IL BELLO DEL MATTONE - CHE NE È DELLE 4 CASE CHE HANNO FATTO E DISFATTO LA POLITICA? - A MONTECARLO, DOVE ABITAVA TULLIANI, È TORNATO IL NOME (DEL FANTASMA?) DELLA CONTESSA COLLEONI, E IL COGNATO DI FINI E’ DESAPARECIDO - SCAJOLA HA ANNUNCIATO LA VENDITA MA DI ROGITO NON C’È TRACCIA - MILANESE CONTINUA A PAGARE 8500 € PER LA CASA CHE DIVIDEVA CON TREMONTI - E IL BANANA NON SI È MAI PRESENTATO A LAMPEDUSA A GODERSI LA VILLETTA…

1- QUATTRO CASE, QUATTRO MISTERI
Da "La Stampa"

Un anno fa la politica italiana ruotava ancora attorno alle vicende di ville e appartamenti: che fine hanno fatto?

La politica ci ha ballato sopra e intorno per un anno, e qualcuno lo aveva definito il «ballo del mattone». Quattro case, quattro storie diverse che hanno acuito le divisioni tra i protagonisti della battaglia parlamentare. La casa di fronte al Colosseo è costata il posto al ministro ligure Scajola, che l'aveva acquistata a un prezzo tropo basso rispetto al mercato. Un regalo del quale si è sempre dichiarato inconsapevole. Quella di Montecarlo ha messo in crisi il presidente della Camera Fini, perché l'appartamento, lasciato in eredità al partito, era finito nella disponibilità del cognato.

Un altro appartamento romano è costato non pochi imbarazzi all'ex ministro Tremonti, che occupava le stanze affittate da Milanese, suo collaboratore finito in pesanti guai giudiziari. Infine la villa di Lampedusa, che Berlusconi acquistò per dimostrare come l'isola invasa dai profughi fosse sempre appetibile. Una manovra propagandistica, si disse. Siamo tornati in quelle case, per scoprire che solo qualcosa è cambiato.


2- LA VENDITA "FANTASMA" ALL'OMBRA DEL COLOSSEO
Grazia Longo per "La Stampa"

Dall'acquisto «a mia insaputa», alla vendita fantasma. Chissà perché in materia di case, le scelte e il portafoglio dell'onorevole Claudio Scajola sono sempre circondati da un'atmosfera di incertezze, dubbi, stupore.

Due anni fa, all'indomani dello scandalo dell'appartamento romano con vista sul Colosseo - acquistato, secondo la procura di Roma, con i soldi di Anemone, figura cardine dell'inchiesta sugli appalti del G8 - Scajola dichiarò: «Ho scoperto dai giornali che qualcuno ha comprato la mia casa a mia insaputa».

Quel «a mia insaputa» diventò in un baleno il tormentone dell'estate, tanto pareva impossibile che qualcuno si potesse ritrovare proprietario di 180 metri quadri ignaro di chi avesse pagato. Scajola è sotto processo per concorso in finanziamento illecito a un singolo parlamentare.

E a due anni di distanza esitazioni e tentennamenti regnano ancora sovrani. «Ho venduto la casa al Colosseo» dichiarò quasi tre mesi fa l'ex ministro dello Sviluppo economico. Eppure ancora oggi non c'è né un rogito notarile, né tanto meno un preliminare di vendita trascritto. Com'è possibile? «Non dipende da me - si giustifica il deputato -, la registrazione è a cura dell'acquirente. Siamo ancora ai primi passi, alla fase del compromesso di vendita. È lui che deve occuparsi della trascrizione non io». Ma siamo sicuri che ci sia un acquirente? «Certamente - taglia corto - ma non posso rivelarne l'identità per ovvie ragioni».

E perché il rogito notarile tarda a decollare? «Ci sono ancora alcuni aspetti da chiarire, da definire meglio». Quali? «Non posso scendere in particolari. Su quell'alloggio s'è già scritto e detto perfino troppo. E io sono ingiustamente perseguitato». Con i suoi fedelissimi l'ex ministro del Pdl si definisce «un martire» e pubblicamente continua a professare la sua innocenza e la sua estraneità al pagamento del mezzanino in via del Fagutale, a due passi dal Colosseo. Con la stessa nonchalance ribadisce oggi che la casa è venduta anche se per ora non risulta da nessuna parte. Una bella rogna, non c'è che dire, soprattutto perché di mezzo c'è un processo in corso.

