IL “SOLE 24 ORE” BRUCIA DE MAGISTRIS – NAPOLI DOVEVA ESSERE LA BARCELLONA ITALIANA E INVECE E' LA NOSTRA CARACAS. GRUMOSA, SPORCA - IL SUO RISARCIMENTO E' DI LA' DA VENIRE

Francesco Benucci e Mariano Maugeri per il "Sole 24 Ore"

Napoli siccome immobile s'intitola il libro scritto dal filosofo Aldo Masullo nel 2009, ai tempi in cui l'inquilino di Palazzo San Giacomo si chiamava Rosetta Jervolino. Napoli siccome immobile potrebbe essere un format che attraversa stagioni politiche, epoche storiche, persino secoli, se pensiamo alle esibizioni laurine.

Così come la Napoli dei vicerè salvifici, da Bassolino a De Magistris, segna lo scorrere degli anni in una città senza tempo. Napoli doveva essere la Barcellona italiana e invece è la nostra Caracas. Una città grumosa, sporca, sciatta che espone senza pudore - e forse in questo risiede il suo fascino - i suoi colpi a vuoto, la sua sconcezza e, allo stesso tempo, l'inarrivabile bellezza di cui si gode da via Partenope, il lungomare restituito (ma anche sottratto) ai cittadini e, nei week end, all'esercito di vu cumprà.

De Magistris voleva «scassare», e quel verbo che fece il giro d'Italia all'indomani della sua elezione dopo tre anni si ritorce contro di lui: Napoli è una città scassata, disseminata di gioielli - dall'Albergo dei poveri dell'architetto Fuga all'area flegrea punteggiata dalle ciminiere di Bagnoli - che come un metronomo segnano il fallimento di tutte le politiche dispiegate (si fa per dire) fino ad oggi.

L'invito al viaggio potrebbe cominciare da est o da ovest. Nulla cambia in termini di degrado. Fuorigrotta è il biglietto da visita dell'area occidentale. Un quartiere che con le propaggini di Soccavo, Pianura e Bagnoli conta 250mila abitanti. Lo stadio - oggetto di una vertenza pluriennale tra il presidente De Laurentiis e il Comune di Napoli e di progetti di ristrutturazione controversi - è un monumento alle sorti magnifiche e progressive di un'Italia liquefatta come il sangue di San Gennaro.

Così la Mostra d'Oltremare, che sorge poco più in là, voluta da Mussolini per celebrare le conquiste coloniali. Tutto sembra un fermo immagine dell'epoca laurina. Davanti i cancelli sbarrati di Edenladia, la Gardaland partenopea, il primo parco a tema realizzato in Europa, campeggia un Sos: «Non possono finire così 50 anni di storia».

Più avanti il cinodromo, dove fino a vent'anni fa 280 levrieri correvano dietro una lepre meccanica. A poche decine di metri le macerie del Palazzetto dello sport, teatro delle gesta vittoriose del Napoli basket. Quattro anni prima del cinodromo (1991) si spengono le ciminiere di Bagnoli: una storia infinita pure questa, con una bonifica mai completata, la società che doveva ricostruire l'area - Bagnolifutura - in bilico fra liquidazione e fallimento.

I tecnocrati della premiata ditta Bassolino & Iervolino decidono di costruire, sempre con soldi pubblici, una zona termale e l'ennesimo centro congressi (a pochi chilometri dalle Terme di Agnano e dai centri congressuali della Città della Scienza e della Mostra d'Oltremare) completati e mai inaugurati. Le nuove e le vecchie opere marciscono al sole. Al culmine del loro delirio di onnipotenza, con i quattrini degli altri, progettarono una foresta impenetrabile di 120 ettari all'interno della vecchia acciaieria. Ci si aspettava una pioggia di offerte dai più grandi albergatori del mondo. Invece è stata scena muta.

