PIZZI, THE “FIRST” (DA SPIA A DAGOSPIA) – "Agnelli per anni ha tolto dalla circolazione le foto del figlio Edoardo che andava a disintossicarsi nella comunità di Amelia. Dopodiché arrivavano la pubblicità Fiat o un’auto nuova per giornali e giornalisti. Se vuoi viaggiare in Bentley come Corona, è così che funziona" - "DAGO È UN AMICO, PERÒ MENO LO VEDO E MEJO ME SENTO”…

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Stefano Lorenzetto per "First"

Umberto PizziUmberto Pizzi

Maria Angiolillo è stata la sua involontaria musa da viva e ora, anche da morta, continua ad assistere Umberto Pizzi, l'Alinari dei salotti romani. «Melania Rizzoli pensava di tenermi fuori dalla cena che ha dato in onore della candidata Renata Polverini, voleva lasciarmi giù al portone. Le ho detto: ahò, ma chi te credi d'esse', la Angiolillo? Mi ha subito fatto entrare, anche se il marito Angelo non mi pareva troppo contento».

stefano lorenzetto umbERTO pizzistefano lorenzetto umbERTO pizzi

Ecco perché a Sant'Andrea delle Fratte c'era anche Pizzi alla messa di trigesimo per la vedova del fondatore del Tempo, confuso nei banchi fra gli amici più cari della defunta, Gianni Letta, Bruno Vespa, Francesco Caltagirone Bellavista e gli immancabili Giuseppe Consolo, padre di Nicoletta Romanoff, e Sandra Alecce, moglie di Franco Carraro, il primo ad arrivare e l'ultima a lasciare Villa Giulia, detta anche Villino Maria, mentre Pizzi si congelava o si liquefaceva, a seconda delle stagioni, sullo scalone di Trinità dei Monti. È andato per riconoscenza, lui che in chiesa non ci mette mai piede e si dichiara «ateo de sinistra rosso antico».

MELANIA RIZZOLI ELEGANTORUMMELANIA RIZZOLI ELEGANTORUM

È andato senza macchina fotografica, lui che non se la stacca dal collo nemmeno quando fa pipì. Era lì solo per suffragare l'anima buona di «Mariasaura, fondata nel 1918», come la chiamava con affettuosa perfidia Roberto D'Agostino, che in dieci anni di paparazzate firmate da Pizzi e pubblicate sul cliccatissimo sito Dagospia ha consegnato alla posterità tanto l'una quanto l'altro.

A dire il vero, i reportage fotografici D'Agostino li ha sempre firmati «Umberto Pizzi da Zagarolo». Il complemento di origine strizza l'occhio all'ultimo tango di Franco Franchi, però non rende giustizia all'intrepido cronista che in mezzo secolo di carriera ha lavorato per tutti, da Time a People, mettendo insieme un archivio di 1,3 milioni d'immagini protetto dal ministero per i Beni culturali in quanto «rappresenta testimonianza unica e particolare della vita politica e sociale del nostro Paese». Ora Pizzi sta lavorando con D'Agostino a un secondo Cafonal, il mostruoso campionario degli «italioni nel mirino di Dagospia», che Mondadori pubblicherà in autunno.

MARIA ANGIOLILLO - Copyright PizziMARIA ANGIOLILLO - Copyright Pizzi

Il ritrattista ufficiale della «Roma godona» sembra l'inoffensivo Cucciolo dei sette nani, solo un po' cresciuto: un metro e 82. In realtà il Rapporto 116 del dossier Mitrokhin lo qualificava come un contatto affidabile reclutato nel 1970 dal Kgb. Nome in codice: Walter. Sette anni di onorato servizio. Dopodiché l'agente segreto avrebbe comunicato a Mosca che il suo grado d'istruzione, «diplomato alle commerciali e autodidatta», non gli consentiva di sostenere le conversazioni di elevato profilo necessarie per procurarsi informazioni riservate.

