1- SI ANDRà ALLE URNE A FEBBRAIO, E TUTTO DIPENDERà DALLA LOMBARDIA, L'OHIO ITALIANO! 2- ALLA CAMERA I GIOCHI SONO (QUASI) FATTI: COL PORCELLUM, il duplex BERSANI-VENDOLA PRENDERÀ IL 54% DEI SEGGI, PURE SENZA ARRIVARE AL 40%. IL PROBLEMA È IL SENATO 3- ANCHE SE PD E SEL VINCONO IN TUTTE LE REGIONI, BASTA PERDERE VENETO, SICILIA, E SOPRATTUTTO LOMBARDIA (CHE VALE 47 SENATORI) PER NON AVERE LA MAGGIORANZA 4- L'ESITO NELLA REGIONE NON È AFFATTO SCONTATO: MARONI HA RECUPERATO TERRENO (è AL 6-7%), E ORA CHE IL BANANA HA ABBATTUTO MONTI, È PRONTO ALL'ACCORDO 5- COL SENATO BLOCCATO, NAPOLITANO DOVRÀ MANOVRARE UN GOVERNO DI COALIZIONE. PER QUESTO LUI E IL TRIO DISPERATO CASINI-FINI-LUCHINO SPERANO CHE LA FRASE DI MONTI “HO LE MANI LIBERE” SIA IL PRELUDIO DEL SUO INGRESSO IN POLITICA

1- MONTI A MANI LIBERE, SI ANDRÀ AL VOTO A FINE FEBBRAIO
Da Repubblica.it

"Ho maturato la convinzione che non si potesse andare avanti così". Dopo aver letto e riletto la dichiarazione pronunciata venerdì alla Camera da Angelino Alfano, in cui veniva presentato com "l'uomo delle tasse e del fallimento", Mario Monti si è convinto che quella fosse la vera mozione di sfiducia nei confronti del suo governo. E così ha deciso di lasciare, dopo l'ok alla legge di Stabilità. Le dimissioni, annunciate ieri sera al Quirinale, rappresentano un'accelerazione imprevista che apre di fatto la campagna elettorale. Anche quella del professore, che pensa a una sua possibile candidatura. Il premier adesso si sente libero di decidere del suo futuro. Ci sta pensando e molti lo spingono a fare un passo.

Si riaprono dunque le congetture sulla possibile discesa in campo del professore, pressato da settimane dai centristi e che ne chiedono la candidatura. Lo stesso Gianfranco Fini è al lavoro con Casini e Montezemolo per costruire una Lista per l'Italia con Monti di nuovo premier. E si avvicina anche la data del confronto elettorale: si potrebbe andare al voto a fine febbraio. Nelle prossime ore il premier chiamerà i leader dei partiti per concordare il calendario dei lavori parlamentari e per avere la garanzia che il Pdl voterà il ddl Stabilità, evitando al Paese il disastro dell'esercizio provvisorio. Dopo l'ultimo voto parlamentare, a cavallo di Natale, Napolitano dovrebbe sciogliere le Camere, con il voto per le elezioni che a questo punto dovrebbe cadere il 24 febbraio, se non addirittura il 17. Dallo scioglimento delle Camere, infatti, possono passare da un minimo di 45 a un massimo di 70 giorni per indire nuove elezioni.

L'annuncio delle dimissioni del presidente del Consiglio non è mal visto dal leader di Sel. In un'intervista a Repubblica, Nichi Vendola spiega infatti che la legislatura è ormai finita e sarebbe stato inutile "procrastinare le agonie, prolungare la paralisi operativa quando invece è urgente mettere in campo decisioni". Si dichiara però sorpreso "del giudizio ottimistico" che Monti dà sulla situazione italiana. "Credo che ci sia una grave sottovalutazione - aggiunge Vendola - del fatto che si sono aperte crepe gigantesche nel tessuto di coesione sociale. Si è schiantato il ceto medio". Per il governatore della Puglia solo con il "riformismo keynesiano, adattato alle diverse situazioni, si può far crescere l'economia'". Per ricostruire il paese e "rispondere al populismo di Berlusconi" il leader di Sel è disposto a sciogliere il veto su Pierferdinando Casini. L'obiettivo, infatti, è "costruire un Polo progressista che può essere maggioritario". Su un punto Vendola è però irremovibile: "L'agenda Bersani non è sovrapponibile a quella Monti".