Per la pubblica accusa l'imprenditore Diego Anemone sarebbe dietro la casa del Colosseo tramite l'architetto Angelo Zampolini, che avrebbe messo una tranche (1,1 milioni di euro su 1,7 milioni) della somma versata il 6 luglio 2004 da Scajola per comprare l'alloggio. Non solo. Secondo i magistrati Anemone avrebbe sostenuto anche le spese per la ristrutturazione. Per un totale di 100 mila euro, a cura di tre imprese edili riconducibili a lui. Scajola avrebbe pagato l'appartamento in parte con denaro proprio (per cui aveva acceso un mutuo). Il resto sarebbe arrivato attraverso 80 assegni circolari da 12.500 versati alle due sorelle Papa, proprietarie dell'immobile.

La prima udienza del processo era stata fissata per lo scorso 26 giugno, ma è slittata per un impegno del giudice monocratico in un'altra causa.

La prossima udienza è stata fissata per il 16 ottobre e in tanti sono pronti a scommettere che il processo si giocherà sui termini di prescrizione del reato, nel 2014. Ma Giorgio Perroni, legale dell'ex ministro ha sottolineato come l'obiettivo della difesa sia quello di «chiarire, con prove documentali e testimoniali, l'assoluta estraneità di Scajola alle accuse mossegli». Nel corso dell'udienza di un mese fa, tra l'altro, i difensori degli imputati hanno depositato la lista dei testimoni, tra questi anche la soubrette Lory Del Santo.


3- IL CONTRATTO MAI DISDETTO IN VIA CAMPO MARZIO
Grazia Longo per "La Stampa"

Non ci ha mai abitato in passato (infatti l'alloggio era occupato dall'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti) e continua a non viverci oggi. L'affitto però, quello continua a pagarlo regolarmente perché il contratto è ancora in vigore.

Non solo case, comunque. Sullo sfondo della vicenda dell'appartamento offerto-affittato (dipende dai punti di vista di chi accusa e di chi si difende) dal deputato Pdl Marco Milanese all'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti, si affastellano tante ipotesi di reato. Tutte avanzate dalle procure di Roma e di Napoli contro Milanese: dai legami con la loggia massonica P4, all'aver divulgato notizie su inchieste giudiziarie, l'aver favorito nomine in aziende pubbliche in cambio di denaro, macchine di lusso, barche e gioielli.

Fu proprio nell'ambito di quelle indagini che lo scorso anno emerse una notizia che creò non pochi imbarazzi.

Marco Milanese - ex tenente colonnello della Guardia di Finanza chiamato da Tremonti nel 2002 a lavorare al ministero - paga ancora 8.500 per l'affitto dell'appartamento di via Campo Marzio a Roma. Il mantenimento del contratto è, del resto, ribadito anche nella memoria difensiva consegnata da Milanese alla Giunta per le autorizzazioni sulla richiesta d'arresto. Come sappiamo la richiesta è stata rispedita al mittente e il deputato non ha fatto un giorno di carcere.

Ha dovuto però spendere parecchio tempo ed energie per togliersi e togliere dall'impiccio Tremonti. Secondo i magistrati ogni mese Angelo Proietti consegnava a Marco Milanese «10 mila euro per pagare l'affitto della casa di Tremonti». In cambio Milanese sponsorizzava appalti da affidare all'imprenditore di Edil Ars, l'impresa che aveva fatto i lavori di ristrutturazione della casa di via Campo Marzio 24.

«La mia unica abitazione è a Pavia - rispose piccato il ministro dopo le indiscrezioni giornalistiche sulle indagini della procura napoletana -. Per le notti che da più di quindici anni trascorro a Roma, ho sempre avuto soluzioni temporanee, prevalentemente in albergo e come ministro in caserma. Poi ho accettato l'offerta fattami da Milanese, per l'utilizzo temporaneo di parte dell'immobile nella sua piena disponibilità e utilizzo». Parole a cui seguì, fulminea, la decisione di traslocare: «Apprese le notizie giudiziarie relative all'immobile per ovvi motivi di opportunità cambierò sistemazione».

E così fece. Milanese, dal canto suo, ha sempre continuato a sostenere - anche pubblicamente in tv - che per quell'alloggio di via Campo Marzio Tremonti pagava regolarmente. A Porta a Porta dichiarò che «i passaggi di denaro fra loro due avvenivano per l'utilizzo della casa di Campo Marzio».

