1. NAPOLITANO E MONTI IMBUFALITI, FARNESINA SOTTOSOPRA, E IL MINISTRO TERZI DI SANTAQUALCOSA CHE NON PROVA IL MINIMO SENSO DEL PUDORE DI MOLLARE TUTTO ED APRIRE UNA GELATERIA: “DIMETTERMI? IO FACCIO PARTE DI UN GOVERNO DIMISSIONARIO” 2. ERRORI SOSTANZIALI, OLTRE CHE DI MERITO. TERZI IERI È STATO "MESSO SOTTO PROCESSO" 3. ALLA FINE MONTIMER E BELLA NAPOLI HANNO RITENUTO MEGLIO LA FIGURA DI MERDA DELLA MARCIA INDIETRO PIUTTOSTO CHE ROMPERE I RAPPORTI POLITICI E COMMERCIALI CON GLI INDIANI. E IERI, SU CARTA INTESTATA DI PALAZZO CHIGI E NON DELLA FARNESINA, VIENE DIVULGATA LA COMUNICAZIONE (PER QUALCHE ORA COPERTA DA SEGRETO DI STATO) CHE IL GOVERNO HA REVOCATO LA DECISIONE DI TRATTENERE I DUE MARO’

1 - IL RETROSCENA SULLA VERGOGNA MARÃ’: TERZI HA FATTO TUTTO DA SOLO
Da "Libero"

Errori sostanziali, oltre che di merito. Il ministro degli Esteri, Giulio Terzi, ieri è stato "messo sotto processo" durante la riunione del Cisr (il comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica) e alla fine della tesa riunione sul caso dei marò rispediti di fretta e furia in India una cosa è certa: ha fatto tutto da solo. "Palazzo Chigi e il Quirinale non sono stati coinvolti in modo adeguato nella decisione, non almeno al livello che sarebbe stato naturale per una decisione di questo tipo", racconta chi ha assistito al Corriere della Sera.

Monti sarebbe irritatissimo e il suo sentimento farebbe il paio con quello di Napolitano: entrambi, trapela dalla riunione, non erano stati informati della decisione di non far rientrare i due fucilieri in India al termine del permesso concesso da New Delhi in occasione delle elezioni. L'irritazione verso la Farnesina sarebbe cresciuta negli ultimi giorni in maniera direttamente proporzionale con le reazioni indiane.

E così alla fine si è ritenuto meglio la figuraccia della marcia indietro piuttosto che rompere i rapporti con gli indiani: rapporti non solo politici, ma anche commerciali e industriali. E così alla fine ieri, su carta intestata di Palazzo Chigi e non della Farnesina, viene divulgata la comunicazione (per qualche ora coperta da segreto di Stato) che il governo ha revocato la decisione.


2 - TERZI "NON RISCHIANO PIÙ LA PENA DI MORTE GIUSTO LO STRAPPO, NON MI DIMETTO"
Fabio Bogo per "la Repubblica"

I marò tornano in India, ma la bufera sulla Farnesina non si placa. Il ministro Giulio Terzi è però convinto che tutto sia andato per il meglio: «La situazione - dice - si sta normalizzando, e non stiamo mandando i nostri militari allo sbaraglio, incontro ad un destino ignoto. Non rischiano la pena di morte».

Ministro, valeva la pena di alzare i toni con l'India e arrivare ad uno strappo diplomatico così pesante se poi siamo stati costretti a rimandarli indietro?
«Credo proprio di sì. Senza lo strappo non avremmo potuto contrattare con il governo indiano le condizioni attuali, che prevedono per loro condizioni di vivibilità quotidiana nel paese e la garanzia che non verrà applicata la pena massima prevista per il reato di cui sono accusati. Su questo adesso non abbiamo più preoccupazioni».

Attilio Regolo rientrò a Cartagine, e fece una brutta fine. Non sente su di sé la responsabilità di averli fatti rientrare?
«No, assolutamente. Erano condizioni diverse, vigeva il diritto romano e Cartagine non lo applicava. Noi ci muoviamo nell'ambito di leggi internazionali, che devono essere rispettate. Confidiamo che ciò avvenga».

Cosa è cambiato rispetto a due settimane fa?
«La tensione è salita, si sono manifestate preoccupazioni anche per l'incolumità del nostro ambasciatore, la vicenda ha avuto un risalto internazionale che ha interessato anche l'Onu e la Ue. Noi abbiamo continuato a lavorare a tutto campo e questo ha consentito di poter fare con gli indiani alcune verifiche. Ritengo che la mossa di riportarli in Italia e comunicare che non sarebbero rientrati abbia avuto l'effetto che ci aspettavamo, clamore a parte. Le iniziative delle procure militari e civili inoltre hanno dimostrato che anche dal punto di vista della nostra giustizia Roma non sta con le mani in mano».