Ora il Comune intende correre ai ripari e smontare la variante al piano regolatore all'area occidentale voluta da Vezio de Lucia, l'urbanista bassoliniano che mummificò la città e bollò di simonìa, dunque di essere un demonio, chiunque si opponesse al suo piano urbanistico. Carmine Piscopo, l'architetto napoletano chiamato da De Magistris al capezzale della città solo un anno fa (su 12 assessori il sindaco ne ha sostituiti dieci in tre anni) promette che il nuovo ridisegno di Bagnoli, a cubatura invariata, attirerà l'interesse degli investitori italiani e stranieri che finora hanno disertato le gare d'appalto.

Il quadro è desolante: la crisi azzanna, la città s'impoverisce, le partecipate rimangono un carrozzone costosissimo e inefficiente, mentre falliscono uno dietro l'altro i grandi progetti che avrebbero dovuto restituire a Neapolis lustro e lavoro. Le vicende del Forum delle culture 2013, un marchio posseduto dalla città di Barcellona e ceduto in affidamento al bassoliniano Nicola Oddati, raccontano meglio di un pamphlet le convulsioni partenopee.

Doveva essere una grande rassegna internazionale capace di riportare Napoli ai fasti del G7 del 1994, una sorta di Olimpiadi della cultura. Si vagheggiava una pioggia di finanziamenti statali, fino a 150 milioni, con i quali mettere mano anche a opere infrastrutturali. Oddati e i suoi, per preparare l'evento, cominciano a viaggiare per il mondo. Spendono tanto e rendicontano poco o nulla. Nel frattempo, il governo derubrica il Forum da manifestazione nazionale a regionale, tagliando progressivamente i fondi. De Magistris ci mette del suo.

Prima nomina Roberto Vecchioni (che si dimette), poi l'ambasciatore Francesco Caruso (che si dimette), infine Sergio Marotta (che si dimette). Se ne va dal comitato scientifico anche Peppe Barra, un'icona della musica partenopea. Non c'è un progetto, mancano gli impiegati, la cassa è a corto di quattrini.
Scocca il 2013, la data del Forum. Gli organizzatori sono costretti a spostare l'evento dalla primavera all'autunno del 2014.

Uno scuorno, come si dice a Napoli, per una manifestazione già inserita in calendario nel lontano 2008. Fuori tempo massimo, Caldoro e De Magistris si decidono a usare il pugno di ferro: commissariano il Forum e conferiscono pieni poteri al commercialista Alessandro Puca. Non funziona neanche stavolta. E pochi giorni fa rimuovono Puca, che a sua volta ricorre al Tar, per presunte irregolarità contabili. Una farsa. Il neodirettore del Corriere del Mezzogiorno, Antonio Polito, li chiama «i caduti del Forum».

Ecco allora che arriva il decreto di nomina dell'ultimo commissario, Daniele Pitteri, uno che di mestiere organizza eventi culturali. A lui toccherà spendere i 16 milioni stanziati per la manifestazione, 11 per Napoli e cinque per il resto della Regione, ma in cassa al momento ce ne sono solo due. Risultato: i catalani sono così irritati per come è stato maltrattato il marchio che potrebbero chiedere i danni. Così finisce l'alleanza tra la Barcellona autentica e quella putativa. Si spara alto, poi si precipita tra le umane miserie e gli spaventosi limiti organizzativi.

Vogliamo parlare di monnezza? All'indomani della sua elezione, il sindaco De Magistris urla al mondo che la monnezza sparirà dalle strade e Napoli arriverà al 70% di differenziata. La prima promessa è stata mantenuta con l'aiuto della regina d'Olanda, foraggiata dai napoletani con 20 milioni all'anno più il 20% di tasse. La seconda, no. Si viaggia intorno al 27 per cento. E il sindaco, durante un forum con i giornalisti del Corriere del Mezzogiorno, ammette: «L'ho detto in un momento di euforia».

Niente vero, lo contraddice il suo vice e assessore all'Ambiente, Tommaso Sodano: «Il 70% entro il 2015 è un obiettivo sancito dalla legge». Il vicesindaco dice al Sole 24 Ore che le condizioni di Asìa sono drammatiche: «Seicento dipendenti su oltre 2.400 con età media di 57 anni e ridotte capacità fisiche». La città è sporca? Asìa dispone solo di dieci spazzatrici. Ma il dato più sconcertante è un altro. A sei anni dalla catastrofe di monnezzopoli, con le immagini di Napoli che fanno il giro del pianeta, l'umido raccolto con la differenziata continua a essere inviato ai siti di compostaggio di Padova e del Friuli.

