BOSSI DI SEPPIA - FENOMENOLOGIA DEL MESSIA DELLA PADANIA IN UN SAGGIO DI MARCO BELPOLITI - A VENT’ANNI TENTÒ LA CARRIERA DI CANTANTE, FACENDOSI CHIAMARE “DONATO” E INCIDENDO UN 45 GIRI - SI ATTEGGIAVA COME UNA PICCOLA ROCKSTAR DI PROVINCIA, CHE RICORDAVA TANTO I “VITELLONI” DI FELLINI - ED ECCO COME PONTIDA SI TRASFORMA IN UNA WOODSTOCK DEI POVERI, A METÀ FRA UN CONCERTO ROCK E UNA PARTITA DI CALCIO...

1 - LA FENOMENOLOGIA DEL LEADER LEGHISTA NEL NUOVO SAGGIO DI MARCO BELPOLITI: GLI INDUMENTI SONO POLITICA
Massimiliano Panarari per "la Stampa"

Con il fortunato Il corpo del Capo , Marco Belpoliti ha inventato e inaugurato un genere. L'analisi fisiognomica e in stile cultural studies di una gallery fotografica delle metamorfosi (fisiche, ma soprattutto, sociopolitiche) di Silvio Berlusconi si è così imposta nel dibattito, diventando un punto di riferimento per chi, a vario titolo di studio, si è occupato del fenomeno rubricato come «berlusconism».

Oggi, il critico letterario e saggista che insegna all'Università di Bergamo ci offre la fenomenologia di colui che dell'ex premier è stato il sodale di ferro, e de facto l'interprete all'italiana (anzi, à la lumbard) di una certa nuova (o forse vecchissima...) destra diffusasi in tutta Europa. Si deve, allora, partire proprio da La canottiera di Bossi (Guanda, pp. 112, euro 10) per decodificare una delle traiettorie di leaderismo politico più impressionanti (e, per lungo tempo, impreviste) dell'Italia contemporanea.

In questo libro naturalmente corredato da un apparato di foto che restituiscono i cambiamenti dell'iconografia bossiana lungo il tempo - Belpoliti disseziona semiologicamente e linguisticamente il creatore di quel partito anfibio, miscela di cesarismo e «carisma padano» e (a dire dei suoi dirigenti) oltre la sinistra e la destra, che in questi anni ha raggiunto percentuali assai elevate nel Nord del Paese.

Non sembri incredibile, quindi - tutt'altro - il fatto che per comprendere a fondo il capo della Lega Nord si debbano prendere le mosse dall' idealtipo (diciamo così...) del vitellone. E precisamente nel senso felliniano (seppur in una versione «rivista e aggiornata» agli Anni Settanta e Ottanta), allorquando «il Bossi» irrompe sulla scena politica, inizialmente alla chetichella e senza molti riconoscimenti, e poi, via via, sempre più fragorosamente e con successo.

La carriera politica, del resto, rappresenta quasi un ripiego e lo stadio successivo al flop come cantante simil-Celentano e simil-Buscaglione (in arte «Donato»), attività nella quale si era cimentato peregrinando per balere e incidendo pure un 45 giri, tra la fine degli Anni Cinquanta e l'alba dei Sessanta. Ecco, quindi, perché il futuro detrattore di Roma ladrona, e aedo della virilità della Lega, si configura, per molti versi, come un performer, per il quale il «colore» (stile, abito, gesti, oltre, e ancor più, che le parole), come sottolinea Belpoliti, è tutto.

Lo si vede (decisamente) anche nelle variopinte tribù leghiste dei tanti raduni - una costante della storia della formazione nordista - così differenti dalle adunanze democristiane o comuniste, socialiste o missine, e, successivamente, anche dei partiti che rappresentano una continuazione di quelle storie politiche.

Laddove il capo leghista, lontanissimo dalle figure dei protagonisti dei comizi della Repubblica dei partiti, si avvicina al microfono, mutatis mutandis, come un cantante, afferrandolo a due mani e intonando la sua omelia politica con una vocalità rauca, ma molto variabile che parte «sottovoce», proprio come avrebbe fatto in gioventù all'interno di qualche dancing.

È il Bossi che, nei primi appuntamenti della kermesse nazionalpopolare (o forse, meglio, padanopopulista) di Pontida, scendeva in mezzo al suo «pubblico», e si metteva a firmare autografi; roba da far inorridire schiere di professionisti della politica della Prima Repubblica.

Un oratore focoso e aggressivo, per i cui gesti «incitatori» mentre arringa le folle sui pratoni della Lombardia profonda si attaglia perfettamente, come nota Belpoliti, la classe tassonomica dell'etologo inglese Desmond Morris del «colpo d'ascia»: la mano destra che colpisce di taglio, quella di sinistra aperta e indirizzata verso l'alto, per non parlare del pugno chiuso in aria e dell'indice alzato o teso. Un oratore «fisico», che, rivolto agli avversari, sfodererà a ripetizione anche il tristo dito medio.

Questo è il Bossi d'antan, della fase eroica. Ma a Belpoliti, attento anatomopatologo del corpo del Re padano e dell'evoluzione gestual-semiotica della carriera politica del conducator celodurista, non sfugge nulla, fino alla carezza sulla testa fattagli da Berlusconi, nel settembre dell'anno passato, quando la Camera nega l'autorizzazione all'arresto di Marco Milanese: un gesto di ringraziamento politico, ma anche un'autentica manifestazione di intimità.

E così, in qualche modo, il cerchio si chiude, e un ciclo politicofinisce sotto il segno dello stesso simbolo con il quale era iniziato, tra squilli di trombe celtiche. Ovvero, dalla famigerata canotta, che dà il titolo al libro: al debutto espressione di un abbigliamento intimo provocatorio e piuttosto «prolet» ( do you remember Marlon Brando? ) che voleva comunicare vigoria, e, sul viale del declino fisico, quasi candida veste che prefigura una beatificazione dell'icona e della guida carismatica del «popolo padano».