2- LOMBARDIA DECISIVA PER IL SENATO
Roberto D'Alimonte per "Il Sole 24 Ore"

Se non si farà la riforma elettorale l'esito delle prossime elezioni dipenderà dalla lotteria dei 17 premi regionali del Senato e in particolare da quello che succederà in alcune regioni chiave dove si giocherà la battaglia decisiva. Le "battlegrounds regions" per usare una terminologia da elezioni Usa. Alla Camera l'esito è scontato. Ci sarà di sicuro un vincitore. Infatti basta che un partito o una coalizione abbia un voto più degli altri per ottenere il 54% dei seggi. Ma al Senato non è così perché lì non si assegna un unico premio nazionale. La partita si gioca regione per regione. Nelle 17 regioni che partecipano alla lotteria il partito o la coalizione con un voto più degli altri ottiene il 55% dei seggi di quella regione.

Ai seggi ottenuti nelle 17 regioni a premio vanno aggiunti i seggi del Trentino Aldo Adige, Valle d'Aosta, Molise e quelli della circoscrizione estero. Questo sistema elettorale è stato utilizzato due volte. Nel 2006 il risultato è stata una risicata maggioranza a favore dell'Unione di Prodi. Nel 2008 Berlusconi vinse bene. Quale sarà il risultato del 2013? È difficile dirlo ora quando l'offerta politica non è ancora definita e la campagna elettorale è appena iniziata. Ma è possibile comunque costruire scenari mettendo in evidenza i fattori da cui dipenderà l'esito finale. Nella simulazione presentata nella tabella in pagina abbiamo immaginato che la coalizione Pd-Sel ottenga 3 seggi in Trentino Alto Adige, 3 nella circoscrizione estero e uno in Molise. Se vincesse il premio in tutte le altre 17 regioni arriverebbe a 178 seggi.

La maggioranza al Senato è 158. Vediamo invece cosa potrebbe succedere se Pd e Sel non vincessero il premio in Lombardia e Veneto. In questo caso la maggioranza si ridurrebbe a 169, ammesso che prendano tutti i seggi residui. Se poi alla sconfitta in queste due regioni aggiungessimo quella in Sicilia la maggioranza si ridurrebbe ulteriormente a 165. Ma questo calcolo non tiene conto di un fattore importante, e cioè la distribuzione dei seggi destinati ai perdenti in ciascuna regione. Questo è un elemento meno intuitivo ma decisivo. Infatti i 169 seggi del primo caso e i 165 del secondo sono tali perché abbiamo assegnato alla coalizione Pd-Sel tutti i seggi destinati ai perdenti, cioè 21 in Lombardia, 10 in Veneto e 11 in Sicilia. Ma non è affatto detto che vada così.

Se Berlusconi arriva primo in queste tre regioni, Pd e Sel potrebbero essere costretti a dividere questi seggi con altri partiti. Questo succede se tra i perdenti ci sono partiti che riescono a superare la soglia dell'8% dei voti. Nella nostra simulazione abbiamo ipotizzato che sia il Movimento Cinque Stelle che un eventuale terzo polo (Tp) riescano a farcela. In questo caso, ed è l'ipotesi B della tabella, Pd e Sel otterrebbero in Lombardia e Veneto rispettivamente 12 e 5 seggi invece dei 21 e 10 della ipotesi A e il loro totale nazionale scenderebbe da 169 a 155. La maggioranza non ci sarebbe più. Pur vincendo il premio in ben 15 regioni la perdita di Lombardia e Veneto li priverebbe della possibilità di governare da soli.

