SONDAGGIO O SON DESTO? – METODI VECCHI, CAMPIONI TROPPO PICCOLI, “GRAVI ERRORI TECNICI”: TRA “PROIEZIONI DADAISTE” E NUMERI A CASACCIO, L’ERRORE DEI SONDAGGISTI È STATO QUELLO DI SOTTOVALUTARE LA FORZA DI GRILLO FINO ALL’ULTIMO – DOPO IL FLOP DEGLI INSTANT POLL, NON SAREBBE IL CASO DI LASCIARLI PERDERE? LA PROSSIMA VOLTA PROVIAMO DIRETTAMENTE CON LA SFERA DI CRISTALLO O CON I FONDI DEL CAFFÈ…

Alessandro Barbera per "la Stampa"

Che è successo? Possibile che abbiano sbagliato un'altra volta? Incredibile che anche questa volta ci siamo cascati tutti... Eppure basterebbe un po' di memoria storica. Correva l'anno 1995: sicuro dei primi sondaggi, l'allora direttore del Tg4 Emilio Fede piazzò incautamente dodici bandierine in altrettante regioni di una grande mappa magnetica: erano quelle che avrebbero dovuto essere assegnate a Forza Italia. Alcuni sondaggisti gliene attribuivano nove, altri ne contavano quattro incerte. Finì esattamente all'opposto: l'alleanza Pds-Ppi vinse per nove a sei.

Che si tratti di exit poll (all'uscita del seggio) o instant poll (al telefono), poco cambia. Era accaduto nel 1996, nel 2001, nel 2006. Dopo l'ultimo flop, nel 2008, la Rai decise perfino di sospendere l'uso di queste rilevazioni. Fino all'ultimo i vertici di Viale Mazzini hanno dubitato se permettere o meno la diffusione dei dati, poi hanno deciso per il sì.

Ieri mattina chiunque avrebbe scommesso su una vittoria, seppur di misura, della coalizione di centrosinistra. Ci hanno creduto perfino i mercati, al punto di costringere i vertici di Borsa italiana a sospendere alcuni titoli come Unicredit per eccesso di rialzo. A meno che non fosse speculazione, se è vera la voce secondo cui una grande banca d'affari aveva sul tavolo lo scenario giusto, quello che accreditava il boom di Grillo.

Sia come sia, i sondaggi hanno sbagliato. Gli instant poll delle 15 danno il centrosinistra in chiaro vantaggio sia alla Camera che al Senato. Le prime proiezioni invertono i rapporti di forza, ipotizzando il centrodestra in chiaro vantaggio sul centrosinistra. I numeri dello spoglio ci racconteranno una verità ancora diversa, con il Pd in lieve vantaggio sugli altri, e però incapace di esprimere una maggioranza e tallonato dal M5S. Cos'è successo stavolta? Cosa non ha funzionato?

«Nei sondaggi ci sono stati gravi errori tecnici» dice Piergiorgio Corbetta dell'Istituto Cattaneo di Bologna. «In Italia i sondaggi si fanno spesso in maniera superficiale: su campioni piccolissimi e ancora basati sull'uso dei telefoni fissi». Basta avere un po' di confidenza con le nuove generazioni per sapere che la gran parte di loro il telefono fisso o non lo vuole perché usa solo il cellulare, o non se lo può permettere.

E a chi è andata la gran parte dei voti dei più giovani se non a Grillo, a cui i sondaggi attribuivano molti meno voti di quelli che poi prenderà? Corbetta conferma e chiude il cerchio: «Grillo ha risucchiato al Pd e al centrosinistra molti più voti di quanto si supponesse». L'errore dei sondaggisti questa volta potrebbe essere stato lo stesso della gran parte degli osservatori della politica: sottovalutare la forza di Grillo fino all'ultimo, persino a dispetto di quelle piazze straripanti di gente a Bergamo come a Roma, a Padova come in Sicilia.

Nicola Piepoli, il sondaggista scelto dalla Rai per le rilevazioni, ha una spiegazione diversa: «Evidentemente la gente ha spesso dichiarato di votare un partito e poi nelle urne ha fatto una scelta diversa. Il calcolo delle probabilità non è stato favorevole, ma con le proiezioni abbiamo man mano corretto quell'errore».