2 - ESTRATTO DEL LIBRO "LA CANOTTIERA DI BOSSI" DI MARCO BELPOLITI PUBBLICATO DA "L'ESPRESSO"
Umberto Bossi è un senatore lombardo dal linguaggio rude che ama presentarsi con i capelli in disordine, la cravatta slacciata e abiti che gli cascano addosso... Quel disordine che appare così evidente in tutte le istantanee del Senatùr a partire dal 1987, quando è eletto per la prima volta in uno dei due rami del Parlamento di Roma, solo tre anni dopo aver fondato la "Lega autonomista lombarda", riguarda uno stereotipo, quello del bar di provincia frequentato da giovanotti che, con neologismo entrato nella lingua corrente, Federico Fellini ha definito "i vitelloni ", dal titolo del suo film del 1953: un giovane perdigiorno, abbastanza stagionato, che qualcuno bene o male mantiene...

Ecco, per capire lo stile e i gesti di Umberto Bossi bisogna partire da qui. Bossi è un vitellone, non uno dei ragazzi nullafacenti, sognatori, umanamente mediocri, degli anni Cinquanta, bensì un vitellone degli anni Settanta e Ottanta.

Per collocare la sua figura - Bossi è, a suo modo, egli stesso uno stereotipo, seppur nella sua unicità, una maschera, se si vuole, cioè un ruolo e insieme un attore - bisogna tornare a un episodio su cui si sono soffermati i rotocalchi e i settimanali trattandolo come un fatto di colore, che tuttavia, in un personaggio in cui il colore - ovvero lo stile, l'abito e i gesti, oltre alle parole - è tutto, riveste un ruolo significativo.

A vent'anni, tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio dei Sessanta, il futuro leader leghista ha tentato la carriera di cantante. Si fa chiamare Donato e gira per le balere con la sua band facendo il verso ai cantanti dell'epoca: Fred Buscaglione, Adriano Celentano, Giorgio Gaber. Ha fondato infatti un piccolo gruppo musicale e scritto delle canzoni. Una s'intitola "Col caterpillar", e contiene un brano che recita così: "Noi siam venuti dall'Italy / Abbiamo un piano / per far la lira / Entriamo in banca col caterpillar / e ci prendiamo il grano".

Arriva anche a Castrocaro, al festival per le voci nuove... Ma non vince. Incide tuttavia un 45 giri. Nel suo atteggiamento gestuale, nell'abbigliamento, nello stile, c'è dunque in Bossi qualcosa di Moraldo e Alberto, dei vitelloni felliniani, qualcosa, appunto, di provinciale. Se si osservano le foto del Senatùr all'epoca - nel 1987 ha quarantasei anni -, immagini assai rare in verità, si nota che indossa spesso la medesima giacca, a quadretti, le stesse cravatte.

Porta sopra il vestito un inconfondibile impermeabile di colore chiaro, che all'occorrenza tiene ripiegato sul braccio. Ricorda, almeno in questo, un personaggio di un serial televisivo, il tenente Sheridan, o, per la trasandatezza, piuttosto il tenente Colombo, interpretato da Peter Falck. Ma nelle pose che lo vedono incitare una folla di sostenitori e curiosi, il suo stile è quello del cantante.

Lo si capisce da come si atteggia davanti al microfono. Lo afferra con le due mani, si avvicina quasi per sussurrare, anche se poi la voce esce alta dall'impianto di amplificazione. Uno stile decisamente diverso da quello dei politici degli anni precedenti, democristiani, comunisti, socialisti, missini, che, sì, parlano davanti al microfono, ma sempre a debita distanza, come si trattasse di un oggetto interdetto, attraverso cui la voce per effetto magico si diffonde nell'etere.

Somigliano, in alcuni casi, ai predicatori che arringano la folla dal pulpito, e le loro posture sono rivolte più al pubblico che non all'oggetto che hanno dinanzi. Bossi, invece, sul palco è proprio un cantante. Si muove avanti e indietro senza lasciare il microfono, che tiene sempre molto vicino alla bocca, cammina come un urlatore degli anni Sessanta, o Settanta, un cantante italiano, per quanto certe mosse ricordino le pop star straniere.

Quando i fotografi cominciano a seguirne i comizi e le esibizioni, a Pontida, Bossi al termine di ciascuna si avvicina al bordo del palco sotto cui s'accalcano i fan; si inginocchia e firma autografi. Un atteggiamento da piccola stella, che è il riflesso dell'atteggiamento dei fan: tra il concerto rock e la partita di calcio. Quelle che i fotoreporter ritraggono nel pratone della cittadina bergamasca sono infatti delle vere e proprie kermesse, che ricordano in qualche modo le Feste dell'Unità, che a loro volta rinviano alle feste di paese.

 

UMBERTO BOSSI IN CANOTTIERACOPERTINA DEL LIBRO "LA CANOTTIERA DI BOSSI" DI MARCO BELPOLITIUMBERTO BOSSI A PONTIDA NEL 1990BOSSI MARONI Umberto BossiUMBERTO BOSSI MOSTRA L'AMPOLLA ALLA SORGENTE DEL PO.jpbBossi e il trota sul monvisoBOSSI IN CANOTTABOSSI IN CANOTTAbossi BOSSI A CALAZO DI CADOREIL DITO MEDIO DI BOSSI Umberto Bossi - foto di Stefano CavicchiIL GENTIL SENATORE UMBERTO BOSSI bossi Bossi rispolvera la canotta

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