LA PROCURA DI PALERMO METTE RE GIORGIO IN FREEZER - I PM SFIDANO IL COLLE: INTERCETTAZIONI SARANNO DISTRUTTE TRA UN MESE O DUE: BISOGNA ASPETTARE LE MOTIVAZIONI DELLA CONSULTA - “LA CORTE POTREBBE INDICARE UN PERCORSO DA SEGUIRE” - RESPINTE LE ECCEZIONI DEI DIFENSORI DI MANCINO, MANNINO, DELL’UTRI E MORI, RESTANO TUTTI ALLA SBARRA A PALERMO - MACALUSO, VENTRILOQUO DI BELLA NAPOLI: “INGROIA? PARLA COME BERLUSCONI…”

1 - LA PROCURA SFIDA LA CORTE "TELEFONATE DA CONSERVARE ALMENO PER UN ALTRO MESE"...
Salvo Palazzolo per "la Repubblica"

Ancora per un mese, forse due, le quattro intercettazioni fra il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e l'ex ministro Nicola Mancino resteranno in una cassaforte della Procura di Palermo, quella che custodisce gli atti segreti dell'indagine sulla trattativa mafia-Stato. «Per avviare il procedimento di distruzione bisognerà attendere le motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale », dice il procuratore capo Francesco Messineo: «Martedì sera, la Corte ha diffuso solo un comunicato, seppure ufficiale».

Così, all'indomani della decisione della Consulta sul conflitto di attribuzioni, rischia di aprirsi un nuovo braccio di ferro con il Colle, sui tempi della procedura ormai indicata come l'unica possibile dalla Corte Costituzionale. Le motivazioni della Suprema Corte non arriveranno prima di gennaio, dunque il caso è destinato a restare aperto fino ad allora.
«Nelle motivazioni - sostengono i magistrati di Palermo - la Consulta potrebbe indicare un percorso particolare da seguire. Ecco perché bisogna attendere».

Di certo, i magistrati dovranno inviare al giudice delle indagini preliminari le quattro conversazioni fra Napolitano e Mancino, che sono destinate ad essere distrutte «senza contraddittorio», così rileva la Corte Costituzionale nel suo comunicato ufficiale: ovvero, senza che gli indagati dell'inchiesta sulla trattativa mafia-Stato (non solo Mancino, ma anche tutti gli altri) possano intervenire, e soprattutto leggere quelle intercettazioni.

IL GIUDICE COMPETENTE PER LA DISTRUZIONE
Del caso si occuperà il gip Riccardo Ricciardi, che fra novembre 2011 e maggio scorso ha già firmato tutti i decreti che autorizzavano le intercettazioni della Dia nell'ambito dell'indagine trattativa.

Nel fascicolo-cassaforte, che ha il numero «11609/08», non ci sono solo le telefonate del capo dello Stato, sono conservati anche i fascicoli riguardanti l'ex ministro della Giustizia Giovanni Conso e l'ex direttore del Dap Adalberto Capriotti, entrambi indagati per false dichiarazioni. Nello stesso contenitore d'inchiesta continuano a confluire nuove indagini sul patto Stato-mafia, che riguarderebbero le posizioni di altri uomini delle istituzioni, alcuni di questi appartenenti ai servizi di sicurezza: a guidare gli accertamenti della Dia di Palermo sono i sostituti procuratori Nino Di Matteo, Lia Sava, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia.

Dopo la partenza di Ingroia per il Guatemala, il ruolo di coordinatore del pool è stato assunto dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi. Il procuratore capo Messineo continua invece a non essere titolare dell'inchiesta.

Dal contenitore «11609/08» è nato anche il processo attualmente in corso all'udienza preliminare, che riguarda 12 imputati fra boss e uomini dello Stato come Mancino, Mannino, Mori e Dell'Utri.