E alla domanda sul perché Tremonti lo pagasse in contanti, Milanese rispose: «Prende lo stipendio da ministro in contanti e quindi... Quando la legge obbligherà a pagare con carta di credito...». Chiarendo, peraltro, che i soldi non erano in nero perché provenivano dallo stipendio.

La difesa che Milanese fa di Tremonti, insomma, è a spada tratta: «Con lui non c'è alcun rapporto strano, finanziario, economico o opaco. Quella casa non nasconde misteri. I magistrati ci sono ci sono arrivati tramite i miei conti». Nessun mistero. Neanche oggi. Chissà perché, però, il contratto non viene disdetto.


4- MONTECARLO, SUL CITOFONO RISPUNTA LA CONTESSA
Giulio Gavino per "La Stampa"


Colpo di scena. A due anni dal caso-Tulliani, quando il cognato del presidente della Camera Gianfranco Fini venne sorpreso a soggiornare da inquilino nella casa monegasca che lo stesso Fini aveva venduto (come presidente di An) ad una società estera dopo averla ricevuta in eredità da una contessa devota ad Almirante e sua fan sfegatata, dal citofono di Villa Milton il nome di Tulliani è scomparso ma, a sorpresa, è apparso il cognome Colleoni, lo stesso della nobildonna Anna Maria che aveva disposto quel generosissimo lascito.

Possibile che nel valzer di società off-shore che si erano passate la proprietà dell'appartamento tra i Caraibi e le Antille alla fine ci sia proprio un Colleoni di mezzo? Avrebbe dell'incredibile. Premesso che nel Principato, ma anche in Italia, sulla targhetta del citofono uno ci scrive un po' quello che vuole, quella scritta comparsa nel Principato, a Villa Milton, dopo tutto quello che è successo suona decisamente ironica, a meno che non esista una spiegazione plausibile. Peccato che non si sappia bene a chi chiederla visto che della titolarità alla gestione di quell'appartamento in boulevard Princesse Charlotte 14 si è persa ogni nozione.

E nella palazzina nessuno sa o dice nulla. Quando il cronista mostra la foto di Gianfranco Tulliani tutti scuotono la testa e fanno la faccia di chi non l'ha mai visto. L'ingegner Giorgio Maria Mereto, che ha gli uffici a piano terra, smarrisce l'italico pregio dell'ospitalità e si nega. Françoise, inquilino al terzo piano, scuote la testa e dribbla la pagina di giornale con un imbarazzato «pardon». Poco più in là Roberto Corona dal suo negozio di specialità italiane ribadisce di non conoscere quel volto. L'ambasciatore d'Italia alla corte di Ranieri, Antonio Morabito, nel Principato rappresenta la Repubblica dall'autunno 2010 è cortese ma telegrafico: «Tulliani? Mai visto né agli eventi che riguardano la comunità italiana, nè in altri contesti».

Le bocche sono cucite anche nei circoli del jet set che battono night e feste private. La Ferrari blu di Tulliani se la ricordano tutti ma solo in quell'estate di due anni fa. Per scrupolo il cronista si è calato nei cinque piani del parcheggio interrato del Novotel adiacente a Villa Milton e di Ferrari blu non c'era l'ombra. Dall'agosto del 2010, quando venne alla luce il caso del cognato del presidente Fini affittuario dell'appartamento a Monaco, poche cose sono cambiate a Villa Milton.

Una sono tutte le targhette del citofono, e qualcuno avrà pur detto all'amministratore del condominio di scrivere Colleoni in corrispondenza di quell'interno, quello dove prima c'era Tulliani. Ma a Monaco, dove ti guardano male e chiamano i gendarmi se solo fai una foto ad un palazzo, l'amministratore non apre neppure la porta se non sei un inquilino. Del resto qui la privacy è parte del Pil. E la storia della vendita? La vicenda, che pure aveva visto l'iscrizione a registro degli indagati del presidente Fini, è stata archiviata dalla magistratura nel 2011.