Pizzi, sposato da una vita con Nena, se la ride: «Una storia assurda. Se davvero fossi stato una spia, oggi vivrei di rendita, le pare? Invece a 72 anni mi tocca ancora lavorare per D'Agostino e per Il Tempo. Quando uscì questa brutta notizia, pensai che la gente m'avrebbe sputacchiato per strada. Macché, mi guardavano tutti con invidia e ammirazione. Lì ho capito che l'Italia non è un Paese normale».

Da spia a Dagospia il passo è breve.

«Non nego d'aver sempre avuto i miei informatori. Ma solo nel lavoro. Per il National Enquirer arruolai come gola profonda un collaboratore di Stefano Casiraghi, il marito della principessa Carolina di Monaco. Mi spifferava i segreti di Casa Grimaldi. Lo pagammo per due anni».

Di soffiate se ne intende.

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«La Angiolillo s'incazzava a morte. Telefonate di fuoco perché le rivelassi il nome del giuda che mi passava data e ora delle sue cene. Una sera arrivò a fare il totospia con l'aiuto del generale Nicolò Pollari, il capo degli 007 del Sismi. I sospetti si appuntarono su un unico commensale: Mario D'Urso. L'ex senatore amico di Gianni Agnelli mi voleva menare. Alla fine dovetti stringere un patto con la Mariasaura: le svelerò il nome del traditore quando saremo entrambi in pensione. Purtroppo è morta prima del mio ritiro».

Perché ha sentito il bisogno di partecipare alla messa di trigesimo?

«Per simpatia. Ho sempre studiato i caratteri dai visi. E sono giunto alla conclusione che la Angiolillo, al di là delle sfuriate, era una donna molto buona».

E quale salotto ha preso il posto di Villa Giulia?

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«Ma nessuno, nessuno! Prova ne sia che negli altri salotti vengo ammesso liberamente. Siamo alla parata del potere. Esserci è l'imperativo categorico. Frotte di presenzialisti che gareggiano nel farsi fotografare, unico modo per dimostrare prima di tutto a se stessi che esistono, che contano qualcosa. A Roma ogni occasione è buona per apparire e gozzovigliare. Non si fermano nemmeno quando muore il Papa. Organizzarono una cena con danza del ventre all'Ultima luna, un locale libanese sulla Nomentana, mentre Giovanni Paolo II era ancora sul catafalco».

Insomma, la Angiolillo non ha eredi.

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«Forse una c'è, la baronessa Gaby Bassatne, una parruccona tremenda di origine italiana, moglie di un creso libanese. L'ho vista ai funerali e anche all'ultima sfilata di Lella Curiel. Indossa certe batterie di gioielli Cartier... Ha organizzato una soirée ristretta al ristorante Mirabelle dell'albergo Splendid Royal, fra via Veneto e Villa Borghese, e mi ha dato il permesso d'entrare. C'erano tutti gli Angiolillo boys, Vespa in testa».

Ma il vero padrone della capitale chi è?

«Il costruttore Francesco Gaetano Caltagirone, editore del Messaggero, del Mattino di Napoli e del Gazzettino di Venezia, nonché suocero di Pier Ferdinando Casini. È lui l'ottavo re di Roma».

Umberto e Gianni AgnelliUmberto e Gianni Agnelli

Il primo capitolo di Cafonal s'intitolava «Quello che resta degli Agnelli». Che resta?

«Resta Lapo, poverino, ricattato da gente di cui si fida, è questo l'aspetto più orribile. Della madre Margherita non parliamo neppure. Ai funerali della zia Susanna la scansavano tutti, a cominciare dai figli di primo letto. L'unica che le stava vicino era Ginevra».

Di Fabrizio Corona che cosa pensa?

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«Non voglio neanche pensare. Ma fa il mio mestiere? Io non l'ho mai visto con una macchina fotografica in mano. Però ha capito che si pigliano più soldi a non pubblicare le immagini che a pubblicarle. Non è che abbia inventato nulla. Si fa da sempre».

Come sarebbe a dire?

«Sarebbe a dire che Agnelli per anni ha tolto dalla circolazione le foto del figlio Edoardo che andava a disintossicarsi nella comunità di Amelia. Dopodiché arrivavano la pubblicità Fiat o un'auto nuova per giornali e giornalisti. Se vuoi viaggiare in Bentley come Corona, è così che funziona. E infatti io ho girato per 11 anni con una Punto sgarrata e mo' me so' fatto la più piccola delle Hyundai e un motorino Kymco. Tutto made in Corea, la roba che costa meno».