Dovrebbero fare un accordo post-elettorale con un altro partito. Se poi alla sconfitta in queste due regioni aggiungessimo anche quella in Sicilia (ultima colonna della tabella) il totale scenderebbe a 146. La Lombardia merita un approfondimento. In questa regione si eleggono 47 senatori. Chi vince il premio ne prende 26; ai perdenti ne vanno 21. Perdere il premio in Lombardia non è un dramma se chi perde incassa tutti i 21 seggi. In questo caso il costo della sconfitta sarebbe di appena 5 seggi. Questo vale però solo se non ci sono rivali con cui dividere i 21 seggi destinati ai perdenti. Se non è così, perdere in Lombardia vuol dire passare dal paradiso all'inferno. Vincendo il premio Pd e Sel otterrebbero 26 seggi; perdendolo ne prenderebbero solo 12.

Una perdita di 14 seggi equivale a quasi il 5 % dei seggi del Senato e a quasi il 9% dei seggi necessari per avere la maggioranza assoluta in questa camera. Se non cambia il sistema elettorale la Lombardia è destinata a giocare un ruolo cruciale nella partita per il governo del Paese. E in questo le elezioni regionali che si terranno prima o insieme alle politiche avranno un peso rilevante. Ce la farà il Pd a vincere in Lombardia sia le regionali che il premio al Senato? Per il partito di Bersani è un altro appuntamento storico con quel Nord che fino ad oggi non ne ha voluto sapere di essere rappresentato da un partito che appare ancora legato a politiche e interessi troppo marcatamente di sinistra.

Con questa parte del paese e con le sue domande il Pd deve ancora fare i conti. Questa volta però, a differenza del 1994, potrebbe comunque vincere data la divisione del campo moderato. Ma vincere è una cosa, governare un'altra. Il Pd non potrà continuare a rinviare la soluzione della sua questione settentrionale. Arriverà il giorno in cui dovrà ricorrere ai Chiamparino, ai Cacciari e soprattutto ai Renzi. In attesa non sarebbe una cattiva idea allargare la coalizione prima delle elezioni a un partito del centro (quale?) per impedire a Berlusconi di vincere nelle regioni che saranno il terreno della battaglia elettorale decisiva.


3- CON LE NUOVE FACCE PUÒ RIMONTARE «RAGGIUNGERÀ IL PD AL 30%»
Tommaso Montesano per "Libero"

Rimontare si può. A patto, spiega Alessandro Amadori, amministratore delegato di Coesis Research, «che Silvio Berlusconi, la cui vita politica è tutt'altro che finita, rigeneri il Pdl. Lo trasformi. Gli ridia, con facce nuove, identità, anima e progetto». Il bacino elettorale cui attingere c'è. Secondo Maurizio Pessato, amministratore delegato di Swg, poco meno della metà degli elettori, il 43%, o è indecisa su quale schieramento sostenere, o ha deciso, almeno per il momento, di votare scheda bianca o nulla.

«E in quest'area la quota di coloro che in passato hanno sostenuto il centrodestra è prevalente», avverte il sondaggista. Considerazioni che, a pochi giorni dall'annuncio della nuova discesa in campo, incoraggiano le speranze del Cavaliere. Soprattutto al Senato, dove l'eventuale rinnovo dell'alleanza con la Lega, che i sondaggi danno in ascesa (secondo Nicola Piepoli il Carroccio è tornato al 7%), potrebbe consentire al centrodestra, grazie alla conquista del premio di maggioranza in Lombardia e Veneto, di impedire la vittoria del centrosinistra a Palazzo Madama.

Amadori invita Berlusconi a «non fossilizzarsi sulle alleanze. Senza la rigenerazione del Pdl sono scatole vuote. Il primo obiettivo deve essere quello di ridare vita a un partito in stato di coma. Con l'elettroencefalogramma piatto». Le intenzioni di voto attuali, che accreditano il Pdl, decimale più decimale meno, del 15%, «sono irrealistiche. Perché gran parte dell'elettorato berlusconiano in questo momento è silente. Ma se l'ex premier riuscisse davvero a trasformare il partito, la quota minima del 20% sarebbe raggiungibile».

Minima perché Amadori è tra coloro che credono che il potenziale elettorale di Berlusconi sia ancora intatto: «Storicamente, in Italia almeno un elettore su quattro è di centrodestra. Elettori che non si sono volatilizzati. Sono convinto che, una volta rianimato, il Pdl possa crescere anche fino al 25%». E allora sì che, in caso di recupero del rapporto con la Lega, la vita per il duo Bersani- Vendola diventerebbe più difficile. Soprattutto al Senato, dove i premi di maggioranza (sempre che resti il Porcellum) si assegnano su base regionale.

