lotti marroni

VERBA VOLANT, VERBALI MANENT - LE CARTE CHE INGUAIANO LOTTI E I GENERALI DEI CARABINIERI: ELEMENTI CHIARI SULLA FUGA DI NOTIZIE, COL BRACCIO DESTRO DI RENZI CHE CERCAVA DI SCREDITARE MARRONI, L'AD CONSIP CHE LO ACCUSAVA. E CHE VENIVA CONSIDERATO DAI VERTICI DELL'ARMA ''OSSESSIONATO DALLE CIMICI E DALLE INDAGINI''. CHE INFATTI C'ERANO E CHE PERÒ DA QUEL MOMENTO SONO STATE INQUINATE DAL FATTO CHE I CONTROLLATI SAPEVANO DI ESSERLO

 

 

Fabio Amendolara per la Verità

 

MATTEO RENZI LUCA LOTTI

Prima di scoprire che sulla fuga di notizie dell' inchiesta Consip la versione dell' ex amministratore delegato della stazione unica appaltante, Luigi Marroni, era vera, i magistrati della Procura di Roma hanno chiesto a Luca Lotti, in quel momento ministro dello Sport, se alla base di quelle propalazioni ci fossero motivi di contrasto o di risentimento.

 

E l' ex ministro ha tentato di buttarla in politica, sostenendo nel corso del suo secondo interrogatorio (16 luglio 2017) che aveva cercato di ostacolare la nomina di Marroni ai vertici di Consip. «E per questo», dichiara Lotti, «ci fu un contrasto aperto con il presidente Matteo Renzi». Poi ha rincarato la dose: «Marroni era assessore della giunta regionale della Toscana guidata da Enrico Rossi, notoriamente su posizioni diverse dalle mie».

 

HENRY JOHN WOODCOCK

TENSIONI

Il ministro probabilmente pensava bastasse per prendere le distanze dal suo accusatore, che nel dicembre 2016 spiegò prima ai carabinieri e poi al pm Henry John Woodcock che furono Lotti e l' ex comandante della Legione carabinieri Toscana, Emanuele Saltalamacchia, a fargli sapere che era in corso un' indagine sulla società che guidava (Marroni disse anche che l' ex presidente di Consip, Luigi Ferrara, gli disse di aver saputo dell' inchiesta dall' ex comandante generale dell' Arma, Tullio Del Sette). Dopo quella soffiata, Marroni fece bonificare il suo ufficio dalle microspie messe dai carabinieri del Noe.

 

LUCA LOTTI E TIZIANO RENZI

L' attività investigativa, a quel punto, saltò. Dopo vari interrogatori, confronti all' americana e accertamenti, i magistrati hanno chiuso le indagini nei confronti di Lotti e Saltalamacchia per il reato di favoreggiamento e con Del Sette per la rivelazione del segreto d' ufficio. Tra le migliaia di pagine allegate al documento giudiziario, ci sono le dichiarazioni con le quali i tre indagati si sono messi nei guai.

 

RITRATTAZIONI

A Lotti, per esempio, la trimurti della Procura di Piazzale Clodio (il procuratore Giuseppe Pignatone, l' aggiunto Paolo Ielo e il pm Mario Palazzi), sempre nel corso della seconda convocazione, aveva fatto una lunga premessa, spiegando al ministro dello Sport che Marroni ma anche Filippo Vannoni (ex consigliere economico di Palazzo Chigi) avevano riferito fatti e circostanze che confermavano la fuga di notizie. Lotti ha negato: «Le dichiarazioni di Marroni sono totalmente false, poiché, ribadisco, non ho mai saputo di indagini relative a Consip».

luigi marroni

 

Vannoni, invece, durante un «casuale» incontro avvenuto in un luogo imprecisato tra largo Chigi e Palazzo Chigi, gli riferì che era stato sentito da Woodcock. «Ammise di aver mentito», fa mettere a verbale Lotti, «scusandosi in modo imbarazzato». Lotti disse a Vannoni che avrebbe voluto dargli una testata. E questi successivamente ha tentato di ritrattare, dichiarando che era stato costretto ad accusare il ministro per cavarsi d' impaccio. A confermare che Marroni non godeva di buoni uffici dal ministro, poi, è stato un deputato del Pd: Ettore Rosato.