Però anche lei fu pagato da Agnelli per foto mai uscite.

«Vero. Una sera pizzicai l'Avvocato all'uscita del Jackie O' in compagnia di una modella americana, Ramona Ridge. Si fece subito vivo Luca Cordero di Montezemolo e mi chiese di comprare l'intero servizio. Gli risposi che vendevo solo ai giornali. I cinque scatti furono acquistati in esclusiva dall'Eco dell'Industria. Allora ero ignorante, non sapevo che si trattava di un giornaletto nell'orbita Fiat.

FRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE FANCIULLAFRANCESCO GAETANO CALTAGIRONE FANCIULLA

Se avessi venduto quelle foto a un rotocalco, mi sarei potuto comprare un appartamento. Ma da Agnelli non ho mai preso ordini. Semmai è accaduto il contrario: l'ultima volta che lo fotografai, a Sankt Moritz, chiesi a lui e a donna Marella di togliersi gli occhiali da sole e loro obbedirono».

Dello scandalo di Piero Marrazzo che va a trans con l'autoblù della Regione Lazio che idea s'è fatto?

«Una storiaccia triste. Lei sa che io sono di quella parte...».

Quale parte?

«Ahò, parte politica, precisiamo! Nei ruoli istituzionali un minimo di etica ci vuole. Sennò finisci come monsignor Franco Camaldo, cerimoniere di Benedetto XVI, che ho beccato fra Amanda Lear e le drag queen a una festa trash dello stilista Gai Mattiolo mentre scattava foto col suo telefonino».

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I Bertinotti divorziano o no?

«Eh, secondo me Fausto cià ragione: la Lella ha ecceduto in presenzialismo. Così lo danneggia. Lui se n'è accorto troppo tardi. È ancora molto innamorato. Ma li vedo in crisi».

Come nasce il fotoreporter Umberto Pizzi?

«Per caso. A 12 anni già lavoravo: falegname, facchino nei cantieri, lavapiatti, aiuto infermiere. A 18 mi offrirono di accudire il proprietario dell'hotel Ambasciatori Palace, al quale era stata amputata una gamba. Lo scarrozzavo con le sue due Rolls-Royce. Avevo comprato una Voigtländer a soffietto usata, per hobby fotografavo alberi e facce. Una fisioterapista dell'albergatore vide i miei lavori e mi presentò a una photoeditor della Fao.

MONTEZEMOLOMONTEZEMOLO

Comprai la prima Nikon e cominciai a girare il mondo per conto di Freedom from hunger, la campagna dell'Onu contro la denutrizione. Fotografai i minatori turchi di Zolguldak, i beduini del deserto fra Giordania e Arabia Saudita, i profughi curdi in Irak e Iran. Ma la Fao pagava poco e così al ritorno m'intruppai fra i paparazzi romani».

Primo scoop?

«Romano Mussolini che entrava all'albergo Sitea con la madre di Sophia Loren. La suocera, per intenderci. Diedi le foto a Gente, ma non furono mai pubblicate. Mi dissero che le aveva bloccate il produttore Carlo Ponti, il marito di Sophia».

La Loren era uno dei suoi bersagli fissi.

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«Sull'isola di Santa Lucia, nei Caraibi, mi fece persino arrestare. Il pedinamento più costoso della mia carriera. Aveva una love story con un endocrinologo francese. Mi scoprì e chiamò la polizia. Tre giorni in una prigione spaventosa, con una gavetta dentro cui galleggiavano croste di pane e mosquitos. Nel 1978 la sorpresi a Parigi, a Port Maillot, dentro una Mini Minor guidata proprio da lui, il professor Emile-Etienne Beaulieu, l'inventore della pillola abortiva Ru486».

Ha perseguitato anche Liz Taylor.

