IL RITORNO DEL FARAONE - MORSI DENTRO, MUBARAK FUORI! LO ZIO DI RUBY SCARCERATO ENTRO 48 ORE - LA STRAGE DEI PRIGIONIERI ISLAMICI

1-DISPOSTA LA SCARCERAZIONE DI MUBARAK. E L'EUROPA DISCUTE SULLA CRISI EGIZIANA
Da LaStampa.it

Cadono le accuse a carico di Hosni Mubarak, l'ex presidente egiziano deposto nel 2011: l'autorità giudiziaria ha disposto la sua scarcerazione. L'ex rais resta ai domiciliari per l'affaire delle tangenti a un media statale. Lo riferiscono fonti giudiziarie.

Mubarak sarà rilasciato entro 48 ore. Sarà comunque chiamato a processo il prossimo 25 agosto per rispondere delle accuse di complicità nella morte dei manifestanti durante le rivolte del 2011.

Bruxelles discute la crisi egiziana
Intanto ha preso il via a Bruxelles la riunione straordinaria del comitato politico e di sicurezza dell'Ue sull'Egitto. Gli ambasciatori dei 28, in vista del vertice dei ministri degli esteri in programma nei prossimi giorni, sono chiamati a fare il punto della situazione per trovare posizioni e azioni comuni nei confronti del Cairo, con l'obiettivo di fermare le violenze.

In Egitto intanto l'alleanza delle formazioni pro-Morsi annuncia nuove manifestazioni e chiede un'inchiesta internazionale sui "crimini orribili" commessi dal governo.


2-CAIRO, LA STRAGE DEI PRIGIONIERI ISLAMICI
Giuseppe Sarcina per LaStampa.it

Alle quattro del pomeriggio non si vede uno spiraglio tra i carri dislocati a protezione dell'Alta corte di giustizia al Cairo. L'esercito stringe la morsa sul Paese, non concede nulla ai Fratelli musulmani. Neanche un corridoio per una trattativa informale. Ieri il generale Abdel Fatah Al Sisi, qualora qualcuno in Egitto e fuori non avesse ancora capito il linguaggio dei blindati, dei cannoncini in posizione di tiro, dei soldati in assetto di guerra, ha messo le cose in chiaro.

«Chiunque immagini che la violenza possa piegare lo Stato e gli egiziani, dovrà ravvedersi. Noi non resteremo mai silenziosi di fronte alla distruzione del Paese» ha detto in un discorso poi pubblicato sulla pagina Facebook dell'Esercito. E ancora: «Noi siamo più che disposti a tutelare l'Islam nella sua corretta interpretazione, i principi tolleranti che sono ben lontani dal terrorizzare i cittadini».

Parole, queste ultime, destinate ai governi occidentali, agli americani, agli europei. Non certo ai fautori della «riconciliazione» che in queste ore, si stanno riducendo in modo allarmante. Come conferma la notizia che Mohammed ElBaradei, dopo essersi dimesso dalla carica di vicepresidente, ha lasciato il Cairo diretto a Vienna. Se il Premio Nobel per la pace lascia, significa che Al Sisi e i generali padroni dell'Egitto non hanno intenzione di fermarsi.

Dall'altra parte neanche i Fratelli musulmani arretrano. Per gran parte della giornata sembravano spariti. Ieri mattina avevano annunciato «una grande manifestazione» con obiettivo l'edificio dell'Alta corte di Giustizia, lungo la Corniche, la riva del Nilo. Poi, verso le 16.30, una nota degli islamisti avvisava: «Tutto annullato per ragioni di sicurezza».

Le forze militari, però, non hanno allentato i presidi, sospettando una manovra diversiva e un ritorno in serata. E in effetti così è stato. Alle 18 circa almeno sei cortei si sono formati in diverse aree della città, cercando di dirigersi verso il grande colonnato della Corte. Ci sono stati scontri, più o meno circoscritti. Uno, per esempio, riferisce l'Ansa, davanti alla moschea di Abu Bakr, a Bab El-Shaariya, in una zona periferica della megalopoli.

Segnalati molti feriti e 114 persone arrestate (comprese 18 donne). Altri colpi sono stati uditi lungo il fiume, ma a tarda notte risultava ancora difficile compilare il bollettino di eventuali vittime. Nel corso della giornata le guardie carcerarie hanno ucciso 36 detenuti, tutti militanti dei Fratelli musulmani, mentre tentavano la fuga nel corso di un trasferimento verso il carcere di Abu Zaabal, nord Cairo.

Sabato, invece, il giorno dello sgombero della moschea di Al Fath, i morti in tutto il Paese sono stati, secondo fonti ufficiali, 79. Il totale delle vittime sale quindi a 830, cominciando a contare da mercoledì scorso, quando la polizia attaccava gli accampamenti di Rabaa al Adawiyah e di al Nahda.

La situazione, dunque, resta precaria. Con il pericolo di scontri non solo tra militari e dimostranti, ma anche tra fazioni armate pro e contro Morsi, il presidente islamico deposto il 3 luglio dal colpo di Stato. Finalmente se n'è reso conto anche il governo. Ieri il ministro dell'Interno ha disposto lo scioglimento dei «comitati popolari», le squadre di civili che, sabato in piazza Ramses hanno attaccato a bastonate i dimostranti dei Fratelli musulmani e minacciato i giornalisti stranieri.

Il fatto è che ci sono troppe armi in giro. Da dove arrivano? A quanto sembra nelle ultime settimane è rifiorito il mercato clandestino che era nato subito dopo la rivolta anti Gheddafi in Libia.

Le armi che girano tra i civili, dunque, verrebbero da lì. Ci sarebbe anche un listino prezzi costantemente aggiornato. Un kalashnikov, la mitraglietta di costruzione russa, costa 2.000-2.100 dollari (dopo la rivoluzione libica veniva quotata a 1.200 dollari); una pistola varia da 600-700 dollari per arrivare fino a 1.500 dollari. Sono prezzi proibitivi per la grandissima parte della popolazione: uno stipendio medio si aggira sui 400 dollari al mese. Dunque, evidentemente, qualcuno sta mettendo fondi a disposizione per armare gli egiziani, gli uni contro gli altri .

 

 

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