 

Sentito dai difensori di Lotti, ha riferito che gli sembrò strano che Marroni si recasse da lui, quando era capogruppo del Pd alla Camera, per questioni che riguardavano le società partecipate, invece di andare direttamente da Lotti o Renzi, «visto che dal suo percorso politico», ha sostenuto Rosato, «mi sembrava che potesse avere rapporti diretti con la presidenza del Consiglio».

 

luigi ferrara consip

E fu proprio in quell' occasione che Marroni gli disse «di non avere facili rapporti con Lotti». Al momento, però, la linea difensiva dell' ex ministro non è stata sufficiente a ottenere una richiesta di archiviazione. E così è stato anche per il generale Saltalamacchia, che avrebbe detto a Marroni «di stare attento perché era intercettato». O, forse, «perché c' era un' indagine sull' imprenditore napoletano Alfredo Romeo».

 

O, forse ancora, «per un' inchiesta che veniva da Napoli». Marroni su questo particolare appare un po' confuso nel faccia a faccia con Saltalamacchia. «Non credo che sia un mentitore», si è difeso il generale candidato inutilmente dal Rottamatore alla guida dei servizi segreti, «credo che si sia completamente confuso o che sia stato indotto a confondersi».

SALTALAMACCHIA

 

Cimici

E così il generale ha cercato anche di far passare Marroni per un paranoico con la fissa delle intercettazioni: «Quella degli ascolti nei suoi confronti era una costante delle nostre conversazioni». Con il generale che gli ricordava sempre che «per i ruoli istituzionali rivestiti rischiava di essere sottoposto ad attività di ascolto, non solo dagli organi inquirenti, ma anche per attività di spionaggio industriale». Sull' indagine di Woodock però bocca cucita.

 

«Non gliel' ho assolutamente detto io», afferma Saltalamacchia. «Anche perché», aggiunge, «per la mia esperienza gli avrei consigliato di non toglierle le microspie, ma di tenerne conto quando parlava». E il generalissimo Del Sette? Ferrara ha prima confermato di aver saputo dal comandante generale. Poi ritrattato. E poi riconfermato. Del Sette, sentito in Procura il 23 dicembre 2016, ammise: «Ferrara si avvicinò per chiedermi un consiglio in merito all' opportunità o meno di ricevere un qualche imprenditore che ripetutamente aveva sollecitato di incontrarlo». Quell' imprenditore era Romeo.

TULLIO DEL SETTE

 

«Compreso chi fosse», dice Del Sette, «immediatamente lo sconsigliai dicendogli che si trattava di un imprenditore più volte apparso sulle cronache giudiziarie, notoriamente coinvolto in plurime indagini e forse anche in indagini in corso».

E quell' indagine era Consip.

 

 

Ultimi Dagoreport

emanuele orsini romana liuzzo luiss sede

FLASH! – IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA, EMANUELE ORSINI, HA COMINCIATO IL "RISANAMENTO" DELL’UNIVERSITÀ "LUISS GUIDO CARLI" ALLONTANANDO DALLA SEDE DELL’ATENEO ROMANO LO SPAZIO OCCUPATO DALLA "FONDAZIONE GUIDO CARLI" GUIDATA DALL’INTRAPRENDENTE ROMANA LIUZZO, A CUI VENIVA VERSATO ANCHE UN CONTRIBUTO DI 350 MILA EURO PER UN EVENTO ALL’ANNO (DAL 2027 AL 2024) - ORA, LE RESTA SOLO UNA STANZETTA NELLA SEDE LUISS DI VIALE ROMANIA CHE SCADRÀ A FINE ANNO – PRIMA DELLA LUISS, LA FONDAZIONE DELLA LIUZZO FU "SFRATTATA" DA UN PALAZZO DELLA BANCA D’ITALA NEL CENTRO DI ROMA...