«A Capri, nella villa di Valentino dov'era ospite con Richard Burton, s'attaccava alla bottiglia appena sveglia. I primi tre giorni al Grand Hotel di Roma li passava chiusa nella suite al primo piano a bere. Una volta arrivò col miliardario Malcom Forbes e uscì sul terrazzo dopo la doccia, il capo inturbantato da un asciugamano. S'accorse della mia presenza e mi salutò col dito medio alzato verso il cielo.

signoracci angiolillo lella fausto bertinottisignoracci angiolillo lella fausto bertinotti

Alla Cabala la vidi portare via di peso dai gorilla dell'armatore Aristotele Onassis, ubriaco fracico pure lui. Un'altra volta le cadde per terra un brillante mentre danzava mezza sbronza al Brigadoon. Sembrava impazzita. Alla fine fui io a ritrovarle il brillocco. Voleva concedermi un ballo per sdebitarsi. Le dissi: a Liz, lassa perde' e famo le foto piuttosto».

C'è qualcuno che non è mai riuscito a fotografare?

«A Stefano, ma te pare? Nun me sfugge gnente. O prima o poi li fiocino tutti».

L'evento più cafonal al quale le è capitato d'assistere?

«Niente è più cafonal della politica. Ogni tanto mi faccio dare l'accredito per seguire i lavori a Montecitorio e a Palazzo Madama. Terrificante. Gente che dorme, dita nel naso, scollature su seni rifatti... Il cafonal è l'aspetto prevalente della società odierna, è dilagante, è ovunque.

Non a caso la foto che mi ha regalato in assoluto più fama l'ho scattata non a Roma ma a Venezia, alla festa per i 18 anni della figlia di Maria Gabriella di Savoia, quando Francesca von Thyssen, ramo acciaierie, è comparsa alle tre di notte a Palazzo Volpi, sul Canal Grande, con un abito di Versace sotto il quale non indossava le mutande. Una foto allegorica che ha fatto il giro del mondo, 130 mila dollari al netto delle spese e citazione sul New York Times».

carlo ponti sophia lorencarlo ponti sophia loren

Allora perché su Cafonal avete proclamato Milano «città decafonalizzata»?

«Non l'ho deciso io. Secondo me a Milano sono soltanto un po' più sobri nel vestire. Ma si tuffano sui buffet e si strafogano che è una meraviglia, esattamente come a Roma».

CARLO PONTI e Sophia LorenCARLO PONTI e Sophia Loren

Così può fornire a Dagospia gli impietosi ritratti «gnam-gnam».

«Un'antica vendetta. Vengo da una famiglia proletaria. Padre contadino, madre casalinga. La loro unica ricchezza erano i figli. Io sono il quarto di sette. Più che una casa, una caserma. Arrivare a sera con qualcosa nello stomaco era una battaglia. A Zagarolo la terra è dura e le patate non crescono. Le più piccole i contadini le davano in pasto ai maiali. Io andavo di nascosto nei recinti, aspettavo che i porci si distraessero, gli fregavo le patate di scarto e me le mangiavo crude, senza neppure sbucciarle».

LIZ TAYLOR - FUNERALE JACKSONLIZ TAYLOR - FUNERALE JACKSON

Il politico più triste chi è?

«Non vorrei dirlo, ma ho visto Clemente Mastella con la moglie Sandra e mi ha fatto proprio pena. Tagliato fuori, stroncato».

Lei ha preso le difese di Veronica Lario, però Cafonal gliel'ha pubblicato il suo ormai ex marito.

«Che vor di'? La Mondadori non l'ha mica fondata Silvio Berlusconi. Non è vero che lì dentro sono tutti schiavi. Conosco un sacco di compagni che lavorano per il Cavaliere. Ecche dovrebbero fa'? Impiccasse?».

Daniela Di Sotto, la prima moglie di Gianfranco Fini, si vede ancora allo stadio?

«Meno. Prima non mi salutava, adesso sì. Ha incassato gran male. Quando vengono messe da parte a quell'età, è una tragedia».

CLEMENTE MASTELLA SANDRA LONARDOCLEMENTE MASTELLA SANDRA LONARDO

Mi dica la verità: come sono i suoi rapporti con D'Agostino?

