CHI ZAIA, PAGA - IL GOVERNATORE LEGHISTA DEL VENETO CONTRO TUTTI: “NON SANNO COS’E’ LA VERGOGNA, LA SINISTRA PRIMA DI CHIEDERE LE MIE DIMISSIONI SI GUARDI IN CASA” - “GALAN? CI CHIAMAVA CIALTRONI E VOLEVA INSEGNARCI COME SI GOVERNA: NON INFIERISCO MA LO RICORDO”
Paolo Berizzi per ‘La Repubblica’
Governatore Zaia, Venezia affonda in un mare di tangenti. Si salvi chi può. Lei che fa?
«Mi prendevano in giro perché non andavo alle cene. O perché ricevevo solo negli uffici della Regione. Beh, leggendo le carte dell’inchiesta, forse tanto male non facevo. Da pubblico amministratore voglio dormire sonni tranquilli, con le carte in ordine e i conti a posto».
Non faccia quello che si tira fuori. Nell’inchiesta Mose sono finiti dentro il suo assessore alle Infrastrutture (Renato Chisso, Pdl) e un consigliere regionale (Giampietro Marchese, Pd).Pezzi dell’istituzione che lei guida da quattro anni. Sono rogne. O no?
«Premessa: i posti per celebrare i processi sono i tribunali, da garantista ho sempre fiducia nella magistratura e spero che ogni imputato a prescindere dal colore — nel caso dei politici — riesca a chiarire la sua situazione. Nell’interesse dei veneti e con la massima velocità. Dopodiché una riflessione va fatta».
Prego. Purché non strumentalizzi la vicenda per magnificare il suo operato da governatore.
«Strumentalizzare? Leggo che qualche brontosauro della sinistra chiede le mie dimissioni. Non sanno più cos’è la vergogna. Si guardino in casa: hanno un sindaco (Orsoni) e un ex capogruppo del Pd (Marchese) in manette; ci sono contributi — regolari, per carità — finiti dalle tasche dei signori del Mose alla segreteria del partito e a tutta una serie di consiglieri. E si chiede a Zaia di dimettersi? È come se chiedessero a Renzi di andare a casa perché un magistrato della Corte dei conti e un generale della Gdf hanno preso soldi. Di che cosa stiamo parlando...».
Non la butti in politica. Le tangenti del Mose sono bicolore. Il punto è un altro. Perché ancora mazzette?
«È una brutta pagina nella storia della Repubblica veneta. Nel grande libro della storia veneta i dogi che commettevano reati contro la nostra Repubblica venivano rappresentati con una mano di nero al posto della faccia. A imperitura memoria. La storia non si cancella. Chi bara e ruba è degno del massimo disonore».
Tradotto in termini più contemporanei?
«Se l’impianto accusatorio sarà confermato, e fermo restando che fino al terzo grado di giudizio non si è colpevoli, lo dico chiaro: i politici, i pubblici amministratori, i dirigenti, i funzionari che hanno preso tangenti devono essere interdetti a vita. Ripeto: a vita».
Favorevole al Daspo per i politici proposto da Renzi?
«Non c’è bisogno che ce lo spieghi Renzi. Chiamiamolo come vogliamo. Io dico interdizione a vita. Senza più possibilità di riciclarsi. Questo sistema esisteva dagli anni ‘90, lo dicono le carte. C’è gente che, appena finita Tangentopoli, si è subito rimessa al lavoro. Chiusa una porta ne hanno aperta un’altra. Stesso metodo. Con una sola differenza: oggi si va oltre la tangente. Siamo allo stipendio fisso. Pazzesco».
Come quello che — stando alle accuse della procura — finiva nelle tasche del suo predecessore Giancarlo Galan: un milione l’anno. In cambio di pareri favorevoli per il progetto Mose.
«Se le accuse reggeranno, il quadro che ne esce è inquietante. Ancora di più pensando ai proclami e alle lezioni pubbliche che Galan dispensava a tutti noi. Dall’alto della sua prosopopea è da quattro anni che sui giornali e le televisioni pontifica su come si deve amministrare un territorio. Che noi della Lega siamo quattro cialtroni... Non voglio infierire sull’uomo, ma non posso non ricordare».
Secondo i magistrati Galan riceve soldi in contanti e su conti esteri. Ristruttura la villa a costo zero “giocando” con la società Mantovani. E cerca pure di bloccare l’indagine dei pm.
«Aspettiamo i processi e poi tiriamo le somme. L’impressione — se si sta alle accuse — è che siamo di fronte a persone che valgono zero. E che non dovrebbero più mettere piede nell’amministrazione».
Anche Chisso, l’assessore della sua giunta? Si beccava 250 mila euro l’anno. Non una bella immagine per il governo veneto.
«Stesso discorso. Voglio però ricordare che ci sono tantissime persone — nomi della politica e delle istituzioni venete con incarichi di alta responsabilità — che non sono state minimamente sfiorate dall’indagine ».
Sorpreso dal coinvolgimento del sindaco Orsoni?
«L’ho conosciuto come avvocato prima che come amministratore. Lo stupore più grande, se fosse confermato il coinvolgimento, è pensare che è prima di tutto un uomo di legge. Dovrebbe conoscere bene il confine tra lecito e illecito».
Il Mose doveva costare 1,5 miliardi e invece siamo già a 5,5. Finiti i lavori, saranno 7. Era proprio necessaria un’opera così?
«Quando hanno iniziato a progettare il Mose portavo ancora i calzoncini corti. Non sta a me dire se andava fatto o no. Forse ormai è anche inutile chiederselo. È lì, praticamente finito. Mi interessa ragionare su un altro aspetto».
Quale?
«Arrivo in Regione quattro anni fa ed era già tutto deciso, progettato, avviato. Il dato che emerge — anche dalle carte — è che questi signori hanno iniziato a avere difficoltà con la Regione da quando ci sono io. Il substrato che c’era prima del 2010 non l’hanno più trovato».
Dice Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione, che il sistema Mose è ancora più grave di quello venuto a galla con Expo. È d’accordo?
«Sì. Le leggi devono essere inasprite. Bisogna serrare i controlli. Vigilare sull’operato di chi ha il potere di far girare soldi. E chi sgarra, fuori».
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Anche dalla Regione Veneto.
«Ho sospeso i tre dirigenti coinvolti nominandone già due nuovi. Ho subito sospeso le deleghe all’assessore Chisso. La prossima settimana finisco l’organico, poi pancia a terra e si va avanti. Nel segno del rigore e della legalità».