per svolgere un ruolo fondamentale sul fronte della nostra identità culturale, confrontandosi con l'agguerrita concorrenza internazionale».

Concorda il presidente dell'Anica nonché produttore Riccardo Tozzi: «Un passo decisivo per dare attuazione alla legge 122 del 1998. Abbiamo dovuto aspettare anni, ma oggi, grazie al mutato atteggiamento del ministero allo Sviluppo economico, finalmente il cinema può uscire dalla sudditanza nei confronti della televisione».

Rafforza Angelo Barbagallo, presidente dei produttori: «In un momento di mercato così difficile, questo regolamento è vitale per assicurare al cinema italiano le condizioni per progettare l'uscita dalla crisi». Esulta l'associazione "100 Autori": «Dopo cinque anni di battaglie, questo decreto fortemente osteggiato dalla lobby dei network - che sullo sfruttamento delle opere dell'audiovisivo hanno realizzato ingenti profitti - restituirà all'industria cinematografica la possibilità di programmare un rilancio».

Sarà. In realtà il decreto, frutto di vivaci mediazioni, stabilizza quanto sta già più o meno accadendo in base alle norme comunitarie. Solo rende più stringenti «le quote di programmazione obbligatoria», il che molto piace ai produttori e agli autori. Inoltre impedisce di giocare su un certo equivoco: per aggirare le norme europee alcune tv preferivano acquistare serie tedesche, francesi o inglesi invece di produrre film italiani. Si può capirle.

Magari, alla fine dei giochi, sarà meno felice il pubblico televisivo, che da luglio in poi, in forza del decreto, dovrà per forza sorbirsi più film italiani distribuiti variamente nei palinsesti. Non per forza in prima serata, come pure i cineasti avrebbero voluto per ribadire il principio di eccezione culturale; diciamo a tutte le ore, dopo pranzo o a notte fonda, basta che i titoli italiani non ristagnino nei cassetti. Come un po' accade ora, e sta qui il paradosso, specie ai film prodotti o coprodotti da Raicinema con tanto di pre-acquisto di diritti antenna.

Spesso belli e coraggiosi, ma poco utilizzabili, visti gli ascolti perlopiù bassi, nella sfide serali che contano sul piano della raccolta pubblicitaria. Risultato? Raicinema meritoriamente investe circa 50-55 milioni all'anno in produzione di film nazionali, ma poi molti di quei titoli non vengono proiettati sul piccolo schermo. Succede meno con Mediaset, lesta a trasmettere i film prodotti da Medusa, più "popolari" sul piano dei gusti e dei risconti Auditel.

Volume delle risorse a parte (non è detto che aumentino con l'attuale crisi), restano i dubbi sulle potenzialità televisive del nostro cinema. Almeno di quello d'autore. Per dire: quando arrivò su Raitre, "Vincere" di Marco Bellocchio totalizzò un devastante 3.71% di share, pari ad 820.000 spettatori. Non troppo meglio andò alla replica di "La stanza del figlio" di Nanni Moretti, sempre su Raitre: 4.50 di share, pari a 1.059.000 spettatori.
Di contro, dopo infinite polemiche politico-giornalistiche, "Il Caimano", sempre di Moretti, su Raitre fu un successo: 12.97% di share, pari a 2.776.000 spettatori.

Evidentemente bisogna scegliere con cura i film da programmare, cercando di favorire l'evento, di accendere la curiosità, magari con una serata a tema. Proprio come riuscì ad Enrico Mentana con "Il Divo" di Paolo Sorrentino, rifiutato dalle reti Mediaset e Rai, ma offerto da La7 con lusinghieri risultati: 6.26% di share, pari a 6.269.000 spettatori

 

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