BASTA CON LE PIPPE DEL #METOO E VIVA IL TEATRO! – DAVIDE LIVERMORE: “IL MONDO DELLA LIRICA MASCHILISTA? NON PIÙ CHE NEL RESTO DELLA SOCIETÀ, ANZI FORSE DI MENO. CON UNA DIFFERENZA IMPORTANTE: È PIÙ MERITOCRATICO. UNA VOLTA CHE SEI SUL PALCO DEVI DIMOSTRARE QUELLO CHE SAI FARE. NON CI SONO RENDITE DI POSIZIONE, NEANCHE DI GENERE” – “BISOGNA ABBATTERE I CONFINI. OGGI IL TEATRO SEMBRA YOUPORN: ENTRI E DEVI SCEGLIERE FRA ETERO, GAY O BISEX, INSOMMA LA TUA CATEGORIA. E INVECE…”

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Alberto Mattioli per www.lastampa.it

 

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Torinese, torinista, tenore, mimo, attore, regista d’opera e di prosa, direttore (per ora di teatri, per l’orchestra si vedrà). All’attivo le due ultime prime della Scala come regista e una sovrintendenza a Valencia, oggi Davide Livermore continua a fare quel che ha sempre fatto, cioè tutto, ma con un altro impegno stabile, stavolta sul versante della prosa: la direzione del Teatro Nazionale di Genova.

 

Livermore, ha seguito il dibattito sulla Stampa? Il mondo della lirica è maschilista?

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«Non più di altri, credo. Con una differenza importante, però: che è più meritocratico di altri. Una volta che sei sul palco, devi dimostrare quello che sai fare. Non ci sono rendite di posizione, neanche di genere. Aggiungo che, per esempio, nella classica vedo sempre più direttrici e orchestrali donne, segno che anche lì qualcosa si muove».

 

Le sovrintendenti donne, però, restano una minoranza.

la ricostruzione di sant'andrea della valle nella tosca di livermore la ricostruzione di sant'andrea della valle nella tosca di livermore

«Vero, purtroppo. Ma sono meno anche le donne che pilotano un aereo o dirigono un supermercato. Il teatro è lo specchio della società. Per quel che riguarda il mio, al Nazionale di Genova su otto capi area sei sono donne e soltanto due maschi. E non perché ci sia un sistema di quote rosa, ma semplicemente perché sono brave».

 

Insomma, lei questo sessismo nello spettacolo non lo vede.

«Il maschilismo certamente esiste. Ma in teatro non più che nel resto della società, anzi forse di meno. E va benissimo parlarne, ma non si può parlare solo di questo. Oggi c’è un grande bisogno di parlare di teatro, sia per la bellezza di cui è portatore sia per il senso di comunità che deve tornare ad avere, dopo l’andamento terrificante del Covid e della comunicazione covidiaria. Alla gente va ricordato che il teatro pubblico è suo».

LIVERMORE DON PASQUALE LIVERMORE DON PASQUALE

 

Da qui il Tir, Teatro In Rivoluzione. Di che si tratta?

«Di un tir, appunto, su cui sono montate le scene di Bastiano e Bastiana di Mozart. Lo portiamo in giro per la città e facciamo Mozart e non solo nelle piazze. Se la gente non può andare a teatro, noi portiamo il teatro alla gente.

 

Abbiamo iniziato il 7 agosto e finiremo il 5 settembre. Si entra con la prenotazione, purtroppo, e distanziati. Ma gratis. E’ la cultura indomita, la bellezza dove non te l’aspetti, anche in una spianata di periferia, abbattendo la quarta parete e portando il teatro dove deve stare: in mezzo ai cittadini».

 

ELENA DI EURIPIDE BY DAVIDE LIVERMORE ELENA DI EURIPIDE BY DAVIDE LIVERMORE

Risultato?

«E’ sempre tutto pieno, pur nel rispetto del distanziamento sociale, brutta parola, perché la distanza non è mai sociale. Ma l’obiettivo che il teatro si deve porre in questo periodo è vincere la paura di stare insieme, contro lo sfascismo della paura e il fascismo di chi individua sempre nell’altro un nemico».

 

Utopia, si potrebbe ribattere.

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«No, non è idealismo. E nemmeno volontariato. Io sono un ragazzo di periferia la cui vita è stata cambiata dalla politica culturale che si faceva a Torino una volta. Il teatro deve riappropriarsi dell’immaginario della gente, ritornare a essere il luogo dove la comunità si ritrova e discute. Senza steccati».

ELENA DI EURIPIDE BY DAVIDE LIVERMORE ELENA DI EURIPIDE BY DAVIDE LIVERMORE

 

Nemmeno di genere teatrale? Oltre a Mozart, sul tir c’è anche la prosa.

«E che prosa. Recital di Valentina Lodovini, Paolo Rossi, Laura Marinoni, Lella Costa e così via. Il Tir è un progetto del Nazionale inseme con il Carlo Felice. Bisogna che i teatri delle città inizino a parlarsi e a fare squadra. A tutti i livelli, anche artistico».

 

Non facile, siamo tutti abituati ai compartimenti stagni, anche il pubblico.

« L’estate scorsa ho battuto il record di sbigliettamento al teatro greco di Siracusa e con un titolo certo non notissimo come Elena di Euripide. La tragedia greca non è prosa.

 

Abbiamo fatto Euripide amplificandolo come un concerto degli AC/DC, cioè traducendo in termini contemporanei l’amplificazione della voce che dava l’uso antico della maschera. Era prosa, era opera? Non so e non m’importa. Bisogna abbattere i confini fra generi. Oggi il teatro sembra Youporn: entri e devi scegliere fra etero, gay o bisex, insomma la tua categoria. E invece in teatro ci dev’essere la massima libertà».

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Il paragone con Youporn mancava. Ma insomma, da regista preferisce l’opera o la prosa?

«Sono come uno che fa l’amore con Mariuccia pensando ad Annalisa e viceversa. Però è l’opera il teatro italiano più internazionale. Il nostro teatro di prosa dovrebbe ispirarsi all’opera, invece di restare in una comoda autoreferenzialità».

 

E da fare, quale delle due è più facile?

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«Tutto sommato, l’opera».

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