«La Lega si sta riprendendo», conferma Pessato. Lo scorso 7 dicembre Swg accreditava il Carroccio del 6%. «Roberto Maroni è un leader stimato. Oltretutto in campagna elettorale la Lega potrebbe avere buon gioco nel rivendicare di essere stata l'unica forza politica contro il governo Monti fin dall'inizio. E questo potrà essere sfruttato».

In primis nelle quattro Regioni del nord dove il peso del Carroccio si fa sentire: Lombardia, Veneto, Piemonte e Friuli. «Il vantaggio del centrosinistra, al momento, è evidente. Soprattutto alla Camera. Attenzione, però: rischiamo di fare i conti senza l'oste», avverte Pessato. «Il Pd risente ancora dell'esposizione delle primarie, ma il centrodestra, e anche il centro, di fatto ancora non ci sono». Quindi con la definizione dell'offerta politica bipolare è lecito attendersi, nelle prossime settimane, una diminuzione della percentuale dell'area del non voto, composta in prevalenza dai delusi del centrodestra.

Ecco perché Pessato invita alla cautela: «Il Pdl è sottostimato, Berlusconi si è appena mosso». Anche Nicola Piepoli, presidente dell'omonimo istituto di ricerca, non dà per spacciato Berlusconi: «Se avesse fatto una sua lista, da solo sarebbe partito da una base del 10-12%». Questo significa che il Pdl, attualmente posizionato intorno al 16%, è destinato a risalire: «Tutto dipende dal Cavaliere. Dalle sue carte. Anche nel 1994 sembrava una missione impossibile. E poi...». Insomma, aggiunge provocatorio, «per assurdo Berlusconi potrebbe anche riportare il Pdl al 30%».

 

4- CENTRISTI AI MINIMI TERMINI: ECCO CHI RISCHIA LA POLTRONA - DECINE DI DEPUTATI E SENATORI DI UDC E FLI VEDONO COMPROMESSA L'IPOTESI DI RIELEZIONE
Andrea Cuomo per "il Giornale"

Ma a rischiare sono decine, una vera falcidie. È questo il vero incubo di Casini e Fini, risvegliatisi dal sogno di sfondare ben oltre la doppia cifra, di raggiungere addirittura il 15 per cento e diventare l'ago della bilancia della politica italiana. Ma un ago grande così, praticamente un giavellotto. E invece quell'ago è uno spillo quasi invisibile. In via Due Macelli e in via Poli si pigiano freneticamente i tasti delle calcolatrici. Conta e riconta, c'è poco da ridere. Un mezzo disastro alla Camera dei deputati, il rischio dello sbianchettamento in Senato.

Da Terzo polo a terzo incomodo.
Partiamo da Montecitorio. Qui attualmente il gruppo dell'Udc conta 37 deputati e quello di Fli 26, per un totale di 63. Una pattuglia nutrita, pari a esattamente il 10 per cento dell'Aula. Ma una pattuglia decisamente sopravvalutata rispetto alla forza politica attuale delle due formazioni, con un'Udc appannata e un Fli che ha fallito il compito storico di capitalizzare in termini elettorali la diaspora di Fini da Berlusconi.

Ma quanti deputati potrebbe eleggere oggi il Terzo polo, dando per scontato che si andrà al voto con l'attuale legge elettorale, l'inesorabile «Porcellum»? Il trio Casini-Fini-Montezemolo nei sondaggi più recenti viene accreditato del 9 per cento dei voti, cifra che con il ritorno in campo di Silvio Berlusconi probabilmente dovrà essere ritoccata al ribasso: il Terzo polo infatti era uno degli approdi naturali (assieme alla Destra, a Grillo e al limbo degli incerti tentati dall'astensione) dei delusi del Pdl, quelli che però il ritorno del brand Berlusconi potrebbe riavvicinare al primo partito del centrodestra.