roberto vannacci matteo salvini giorgia meloni

DAGOREPORT - UNO SPETTRO SI AGGIRA MINACCIOSO PER L'ARMATA BRANCA-MELONI: ROBERTINO VANNACCI - L’EX GENERALE DELLA FOLGORE STA TERREMOTANDO NON SOLO LA LEGA (SE LA VANNACCIZZAZIONE CONTINUA, ZAIA ESCE DAL PARTITO) MA STA PREOCCUPANDO ANCHE FRATELLI D’ITALIA - IL RICHIAMO DEL GENERALISSIMO ALLA DECIMA MAS E ALLA PACCOTTIGLIA DEL VENTENNIO MUSSOLINIANO (“IO FASCISTA? NON MI OFFENDO”)  ABBAGLIA LO “ZOCCOLO FASCIO” DELLA FIAMMA, INGANNATO DA TRE ANNI DI POTERE MELONIANO IN CUI LE RADICI POST-MISSINE SONO STATE VIA VIA DEMOCRISTIANAMENTE “PETTINATE”, SE NON DEL TUTTO SOTTERRATE - IL PROGETTO CHE FRULLA NELLA MENTE DI VANNACCI HA COME TRAGUARDO LE POLITICHE DEL 2027, QUANDO IMPORRÀ A SALVINI I SUOI UOMINI IN TUTTE LE CIRCOSCRIZIONI. ALTRIMENTI, CARO MATTEO, SCENDO DAL CARROCCIO E DO VITA AL MIO PARTITO - INTANTO, SI È GIÀ APERTO UN ALTRO FRONTE DEL DUELLO TRA LEGA E FRATELLI D’ITALIA: LA PRESIDENZA DEL PIRELLONE…

berlusconi john elkann

FLASH! – “AHI, SERVA ITALIA, DI DOLORE OSTELLO...”: DA QUALE FANTASTICA IPOCRISIA SPUNTA LA FRASE “MESSA IN PROVA” PER LIQUIDARE IL PATTEGGIAMENTO DI JOHN ELKANN, CONDANNATO A 10 MESI DI LAVORO DAI SALESIANI? - QUANDO TOCCÒ AL REIETTO SILVIO BERLUSCONI DI PATTEGGIARE CON LA GIUSTIZIA, CONDANNATO A UN ANNO DI LAVORO PRESSO UN OSPIZIO DI COLOGNO MONZESE, A NESSUNO VENNE IN MENTE DI TIRARE FUORI LA FRASE “MESSA IN PROVA”, MA TUTTI TRANQUILLAMENTE SCRISSERO: “SERVIZI SOCIALI”…

bomba doha qatar trump netanyahu epstein ghislaine maxwell

DAGOREPORT - COME MAI DONALD TRUMP,  PRESIDENTE DELLA PIÙ GRANDE POTENZA PLANETARIA, NON È NELLE CONDIZIONI DI COMANDARE SUL PREMIER ISRAELIANO BENJAMIN NETANYAHU? - COME E' RIUSCITO "BIBI" A COSTRINGERE L’IDIOTA DELLA CASA BIANCA A NEGARE PUBBLICAMENTE DI ESSERE STATO PREAVVISATO DA GERUSALEMME DELL'ATTACCO CONTRO ALTI ESPONENTI DI HAMAS RIUNITI A DOHA? - DATO CHE IL QATAR OSPITA LA PIÙ GRANDE BASE AMERICANA DEL MEDIO ORIENTE, COME MAI LE BOMBE SGANCIATE VIA DRONI SUI VERTICI DI HAMAS RIUNITI A DOHA SONO RIUSCITE A PENETRARE IL SISTEMA ANTIMISSILISTICO IRON DOME ('CUPOLA DI FERRO') DI CUI È BEN DOTATA LA BASE AMERICANA? - TRUMP ERA STATO OVVIAMENTE AVVISATO DELL’ATTACCO MA, PUR CONTRARIO A UN BOMBARDAMENTO IN CASA DI UN ALLEATO, TUTTO QUELLO CHE HA POTUTO FARE È STATO DI SPIFFERARLO ALL’EMIRO DEL QATAR, TAMIN AL-THANI - SECONDO UNA TEORIA COMPLOTTISTICA, SOSTENUTA ANCHE DAL MOVIMENTO MAGA, NETANYAHU AVREBBE IN CASSAFORTE UN RICCO DOSSIER RICATTATORIO SUI SOLLAZZI SESSUALI DI TRUMP, FORNITO ALL’EPOCA DA UN AGENTE DEL MOSSAD ''SOTTO COPERTURA'' IN USA, TALE JEFFREY EPSTEIN...