1- NIENTE, NON HA ALCUNA INTENZIONE DI MOLLARE PRIMA DI UN VOTO IN PARLAMENTO, “DARLA VINTA A CASINI E FINI SIGNIFICA TRADIRE IL PAESE E ME STESSO, NON LO FARÒ MAI” 2- L’ULTIMO GIAPPONESE: “IO NASCO NELLE URNE, ALLA LUCE DEL SOLE, E SE DEVO MORIRE LO FACCIO IN PARLAMENTO, NON MI DIMETTO PERCHÉ LA CARLUCCI PASSA CON L'UDC O PERCHÉ LA BERTOLINI HA DEI DUBBI. AVRÒ FATTO DEGLI ERRORI, MA NON RINUNCIO AI MIEI PRINCIPI E A QUELLO CHE RAPPRESENTO PERCHÉ UN'OPPOSIZIONE IRRESPONSABILE DICE DI TENERE AL PAESE ED È PRONTA A NON VOTARE LE MISURE ECONOMICHE” 3- CONSIGLIO DI GUERRA A ARCORE. MARINA B. PIÙ AGGUERRITA DEL PADRE: “DIMISSIONI MAI” 4- CONFALONIERI RIASSUME IL FINALE DI PARTITA DEL BANANA: “SPIEGA TUTTO AI CITTADINI E VAI IN AULA, NON SI ESCE DI SCENA CON DISONORE, COME UN CODARDO CHE HA PAURA DI AFFRONTARE LA PROVA PIÙ DIFFICILE GETTANDO AL VENTO 17 ANNI DI POLITICA”

1- SE PROPRIO DEVO MORIRE LO FARÃ’ IN AULA
Marco Galluzzo per il Corriere della sera

Ammette per la prima volta che ha commesso degli errori. Con Letta e con Alfano, a notte fonda, c'è spazio per un filo di autocritica, ma una cosa nelle ultime ore Berlusconi non ha mai fatto: dire di sì a un suo passo indietro, assecondare una crisi che non sia parlamentare.«Finirà che mi sono dimesso senza saperlo».

Ad Arcore, ieri pomeriggio, il Cavaliere riusciva ancora a pescare nell'ironia: pranzo con i figli, che appoggiano la linea della resistenza, chiacchiere con alcuni amici, i più intimi, con Ghedini e Confalonieri, visite di ministri, di Rotondi, quindi di Calderoli, ma soprattutto conferma in privato di quello che dice in pubblico; non ha alcuna intenzione di voltare pagina prima di un voto in Parlamento, «darla vinta a Casini e Fini significherebbe tradire il Paese e me stesso, cosa che non farò mai».

La linea non è cambiata di un punto rispetto ai giorni scorsi. Nonostante lo spread, le notizie destituite di fondamento, i rumor di dimissioni imminenti e inesistenti. Lo ha detto a Gianni Letta, ai ministri che lo invitano a prendere in considerazione strade diverse. I ragionamenti nelle ultime ore hanno avuto tratti drammatici: «Siete voi che non capite, io nasco nelle urne, alla luce del sole, e se devo morire lo faccio in Parlamento, non mi dimetto perché la Carlucci passa con l'Udc o perché la Bertolini ha dei dubbi. Avrò fatto degli errori, ma non rinuncio ai miei principi e a quello che rappresento perché un'opposizione irresponsabile dice di tenere al Paese ed è pronta a non votare le misure economiche».

Il pressing sull'uomo è diventato molto forte, ma è lui stesso a denunciare «la disinformazione che anche i miei stanno facendo circolare». Circolano voci di una divergenza crescente fra lo stesso Gianni Letta e il capo del governo, dettagli sul disimpegno sempre maggiore di Tremonti, sullo sbando degli uffici tecnici, che fra Economia e presidenza del Consiglio sarebbero privi di una guida: ma è l'aria che si respira, dove l'unica cosa certa appare la linea politica dell'uomo, che resta però sprovvista dei provvedimenti necessari per darle corpo; anche ieri del maxiemendamento alla legge di stabilità non c'era traccia, dovrebbe arrivare a Palazzo Madama non prima di domani.

In questo clima è chiaro che lo stesso Berlusconi ha messo nel conto le elezioni anticipate e non vede altra soluzione in caso di sfiducia parlamentare. Non le vuole, ma si dice pronto, anche se non lo è il suo partito, anche se Alfano e Maroni vorrebbero che Lega e Pdl proseguissero nella legislatura, per risalire nei consensi, prima di affidarsi nuovamente al giudizio degli elettori.

Ma sono calcoli che in questo momento il Cavaliere non fa, l'unico ragionamento che ripete è il filone classico del suo pensiero politico: nessun governo diverso da quello uscito dalle urne, qualsiasi soluzione diversa sarebbe un ribaltone, non potrebbe essere tollerata dal Quirinale, condurrebbe l'Italia al disastro, perché assolutamente incapace di fare quello che ci chiedono le istituzioni comunitarie e internazionali.