Le incognite sono tante.
Se i tre partiti si presentassero divisi ma uniti da un'alleanza rischierebbero troppo: la soglia di sbarramento per i rassemblement è infatti fissato al 10 per cento. Sotto questa cifra, eleggono deputati solo i partiti che prendono singolarmente più del 4. Quindi a Montecitorio entrerebbe qualche sparuto esponente Udc. Niente finiani, niente montezemoliani. Salvo, naturalmente, clamorosi colpi di scena, come dicono i telecronisti di calcio.

Ciò rende quindi quasi scontato il fatto che Udc, Fli e Italia Futura, l'espressione elettorale della minigalassia di movimenti che fanno capo a Luca Cordero di Montezemolo, si presentino come partito unico, abbassando la quota di ingresso a Montecitorio al 4 per cento complessivo. Con il 9 per cento il massimo numero di parlamentari a cui si può aspirare è una cinquantina. Considerando che Montezemolo ha lanciato l'opa sul 30 per cento degli scranni, gliene toccherebbero 15. È presumibile pensare che in quota Udc sarebbero eletti 25 deputati e 10 tra i futuristi.

Una vera strage soprattutto tra questi ultimi. A questo punto rischierebbero di perdere il prefisso «on.» molti dei pezzi grossi del partito, da Italo Bocchino a Giulia Bongiorno, da Giuseppe Consolo a Benedetto Della Vedova, da Donato Lamorte a Flavia Perina, dal finiano di ferro Francesco «Checchino» Proietti Cosimi a Fabio Granata, da Chiara Moroni a Enzo Raisi. Ma anche tra gli Udc cadrebbero se non proprio superbig, almeno alcuni pesi medi come Ferdinando Adornato, Paola Binetti, Gabriella Carlucci, Enzo Carra, Anna Teresa Formisano, Savino Pezzotta.

Ancora più complesso lo scenario al Senato. Qui il calcolo dei seggi si fa su base regionale, prescindendo dal numero complessivo di voti a livello nazionale. Per ogni alleanza c'è lo sbarramento del 20 per cento, per ogni partito singolo dell'8. Sotto queste cifre, prego ripassare. Quindi presentandosi come alleanza il Terzo polo resterebbe a secco, mentre da lista unica eleggerebbe senatori solo nelle Regioni in cui dovesse riuscire a superare quota otto. A questo punto la ripartizione dei seggi tra le tre anime sarebbe affidata all'ingegneria elettorale delle segreterie. È pensabile comunque a un bottino massimo di 25 senatori: secondo il 3-5-2 spetterebbero 7 o 8 senatori a Montezemolo, una dozzina a Casini e briciole a Fini (che oggi a Palazzo Madama ha 8 senatori).

Si capisce così perché i terzopolisti si stiano guardando intorno. Il flirt dell'Udc con il Pd va avanti da tempo ed è stato rinsaldato dal mezzo divorzio di Berlusconi dal governo Monti. Ma alla Camera i democratici non avrebbero nessun bisogno dei voti scudocrociati, che anzi creerebbero molti grattacapi nel rapporto con Vendola. E poi è difficile immaginare che Casini si porti dietro Fini e Montezemolo nel ménage con Bersani. Per questo c'è chi pensa che alla fine potrebbe tornare in auge il progetto di un grande polo moderato con il Pdl ed eventualmente la Lega. Meno contronatura di un asse Pd-Udc, a patto di dimenticare gli screzi degli ultimi anni. Converrebbe a tutti. Soprattutto all'Italia.

 

berlu e monti GIANFRANCO FINI PIERFERDINANDO CASINI LUCA CORDERO DI MONTEZEMOLO REGIONE LOMBARDIANICHI VENDOLA E PIERLUIGI BERSANI PALAZZO MADAMA - SENATO DELLA REPUBBLICAALFANO BERLUSCONI E MARONI Maroni Bossi Berlusconi FACCIA A FACCIA BERLUSCONI E ALFANOGRILLO er big VIGNETTA BENNY BERSANI E BERLUSCONI INSIEME A LETTO Fini Bocchino Della Vedova Menia PAOLA BINETTI S'ADDORMENTA DURANTE IL DISCORSO DI CASINI Fabio Granata e Flavia Perina Enzo Raisi ENZO CARRA

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