«È un amico, però meno lo vedo e mejo me sento. Mi stava pure sulle palle, appena l'ho conosciuto. Un paio di volte ci siamo sfanculati. Per cui salgo cinque minuti nel suo attico, guardo Roma da una parte e il Vaticano dall'altra, e te saluto. Io sono riflessivo, lui è estroverso. Io sono di sinistra, lui è bipartisan: se deve menare, mena su tutti i lati».

Ma in un Paese serio dove si pubblicano giornali seri lei non dovrebbe stare nel settimanale di gossip più diffuso anziché su Internet?

«Sì, ma dicono che sono troppo caro».

Quanto vorrebbe per lavorare solo per me?

«Dovrebbe farmi ridere, non farmi piangere».

Quanto?

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«Cinquemila euro al mese. Free tax».

Come mai non ha ancora vinto il premio È giornalismo? L'hanno dato persino a Fabio Fazio.

«Nun me ne frega gnente. Il miglior premio me l'ha assegnato Eugenio Scalfari, un giorno che l'ho incontrato per strada: "Proprio te cercavo!". Oddio, ho pensato, che gli ho fatto io a questo? E lui: "Devo complimentarmi perché sei l'unico che riesce a descrivere l'Italia in tempo reale". Noi fotoreporter siamo sempre stati i paria del giornalismo. Io adopero la macchina fotografica perché non so usare quella per scrivere. Ma le mie foto parlano».

Le foto del nano con i genitali al vento, il cappello da alpino in testa e i brufoli sulla pancia che tenta d'arrampicarsi su un transex erano vomitevoli.

«Ne ho fatto una gigantografia per la presentazione di Cafonal a Villa Medici, dov'eravamo ospiti dell'Accademia di Francia. Quando Frédéric Mitterrand l'ha vista, mi ha detto: "Pizzi, questo è troppo". Me la sono messa su una parete della casa di campagna a Zagarolo».

Come mai nelle foto si concentra sui piedi e sulle scarpe. È feticista?

«Manco so che significa di preciso 'sta parola. Fanno parte del cafonal. Non mi eccitano».

Marcello MastroianniMarcello Mastroianni

E poi le balconate.

«Mi ricordano il primo atto della vita: nasci e t'attacchi al seno. Il davanzale di Sabrina Ferilli non è male. Anche quello di Rita Rusic regge ancora bene. Er prosciutto è bbono con un po' de grasso».

Le sue vittime l'hanno mai menata?

«Di norma portano rispetto ai capelli bianchi. Da giovane mi sono scazzottato con Walter Chiari per un flash di troppo sparato ad Ava Gardner. Liz Taylor mi tirava addosso le bottiglie vuote di Dom Pérignon. Sono stato aggredito dalle guardie del corpo di John Bobbit, l'americano evirato dalla moglie Lorena. Gérard Depardieu, mezzo ubriaco, ha cercato di rifilarmi un gancio: mi sono scansato e ho contraccambiato con un pugno in piena faccia. Ho fatto causa a Mick Jagger dei Rolling Stones, che mi ha scaraventato giù dalle scale dell'hotel Parco dei Principi, e ho preso un bel po' di soldi»

Di quelli che non ci sono più, chi ricorda con più nostalgia?

«Certamente non mi manca Federico Fellini. Ha strumentalizzato i paparazzi in modo bestiale per apparire quello che non era: un donnaiolo. Invece era un "frocio per metà", come si dice a Roma. Sognava le donne grasse e grosse, con le tettone de sopra e il pisello de sotto. Ha precorso i tempi. Questa capitale corrotta è sempre stata così. Per i Mondiali del '90 non ricordo se il Daily Mail o il Daily Mirror mi commissionarono un servizio che doveva dimostrare come il pericolo per i calciatori inglesi in trasferta non fossero le zoccole bensì i trans. Andai a fotografare i travestiti sotto il viadotto di corso Francia. Facevano affari d'oro già allora».

Dunque di chi ha nostalgia?

«Di Marcello Mastroianni. Mi mancano la sua signorilità, la sua ironia. Quando tentavo di fotografarlo, mi diceva: "A Umbe', perché nun te ne vai a fa' er metalmeccanico?". Ma vacce te, gli rispondevo. Sorrideva: "Ciai ragione"».

 

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