Ovviamente questi sono i tratti di un pensiero che traballa, che ha le sue indecisioni, i suoi momenti di tormento, in cui la rabbia fa capolino insieme alla voglia di «vedere in faccia i traditori», di cui si dice «schifato», o alla convinzione che Casini e Fini e tutti coloro che oggi stanno lusingando i parlamentari del Pdl con lo spettro delle urne stiano solo facendo del «terrorismo politico, che alla fine condurrà al voto anticipato invece di scongiurarlo».

E anche per questo ragionamento ieri Berlusconi continuava a chiamare a uno a uno gli indecisi, diffondeva la sua linea, ripeteva ai parlamentari che «un governo di larghe intese è tramontato, fatevene una ragione», sperando che i voti di oggi pomeriggio sul rendiconto, a Montecitorio, saranno alla fine sufficienti per un'inversione di rotta o per un'ultima illusione: «Riuscire a dimissionare Tremonti e presentare al Paese delle misure eccezionali».

Progetto che per alcuni è soltanto l'ennesima speranza di un premier che non ha altra linea se non quella della resistenza, e che invece dentro il governo fa ancora dei proseliti, almeno fra coloro che ritengono che il tempo non sia ancora scaduto e che Berlusconi alla fine riesca a sopravvivere, contro qualsiasi pronostico.

2- PRANZO CON I FIGLI. MARINA: L'ASSEDIO NON LO FERMERÀ - CONFALONIERI: SPIEGA TUTTO AI CITTADINI E VAI IN AULA, NON SI ESCE DI SCENA CON DISONORE
Federico De Rosa per il Corriere della sera

Andare avanti. Fino in fondo. Non che avesse bisogno di consigli ma la «mozione degli affetti» di Silvio Berlusconi ha avuto l'effetto di confermare la sua strategia. Come tutti i lunedì ieri ad Arcore il premier ha riunito la famiglia per un pranzo «allargato». C'erano i figli, quelli già attivi nelle aziende del gruppo, Marina e Pier Silvio, e quelli che si stanno preparando, come Eleonora, arrivata a Villa San Martino da sola, senza i fratelli Barbara e Luigi. E c'era l'amico di sempre Fedele Confalonieri e con lui l'avvocato Niccolò Ghedini, presenza fissa alla tavola del lunedì con il consigliere Bruno Ermolli e l'amministratore delegato della Fininvest, Pasquale Cannatelli.

Il clima, certo, non era quello solito. Ci sarà stato anche il tempo per parlare del Milan, dei nipotini, di alleggerire insomma l'aria pesante che da Roma ieri ha spirato per tutto il giorno verso Arcore. Non era però un clima da «fine del mondo». Al di là della cornice, i pranzi del lunedì a Villa San Martino sono molto informali. Capita che siano interrotti da ospiti che vanno e vengono, da telefonate, che ieri sono state tante.

È un pranzo in famiglia, nulla di più, anche se la famiglia si chiama Berlusconi e questo rende il tutto un po' speciale. Ma non è un consulto né, come a volte qualcuno lo ha definito, soprattutto nei momenti più difficili, «un consiglio di guerra». Non lo è stato nemmeno ieri. Berlusconi non cerca consigli. Ma sostegno sì, dalle persone più vicine. E ieri nessuno dei suoi glielo ha fatto mancare.

È logico che in un momento come questo Marina, Pier Silvio, Confalonieri pensino anche al futuro delle aziende che guidano. A quello della Fininvest, di Mediaset, della Mondadori. E sicuramente anche di questo si è parlato ieri. Ma pur con la consapevolezza che la fine della parabola politica stavolta rischia di essere davvero vicina, nessuno ha messo in dubbio la scelta del Cavaliere di non dimettersi.

Quali siano le posizioni di chi è più vicino a Berlusconi d'altra parte è noto. E non sono certo cambiate nelle ultime ore, come lo stesso premier ha potuto constatare. Giusto venerdì alcune indiscrezioni riferivano di una Marina Berlusconi più agguerrita del padre. La presidente della Fininvest è convita che il Paese vada alla rovescia, che pur di liquidare politicamente il premier l'Italia stia giocando contro il suo stesso interesse.

E ieri lo avrebbe ripetuto, condividendo la scelta di andare fino in fondo. Di chiedere la fiducia in Parlamento. Dimissioni? Mai. A Roma lo assediano, avrebbe detto, ma non riusciranno nell'intento di far fare al premier un passo indietro, perché lui è deciso ad andare avanti.

Ancora più netto sarebbe stato Confalonieri. Non vede altra possibilità che quella di chiedere il voto di fiducia. Altrimenti vorrebbe dire lasciare il campo «con disonore», come un codardo che ha paura di affrontare la prova più difficile gettando al vento 17 anni di politica.

C'è un percorso chiaro e quello va seguito, avrebbe fatto presente durante il pranzo il presidente di Mediaset. Quindi alle Camere. Dovrà essere il Parlamento a dire no alle richieste della Ue spingendo il Cavaliere al passo indietro, che può avvenire solo a questa condizione. Come già altre volte in passato Confalonieri avrebbe anche consigliato di spiegare direttamente ai cittadini cosa vuole fare. Qual è il percorso. Uno spunto in più su cui riflettere. Ammesso che le manovre di Palazzo gliene diano il tempo.

 

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