Può darsi, ma resta il fatto che i due marò adesso ritornano in un paese che li vuole processare per omicidio. Un reato per cui è prevista, nei casi estremi, la pena di morte. Come glielo avete comunicato?
«Io personalmente non ho parlato con loro, lo ha fatto il presidente del Consiglio. Ho sentito invece le loro famiglie. Credo che in casa ne abbiano discusso. Sanno di avere il sostegno del governo italiano e l'impegno dell'Italia a far si che la situazione si risolva nel migliore dei modi. In tutti i casi vogliamo riportare i nostri due fucilieri a casa. Deve essere chiaro che il nostro sforzo non finisce qui. Con l'India abbiamo aperto adesso un canale di comunicazione diplomatica e giuridica che riparte da presupposti diversi, e che si basa sul principio del mutuo rispetto tra i due paesi, così come ha chiesto l'Onu più volte».

Ritiene che questo possa bastare a tranquillizzarli?
«Ripeto, le cose ora vanno viste in una luce diversa. È nostra opinione che non ci siano più le preoccupazioni che avevamo in precedenza. L'accordo con l'India prevede che il caso in questione, per le sue modalità, non rientri tra quelli in cui possa comminarsi la pena massima prevista dal loro codice».

La decisione è stata presa oggi in un consiglio dei Ministri che qualcuno racconta essere stato piuttosto animato.
«Le posso dire che all'interno del consiglio ci sono state sensibilità diverse tra i ministri, ma che tutti hanno lavorato a fondo con la volontà di trovare una soluzione che fosse equa, che ripristinasse dei regolari rapporti diplomatici con l'India e che ci desse
garanzie sulla sorte dei nostri fucilieri. Credo che ognuno abbia fatto al sua parte».

Da molti giorni, e specialmente oggi non appena appresa la decisione di fare retromarcia, tanti chiedono le sue dimissioni.
«Non ne vedo il motivo. In questi mesi abbiamo lavorato con impegno, cercando sponde diplomatiche e giuridiche per risolvere la situazione. Dimettermi? Io faccio parte di un governo dimissionario. E le dimissioni, se è per questo, me le chiedono sin da quando la nave Enrica Lexie è attraccata nel porto di Cochi, con polemiche e strumentalizzazioni che ritengo del tutto ingiustificate».

3. LA DISPERAZIONE DEI FUCILIERI «OBBEDIAMO»
Alessandra Arachi per il "Corriere della Sera"

Questa volta è stata dura. Certo, subito dopo c'è stata la telefonata del presidente della Repubblica, le rassicurazioni del ministro degli Esteri, la scorta fisica del sottosegretario Staffan De Mistura. Ma Salvatore e Massimiliano quella notizia era davvero l'ultima cosa che aspettavano quando è squillato il telefono lì, nelle loro case, uno a Bari e l'altro a Taranto, accanto ai loro bimbi piccoli, alle mogli, alle sorelle. Alla loro disperazione. Improvvisa: «Obbediamo».

I fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre ieri hanno dovuto sbattere dentro uno zaino i loro vestiti, uno spazzolino da denti. La Farnesina li ha convocati a Roma per comunicare la decisione: sarebbero dovuti tornare in Kerala. In India. Dai loro giudici. Che restassero tranquilli, tuttavia, il sottosegretario De Mistura li avrebbe accompagnati. In India non li avrebbero trattati male. Salvatore e Massimiliano sono rimasti basiti, anche il loro rispetto delle regole militari ha vacillato davanti a questa scelta. Ma sono fucilieri di Marina che hanno fatto dell'ordine e della disciplina i loro principi di vita e si sono lasciati convincere, sebbene dentro lo zaino abbiano sbattuto pure la paura di non tornare mai più in Italia.

E dire che sono passati appena dieci giorni da quando un'altra doccia fredda li aveva raggiunti nelle loro case della Puglia. Quella volta era stata una ventata di gioia. Un raggio di sole. La Farnesina l'11 marzo li aveva avvisati dell'esatto contrario, che in India non sarebbero tornati mai, poco importava che il permesso che le autorità del Kerala avevano dato loro per venire a votare alle elezioni scadeva il 22 marzo. L'Italia aveva deciso: i marò, i suoi marò, non sarebbero tornati in un Paese che non rispettava i trattati internazionali.

Quel lunedì pomeriggio Salvatore si era lasciato andare: «Sono contento», aveva detto con un sorriso tirato e aveva fatto capire che la gioia di tornare al lavoro, nel suo reggimento di Brindisi, era qualcosa di difficile da spiegare e tutta da vivere, accanto ai loro cari. Quel pomeriggio Salvatore e Massimiliano si erano telefonati come i compagni di scuola invitati alla festa più bella. Avevano chiamato i loro avvocati. Avevano ringraziato l'Italia e tutte le sue istituzioni. Un sogno durato, appunto, dieci giorni appena.

Ieri in serata, quando i due marò sono rientrati in Puglia per salutare i parenti, la disperazione è dilagata. Massimiliano ha faticato a tirar su il suo bagaglio per raggiungere l'aeroporto di Brindisi. Salvatore Girone ha guardato i suoi cari: «Vi amo più di me stesso. Per impedire che qualcuno possa dire che l'Italia non mantiene la parola data devo tornare in India». Oggi si ritroveranno in Kerala. La sensazione sarà di essere dentro a un incubo.

 

 

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