Fatti salvi i possibili errori di rilevazione citati da Corbetta, la tendenza a dire una cosa e farne un'altra nel segreto dell'urna è piuttosto consolidata nel carattere degli italiani. «Nell'urna Dio ti vede, Stalin no», dicevano i manifesti anti-comunisti di Giovanni Guareschi. Fra gli italiani che ieri nell'urna hanno scelto per esasperazione di votare per il comico genovese molti, evidentemente, hanno faticato ad ammetterlo.


2- MARATONE CONFUSE PER RICAMARE SUI NUMERI - FACCE IN PREDA AGLI INAFFIDABILI INSTANT POLL, NON SAREBBE IL CASO DI LASCIARLI PERDERE?
Aldo Grasso per "Il Corriere della Sera"

Le elezioni più fisiognomiche che l'Italia ricordi. Per tutto il pomeriggio di lunedì le facce sono state le vere protagoniste di questa tornata elettorale. Facce in preda agli inaffidabili instant poll (non sarebbe il caso di lasciarli perdere?), facce in preda alle proiezioni, facce in preda alle congetture.

Succede quando i voti procedono testa a testa. Succede quando sono sballati i dati della vigilia. Le facce di Gad Lerner e di Giorgia Meloni, le imperscrutabili facce di Enrico Letta e di Gaetano Quagliariello, le facce di Piero Fassino e di Stefano Fassina, le facce di Gianfranco Rotondi e di Ignazio La Russa, le facce dei conduttori, prezioso specchio emotivo dei continui cambiamenti di scenario, le facce dei barbudos del Movimento 5 stelle. A un certo momento non si capisce se ci debbano far ridere gli interventi di Geppi Cucciari o le proiezioni dadaiste di Nicola Piepoli.

L'ora è grave, come spesso ci succede, ma ormai siamo in mano ai sondaggisti, certi partiti che fino a ieri avevano il polso del Paese sembrano averlo perso del tutto. Nella confusione si organizzano maratone.

A partire dalle 15 di ieri ben quattro reti Rai (le tre principali più RaiNews24) hanno iniziato a ricamare sulle supposizioni, a conferma che ormai l'idea di servizio pubblico è un concetto arbitrario. Solo i game forti (in termini di audience) come «L'eredità», «Affari tuoi» e «Avanti un altro» riescono a interrompere la gara di resistenza.

L'aspetto più interessante è che la tv generalista, ancora una volta, è stata la grande protagonista di questa campagna, a riprova che il nostro è un Paese mentalmente vecchio. I partiti tradizionali, a cominciare da Silvio Berlusconi, hanno spremuto la tv con tutta la forza che era loro rimasta.

In un momento in cui i soldi non abbondano, ai partiti non è parso vero poter sfruttare il medium che di gran lunga resta il più informativo. Il paradosso è che la tv ha dovuto concedere ampio spazio anche a Beppe Grillo, la cui «notiziabilità» è cresciuta giorno dopo giorno.

Non c'è dubbio che siano state di grande effetto le proposte più demagogiche, quelle che meglio si adattano al populismo della tv, anzi una tv anni 80, quella creata da Berlusconi, con una comunicazione che ammaliava allo stesso modo Barbara D'Urso e Lucia Annunziata, Paolo Del Debbio e Michele Santoro, quella tipo «Te la do io l'Italia».

Con una novità: Grillo è riuscito a creare il terzo polo, unendo la piazza virtuale con quella reale, «scoprendo» la nuova sfera pubblica del web e trasformando le città toccate dallo «Tsunami Tour» in grandi palcoscenici.
Non si è vista la faccia di Pier Luigi Bersani, che era sicuro di stravincere, di «smacchiare il giaguaro». Di qui una comunicazione tutta giocata in difesa, incapace di suscitare qualche brivido, legata a metafore tardo-salgariane e a facce decotte.

 

 

PIEPOLI PAGNONCELLI ALESSANDRA GHISLERI Gad Lernergiorgia melonigrillo beppe berlusconi, santoroBERSANI

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