Con i costi conseguenti. Sodano allarga le braccia: «Le tre gare d'appalto per un'area di compostaggio da 30 mila tonnellate nella zona di Scampia sono andate deserte». Il motivo è semplice: il 2013 è stato l'annus horribilis dell'amministrazione De Magistris. Le banche hanno chiuso i rubinetti a chiunque avesse tra i suoi clienti Palazzo San Giacomo. Rischio insolvenza in agguato (si veda l'articolo in pagina). Il vicesindaco è ottimista: «Il peggio è alle nostre spalle».

Il lavoro non manca. I cassetti degli assessorati grondano progetti: la mensa dei poveri e il coworking all'Albergo dei poveri, la riqualificazione di Napoli Est, con investimenti privati di 2,3 miliardi, una nuova cordata per Edenlandia. Il problema sono i tempi. Biblici. Ci sono voluti vent'anni per vedere una rete metropolitana attraversare le viscere di Napoli.

Un'idea di Bassolino, comprese le opere di arte contemporanea che costellano l'underground. La stazione di via Toledo sembra una sala del Moma di San Francisco. Piccoli capolavori di estetica. Che dimostrano come Napoli possa ancora produrre bellezza e modernità.

Ma i napoletani non dimenticano. Il blog di Totonno è tappezzato di insulti all'ex sindaco e a De Magistris, «chillo curnut ca pensa a' regat d'a America's cap». Molti osservatori gli rimproverano di non aver dichiarato lo stato di dissesto non appena eletto. Un errore che l'ha costretto a convivere con le casse comunali eternamente vuote.

A complicare le cose c'è l'isolamento del sindaco: il movimento arancione da lui ideato è naufragato, l'Idv è imploso, e pure il Pd non si sente tanto bene. Già, il Pd: un disastro nel disastro. Nel bene o nel male Bassolino è stato l'ultimo politico nazionale di rango prodotto da un partito che pure ha una grande tradizione. Da anni, invece, solo una confraternita di burocrati e affaristi. Il pessimo risultato del Pd in Campania, ha scritto Roberto D'Alimonte, ha determinato la mancata vittoria di Bersani alle ultime politiche.

E ora, alle Europee, rischia di sancire quella di Renzi. Una frammentazione che non risparmia il Centro-destra e si riverbera negli equilibri della maggioranza. Il sindaco rimane in sella con il sostegno di un paio di voti dell'Udc. Sembra di essere tornati alle contrattazioni della Prima Repubblica. Gianni Lettieri, leader di quel che rimane dello schieramento conservatore, continua a proporre una sorta di grande coalizione. Spiega: «Napoli ha di fronte a sé dei problemi così drammatici che esigono il coinvolgimento di tutte le forze politiche».

Proposta ragionevole ma impraticabile per la netta opposizione del sindaco. Bordate arrivano dalla Cisl. Dice il segretario regionale Lina Lucci: «Il paladino della legalità se ne infischia della trasparenza. Voleva fare la rivoluzione con il popolo e non dialoga neppure con le parti sociali». La Lucci è stata la prima a denunciare il caos nella gestione del corpo dei Vigili Urbani, blanditi con premi e bonus distribuiti a seconda degli schieramenti di potere interni a Palazzo San Giacomo.

È doloroso ammetterlo, ma il rinascimento della terza città italiana è di là da venire. Mirella Barracco che fu una delle protagoniste della primavera napoletana, lo ha spiegato di recente senza giri di parole: «Tutti i sindaci degli ultimi anni, non solo De Magistris, appena entrati a Palazzo dimenticano l'umiltà, perdono la capacità di ascoltare i cittadini e vedono in ogni critica un complotto». Difficile dirlo meglio.

 

 

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