L'UDIENZA PRELIMINARE ALLE BATTUTE FINALI
Fino ad oggi, la Procura di Palermo ha avuto ragione su tutta la linea. Il gup Piergiorgio Morosini ha rigettato la raffica di eccezioni presentate dalle difese, per spostare il processo: Mancino chiedeva di non essere processato con i boss, e di essere giudicato dal tribunale dei ministri. Anche Mannino, Dell'Utri e il generale Mori puntavano al trasferimento del caso a Roma. Il capomafia Salvatore Riina sollecitava invece un processo a Caltanissetta o a Firenze. Martedì, Morosini ha rigettato tutte le richiesta ribadendo che al momento il processo resta fermamente ancorato a Palermo.

Il giudice ha poi fissato un'altra udienza per le ulteriori eccezioni delle difese, il 13. Già il 20 dicembre potrebbe arrivare l'intervento dei pubblici ministeri: in realtà, prima di questo passaggio, qualcuno degli imputati potrebbe anche chiedere di essere giudicato immediatamente, con il rito abbreviato. Di certo, a gennaio, ci saranno le conclusioni di tutte le parti e poi arriverà la decisione sul rinvio a giudizio.

In Procura si continua comunque a lavorare come se l'inchiesta fosse tutt'altro che chiusa: nei giorni scorsi, i pm hanno depositato in udienza cinque faldoni di nuovi atti, che riguardano la figura di Francesco Di Maggio. Secondo l'avvocato Rosario Cattafi, oggi al 41 bis, l'ex vice direttore del Dap gli avrebbe chiesto di fare intermediario con il boss Nitto Santapaola, per fermare le stragi. Sono ancora tanti i misteri di quei drammatici mesi del '92-'93.

 

2 - MACALUSO: ORMAI QUEL PM PARLA COME BERLUSCONI...
N.B.M. per "il Messaggero"

Ingroia? «Parla come Berlusconi». Le critiche alla Consulta? «E' sovversivismo». Emanuele Macaluso è sobbalzato quando ha letto le reazioni di Antonio Ingroia alla sentenza della Corte. Il dirigente storico del Pci, da tempo coscienza critica della sinistra, ha appena dato alle stampe un libro-intervista con Peppino Caldarola dal titolo «Politicamente scorretto», e in proposito ci tiene a far sapere una cosa: «Nel libro c'è un capitolo dedicato a quella trattativa vera tra stato e mafia che ci fu negli anni Quaranta e Cinquanta, a cavallo della vicenda del bandito Giuliano, cito documenti inediti e che faranno discutere».

Anche questa sentenza della Corte sta facendo discutere.
«Non mi sembra. E' Ingroia che si è messo a criticare e contestare. Proprio come Berlusconi, che quando una sentenza non gli andava a genio diceva che era politica. Sono arrivati a definire cortigiana la Corte, come ha scritto ad esempio il quotidiano Il Fatto».

E la procura di Palermo?
«Devo dire che il procuratore Messineo si è comportato in maniera diversa e più corretta. Ingroia invece è arrivato all'assurdo, siamo in presenza di un magistrato che critica e non accetta la sentenza del tribunale dei tribunali. Questo è gravissimo, è una forma di sovversivismo».

E perché Ingroia e altri arriverebbero a tanto?
«Ma è chiaro: tutta questa storia serve alla campagna della Lista arancione, della quale Ingroia è punto di riferimento. Faranno la campagna elettorale dicendo che non si vuole la verità sulla trattativa stato-mafia. Assisteremo così alla campagna di tre magistrati - De Magistris, Di Pietro e Ingroia - che si metteranno ad agitare il tema che qualcuno non vuole la verità».

Chi non vuole la verità sulla trattativa stato-mafia?
«Questa verità è il tribunale che deve appurarla, mica la Consulta. La campagna prevede che si lanci l'allarme come se ci fosse qualche potere che non vuole la verità, ma visto che hanno detto che il Quirinale non c'entra, a chi si riferiscono? Lo dicano, parlino chiaro. A meno che il documento accusatorio è talmente debole da avere bisogno di una campagna politica a sostegno. Sarebbe un'altra delle mostruosità di questa situazione».

 

FRANCESCO MESSINEO PROCURATORE CAPO DI PALERMO jpegNICOLA MANCINO E GIORGIO NAPOLITANO jpegANTONINO INGROIA E FRANCESCO MESSINEO DELLUTRI E BERLUSCONI NAPOLITANO e EMANUELE MACALUSOEmanuele Macaluso

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