UN VIETNAM CHIAMATO PD - RENZI COSTRINGE CUPERLOO A RITIRARE GLI EMENDAMENTI - MA DEVE CEDERE AL PRESSING DI RE GIORGIO, ALZANDO LO SBARRAMENTO PER IL PREMIO DI MAGGIORANZA, E COL BALLOTTAGGIO CERTO CHI CI RIMETTE E’ IL CAINANO

Francesco Bei per ‘La Repubblica'

Lo scontro è duro e quello che si raggiunge, dopo di due ore drammatiche di assemblea nel gruppo Pd, è al massimo una tregua armata. Renzi arriva alla sala Berlinguer alle nove di sera e pretende che i "suoi" deputati obbediscano alla disciplina imposta dal Nazareno e aiutino il segretario a chiudere l'accordo con Berlusconi. «Il punto - esordisce Renzi - ormai non è tanto il merito ma la trattativa politica. Se non ho dietro tutto il Pd non riesco a spostare niente. Dovete ritirare tutti gli emendamenti che avete presentato sulla legge elettorale. E mi dovete dire subito, stasera, un sì o un no».

La richiesta fa rumoreggiare la sala, la minoranza si scalda. Ma il segretario non ha ancora finito: «È chiaro che, se non accettate questa richiesta, salta l'accordo con Berlusconi e io non potrò tacere di chi sarà stata la responsabilità. Tutto resterà come prima e sarà stata vostra la colpa di aver fatto saltare la legislatura».

E ancora: «Non mi venite a dire che tutto si può risolvere in aula con un accordo parlamentare, sapete bene che non è così. Io vi ho portato l'accordo politico sulle riforme e sul doppio turno, più in là non si può andare. Se non ritirate gli emendamenti non sarò più responsabile del gioco».

Le minacce non restano senza risposta. Parte all'attacco il centravanti di sfondamento, Alfredo D'Attorre: «Caro Matteo, la devi smettere con questi aut aut. Nessuno qui dentro ha paura di andare a votare. Il rapporto tra noi deve essere di collaborazione. Gli ultimatum non fanno bene né a te né al partito». Renzi prova a smussare: «Nessun ultimatum, ma vi chiedo di lasciarmi trattare ancora con Berlusconi avendo dietro tutto il Pd».

Dopo i cannoneggiamenti iniziali è Gianni Cuperlo, leader della minoranza, ad accettare il compromesso. «Noi manteniamo le nostre riserve sul merito e sul metodo - osserva l'ex sfidante di Renzi alle primarie - ma aderiamo alla richiesta del segretario di ritirare i nostri emendamenti». Un gesto di buona volontà, motivato anche dal timore di essere additati come i colpevoli del fallimento della riforma.

Incontrando i deputati di minoranza nel pomeriggio, Cuperlo li aveva infatti messi in guardia: «Attenzione a non farci strumentalizzare, non dobbiamo passare per quelli che vogliono far saltare tutto». La riunione prosegue. Interviene il piemontese Andrea Giorgis, professore di diritto costituzionale, per intimare al segretario di trattare ancora e ancora: «Noi li ritiriamo ma solo per strappare di più a Berlusconi. Altrimenti in aula sarà un inferno».

Una minaccia implicita di cercare assi trasversali con gli altri partiti - da Sel a Ncd, da Scelta Civica alla Lega - interessati a introdurre le preferenze, abbassare le soglie di sbarramento, alzare l'asticella per accedere al premio di maggioranza. Ma la cosa che sta più a cuore a tutti i democratici anti-Renzi è che, dalla trattativa, esca fuori una norma di salvaguardia che dia la certezza di evitare il voto anticipato in primavera. Quale potrebbe essere? «O Forza Italia accetta che a ridisegnare i collegi sia il governo - spiega un deputato della minoranza - oppure limitiamo la riforma alla Camera dei deputati, costringendo così Berlusconi ad eliminare il Senato con legge costituzionale». In entrambi i casi sarebbe scongiurato un voto a maggio.

La riunione si chiude quindi con un armistizio. In cambio di un ritiro «tecnico» degli emendamenti, Renzi proseguirà oggi la trattativa con Berlusconi e Verdini (si vedranno forse nel pomeriggio). In particolare su tre punti. Aumentare dal 35 al 38 per cento la soglia per ottenere il premio di maggioranza, ottenere le primarie per legge, lasciare al Viminale il compito di comporre la mappa dei collegi (ci vogliono almeno due mesi).

Dunque l'intesa tra Renzi e Berlusconi torna di nuovo in bilico. Anche perché sul premio di maggioranza tutti confermano che sia entrato in campo un giocatore pesante: il capo dello Stato. Napolitano, riferiscono gli uomini al centro della trattativa, sarebbe molto perplesso su quel 35%, ritenendo la soglia di accesso al premio troppo bassa. «Solo la Grecia ha un premio di maggioranza al 15% - sarebbe stata l'osservazione di Napolitano - e noi la supereremmo con il 18%. In pratica il premio di maggioranza equivarrebbe alla metà dei voti presi dal partito vincente. È troppo».

Analoga bocciatura arriverebbe, in via informale e preventiva, anche da molti giudici della Corte costituzionale sondati dai partiti. Così, un po' per il pressing del Colle, un po' per paura di un blitz parlamentare, alla fine anche Berlusconi si starebbe convincendo a mollare qualcosa sul premio di maggioranza. Magari senza arrivare al 38%, fermandosi appena prima.

Che il vento spinga il Cavaliere da quella parte lo ammettono a malincuore gli stessi falchi forzisti. Non a caso, con un tweet serale, Augusto Minzolini cercava ancora di scongiurare un esito ritenuto dai più inevitabile: «La soglia del premio al 38% come vuole Napolitano sarebbe un azzardo per il centrodestra: doppio turno di fatto, con voti grillini decisivi. Ma il masochismo del centrodestra non ha limiti».

 

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