UN ‘VIETNAM’ CHIAMATO SENATO – RENZI A CACCIA DI 40 VOTI A PALAZZO MADAMA – TRA I TAFAZZISMI PD (25 SENATORI HANNO FIRMATO UN DOCUMENTO MOLTO CRITICO) E LE FRATTAGLIE CENTRISTE LA SALVEZZA DI MATTEUCCIO PASSA ANCORA UNA VOLTA DAL CAV

Tommaso Ciriaco per ‘La Repubblica'

Numeri da brivido. «Stretti, strettissimi», ammette sconsolata Nunzia De Girolamo. È il Senato alla prova delle riforme. Una specie di matrioska, una terra di mezzo dove spadroneggiano gruppi, gruppetti e manipoli di senatori. Sono pronti a tutto pur di pesare (e pesarsi). Matteo Renzi, però, ha in mente solo un numero magico: 160. È l'asticella da scavalcare per cancellare il bicameralismo perfetto. Per riuscire nell'impresa, deve conquistare una quarantina di voti a rischio.

Più che un'Aula parlamentare, un rompicapo. Così si presenta Palazzo Madama di fronte alla sfida delle riforme. Abolire la Camera alta, depotenziarla o semplicemente ritoccarla: sentieri che si dividono, inesorabilmente, inseguendo maggioranze variabili. Al netto della propaganda e dei distinguo di maniera, Renzi può contare su un pacchetto di circa 120 voti certi. In larga parte sono democratici (almeno una novantina dei 107 senatori Pd). E poi ancora gli 8 di Scelta civica, i 12 delle Autonomie e una decina fra senatori a vita (quattro, oltre a Monti) e gruppo Misto. Per il resto, è caccia all'indeciso.

Nel caos spicca lui, il Cavaliere. Decaduto, con la libertà personale che gli sfugge dalle mani. A Palazzo Madama, però, Silvio Berlusconi resta ancora centrale. Determinante, forse: «Non porteremo le patatine al party di Renzi - sibila Maurizio Gasparri - Bisogna
ragionare, su tutto». I berlusconiani brandiscono bastone e carota. Non vogliono mostrarsi ostili alle riforme, hanno disperato bisogno di tenere in vita la stagione costituente per non finire ai margini. «La contabilità del Senato è complicata. Se il ddl non cambia - avverte Gasparri - meglio allora abolire del tutto il Senato. Io, comunque, proporrò l'elezione diretta del Presidente della Repubblica».

Dovesse reggere il patto tra il premier e Berlusconi, i 60 azzurri basterebbero a garantire una navigazione tranquilla. «Ma figuriamoci - protesta Augusto Minzolini - questo testo è una follia! E ricordate: l'ultima fiducia ha preso giusto 160 voti, mentre stavolta diversi dem voteranno contro, me l'hanno assicurato... «. Il senatore, nel dubbio, si prepara a presentare una nuova proposta: «Quattrocento deputati, duecento senatori. E in seduta comune votano la fiducia».

Se Berlusconi rassicura - «saremo leali» - i pretoriani lasciano che l'accordo scricchioli. Traballi. «Quale patto? », domanda Deborah Bergamini. Quello siglato dai due leader, insistono i berlusconiani, va aggiornato. Reclamano un nuovo faccia a faccia, sperano che si tenga la prossima settimana. Tutto bene - è già accaduto - se non fosse che intorno al 10 aprile il Cavaliere finirà ai domiciliari o ai servizi sociali. Una foto imbarazzante, per l'inquilino di Palazzo Chigi.

In realtà, il Pd preoccupa addirittura di più. Venticinque senatori dem hanno appena firmato un documento molto critico sulla riforma. Almeno una quindicina non torneranno indietro, comunque vada. Né il premier potrà contare sui quarantuno senatori grillini, come assicura l'ex capogruppo Nicola Morra: «I numeri non ci sono. Noi, comunque, non riteniamo che il problema sia il bicameralismo perfetto. Riduciamo il numero dei parlamentari, piuttosto. La proposta del signor Renzi, invece, è funzionale a quanto proposto da un tal Licio Gelli... ».


L'ago della bilancia, allora, potrebbe diventare il Nuovo centrodestra. Arruola 32 senatori, basterebbero ad avvicinare di molto la quota magica. «La linea di Renzi - porge la mano Gaetano Quagliariello - è convincente: la riforma va avanti, ma verrà corretta e migliorata. E sì, certo, noi numericamente dovremmo essere decisivi».

Su alcuni ritocchi, però, gli uomini di Alfano non cederanno. «Non c'è dubbio - spiega De Girolamo - il premier dovrà scegliere. E quando accontenterà qualcuno, scontenterà qualche altro...». Nuotando poi tra le correnti dei microgruppi, aumentano i rischi per il premier. I popolari di Mario Mauro e Pier Ferdinando Casini, per dire, sono allo sbando. Undici in tutto, ma frammentati in almeno due pattuglie. In sette sostengono l'ex ministro della Difesa, quattro si battono per il leader Udc. E Mauro - già impallinato dal premier - ha in mente di consumare tremenda vendetta verso Renzi.

Dove cercare, allora, i preziosi consensi necessari a sorpassare il bicameralismo perfetto? Gli autonomisti di Gal - in orbita berlusconiana - possono riservare qualche sorpresa. Sono undici, ma tre di loro votarono la fiducia a Enrico Letta. E tra gli altri otto, qualcuno è legato a Nicola Cosentino e sempre più distante da Arcore. I quindici senatori leghisti,
invece, intendono utilizzare il bottino di voti in cambio di una legge elettorale gradita. La partita è in mano a Roberto Calderoli, la mente del Porcellum.

Il Misto, infine, sembra un cubo magico. Mille sfumature, mille ambizioni. Ci sono i tre ex grillini raccolti intorno al microgruppo Gap, sulla carta i meno distanti da Renzi. E poi c'è l'ala sinistra, quella composta dagli altri dieci epurati cinquestelle come Orellana e Battista, Campanella e Bocchino, che mai ha negato la voglia di confrontarsi con le altre forze. I sette di Sel, invece, difficilmente si convinceranno. Un rompicapo, appunto.

 

FIDUCIA AL GOVERNO RENZI IN SENATO FOTO LAPRESSE MATTEO RENZI IN CONFERENZA STAMPA A PALAZZO CHIGI FOTO LAPRESSE Silvio berlu Maurizio Gasparri Minzolini Augusto Mario Mauro nicola morra PIER FERDINANDO CASINI FOTO ANDREA ARRIGA

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