Adesso c'è la causa civile, quella che due esponenti de «La Destra» hanno intentato chiedendo un risarcimento visto che quell'alloggio lasciato in eredità dalla contessa sarebbe stato venduto a un prezzo di gran lunga inferiore a quello di mercato (pare solo 300 mila euro). A puntare i piedi sono stati Roberto Buonasorte e Marco Di Andrea: «A maggio c'è stato il tentativo di conciliazione - spiega Buonasorte - e ci siamo sorpresi che il presidente Fini non si sia presentato. A novembre ci sarà l'udienza di comparizione delle parti e l'inizio della causa civile. Staremo a vedere». Intanto, la casa di Montecarlo dove viveva Tulliani, almeno in apparenza, è tornata alla sua vecchia proprietaria.


5- SULL'ISOLA IL CAVALIERE NON SI È PIÙ VISTO
Laura Anello per "La Stampa"

Eccola qui, con le due palme che si stagliano sul cielo cobalto, la facciata candida, le persiane verdi fatte per spalancarsi sul mare di Cala Francese. E invece chiuse, ostinatamente chiuse. Dal 30 marzo dell'anno scorso, quando Silvio Berlusconi annunciò solennemente di avere comprato questa villa a Lampedusa, si sono aperte soltanto una volta, all'apparire sull'isola di un paio di architetti venuti a prendere le misure. Un altro sussulto tre mesi fa, quando agli uffici della società elettrica, la Selis, arrivò una richiesta di allaccio inoltrata dall'ex premier in prima persona, con tanto di fotocopia di carta d'identità in allegato: Berlusconi Silvio. Poi più nulla.

Chi aveva immaginato che il Cavaliere abbandonasse le sue magioni in Sardegna per trascorrere qui qualche scampolo d'estate si sbagliava di grosso. Ma erano pochi a crederci. Perché sin dal primo giorno questo edificio di 330 metri quadrati con due camere al piano terra, altrettante al piano superiore, otto posti letto, tre bagni, due verande di cui una «con un comodo divano in vimini e alcune sedie», un gazebo dove si può mangiare sia di giorno che di sera, un giardino di due ettari - come recitava la descrizione dell'agenzia immobiliare - sembrò una toppa cucita in fretta e furia per coprire la promessa dell'allora presidente del Consiglio di diventare lampedusano.

Di mettere radici nell'isola trasformata in prigione-bivacco per migliaia di immigrati e diventata vergogna internazionale. Giorni difficilissimi. Con il collega dell'Interno Maroni impegnato a dimostrare alla sua base leghista che i disperati dei barconi qui approdavano e qui restavano. E, contemporaneamente, a fare pressione sull'Europa perché si decidesse a non lasciare sola l'Italia di fronte agli esodi di massa del Maghreb.

Dopo settimane di disperazione, Lampedusa fu svuotata. E Berlusconi arrivò poche ore dopo, a parlare di emergenza superata, a promettere campi da golf sulla terra arsa e brulla, a sognare un «piano colore» in stile Portofino sul cemento abusivo e casuale che popola il paese, a lanciare la candidatura dell'isola per il Nobel della Pace. Ciliegina sulla torta, l'annuncio di avere comprato casa, «per starvi vicino, per essere come voi». «Una bufala», lo accusò l'opposizione, mentre si susseguivano smentite e conferme di trattative immobiliari.

Fu allora che Silvio sfoderò la carta di Villa Due Palme, «di fronte a Costa Francese», sbagliò. La gente lo corresse: «Cala Francese». Il Foglio pubblicò il preliminare d'acquisto con le fotocopie degli assegni della caparra. A firmare, il ragioniere Giuseppe Spinelli, lo stesso uomo di fiducia che elargiva «aiutini» alle ragazze dell'Olgettina.

Costo della villa, un milione e 700 mila euro, spicciolo più, spicciolo meno. Tutti qui si chiesero che cosa mai se ne sarebbe fatto di una residenza lontana anni luce dai suoi standard. Che da anni aspettava invano un acquirente e nel frattempo veniva affittata a settimana dall'agenzia «Vulcano Consult»: 2.500 euro in bassa stagione, 3.500 a luglio e ad agosto.

Affacciata su una spiaggia pubblica, i voli del vicino aeroporto a sfrecciare continuamente sulla testa, la strada d'accesso che è un cul de sac, nessuna uscita alternativa. E infatti la villa è rimasta vuota. In compenso è diventata tappa obbligata dei turisti. «Ecco la casa di Berlusconi», dicono i ragazzi dei giri organizzati. «E lui dov'è?», chiede il popolo in bermuda. «Lui? Non c'è».

 

 

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