QUER PASTICCIACCIO INCENDIARIO DI “EROS E PRIAPO” - ADELPHI PUBBLICA LA VERSIONE ORIGINALE DEL CAPOLAVORO DI GADDA: UN’ INVETTIVA DEGNA DI DANTE CONTRO IL CONSENSO PER IL DUCE - LO SCRITTORE SI LAMENTAVA DELLA SUA SALUTE: “MI PAR D’ESSERE QUELLA VECCHIA TROJONA DEL TEVERE CHE VIDI VENIR SU DAL CANNETO SCLAMANDO ‘NUN NE POZZO PIÙ, NUN NE POZZO PIÙ’…” - -

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Paolo Mauri per la Repubblica

 

GADDA GADDA

La storia dei libri di Gadda sta diventando, nel tempo, un romanzo parallelo o forse addirittura un poema epico in cui lo scrittore lotta con se stesso e con il mondo intero che lo assedia, spesso in un controllato e sulfureo delirio di parole. Di Eros e Priapo conoscevamo l’edizione Garzanti del 1967 uscita col sottotitolo “da furore a cenere”:

 

ora Adelphi ha pubblicato, di quel libro, la versione originale ritrovata pochi anni fa e che risale agli anni Quaranta, a cura di Paola Italia e Giorgio Pinotti cui dobbiamo l’eccellente apparato e la minuziosa ricostruzione delle vicende che portarono Gadda, pressato dall’editore e aiutato da Enzo Siciliano in veste di editor, a fornire finalmente una versione pubblicabile di quel suo saggio incendiario.

 

Altri tentativi di pubblicazione c’erano stati: una tranche era stata respinta da Enrico Falqui e Gianna Manzini per la rivista Prosa, e pensare che Gadda aveva chiesto a Falqui di non far leggere il testo, troppo spinto, alla Manzini. Poi, dieci anni dopo, all’incirca, nel ’55, alcune pagine, col titolo Il libro delle Furie erano state accolte, divise in quattro puntate, dalla rivista di Pasolini e Roversi, Officina.

 

Particolare curioso: per il numero 4 della rivista il testo di Gadda, impedito «da malanni fisici e circostanze nemiche», non arriva in tempo e viene proposta una sua lettera del 1940 in cui, protestando anche allora una salute malferma, scriveva: «Mi par d’essere quella vecchia trojona che in una delle mie passeggiate solitarie lungo il Tevere vidi venir su dal canneto soffiando come un vitello marino e sclamando ‘Nun ne pozzo più, nun ne pozzo più’…».

 

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Eros e Priapo nella versione originale è simile ma diversissimo rispetto al testo purgato del ’67, dove, tra l’altro Gadda spesso presente in veste di commentatore latinizzato in Gaddus, anagramma alla buona il suo nome e si traveste da Alì Oco De Madrigal, quasi a prendere le distanze. Oggetto del pamphlet, come si sa, è il fascismo con Mussolini (il Kuce, il Merda, il mascelluto e stivaluto Poffarbacco, il Batrace luetico e via seguitando in una serie quasi infinita di variazioni) e con un popolo che da Mussolini si è lasciato stregare e fecondare in ogni sua componente maschile e femminile.

 

Ed è con la componente femminile, posseduta dal Kuce in una sorta di amplesso collettivo e mostruoso, che Gadda se la prende di più, creando pagine stupende per invenzione verbale e profonda intuizione di una psicologia di massa colta nel momento stesso in cui si invera nei gesti e nei diffusi comportamenti.

 

EROS E PRIAPO GADDA EROS E PRIAPO GADDA

Le Marie Luise che impazziscono per l’uomo solo al comando sono una sublime creazione realistico- grottesca di cui Gadda è perfettamente consapevole. Le migliaia di Marie Luise Pizzighetti che partecipano la loro prima comunione in Pizzighettone, l’esercito delle crocerossine, la carica erotica trasmessa dalle truppe («la donna adora i militari»), dalle camicie nere e da Lui, Priapo sopra tutti gli altri, sono oggetto di invettive degne di Dante, che è infatti l’autore più spesso citato, anche se molti altri (Boccaccio, Machiavelli, Ariosto) sono presenti nella pagine, per non dire dei classici latini e greci.

 

Gaddus è coltissimo e qui rinforza l’interpretazione e rappresentazione del vissuto con le letture più recenti di Freud che gli servono a cercare un bandolo nell’esame del narcisismo e dei comportamenti di massa, erotici, autoerotici e via seguitando.

 

Eros e Priapo è un libro diseguale, continuamente sul punto di avvolgersi su se stesso, con punte altissime e cadute, ma forse è proprio in questo perenne “non finito” la sua forza travolgente. Dietro alla prosa lavoratissima, all’invenzione lessicale di cui diede un cospicuo elenco anni fa Luigi Matt, intravedi la figura imbronciata dell’uomo Gadda: un patriota in lutto per la disfatta di Caporetto, un capitano in congedo che al fascismo si era adeguato e forse odiandosi poi per non essere stato in grado di ribellarsi.

 

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Anni dopo arriverà a dire a Dacia Maraini in una intervista, di aver scritto Eros e Priapo addirittura nel 1928 inventandosi un passato antifascista. L’Italia, nell’età mussoliniana, era un paese pieno di spie, scrive Gadda che già carico di nevrosi di suo deve aver sofferto molto il conformismo imperante.

 

Molte pagine fanno pensare a una misoginia ben radicata in Gadda, che è molto sprezzante nei confronti delle due Petacci, di Edda Ciano e dei loro appetiti sessuali e non risparmia teorie generali: «In genere le femine sono molto grate al maschio narcissico ed esibitore (padre, fratello, fidanzato, marito, drudo, figlio): esse ringraziano l’uomo di essere un tacchino» e il corollario diretto è che le donne amano l’uomo che occupa posti di comando. Ma, si badi, Gadda estende l’universo femminile anche agli uomini, che spesso si comportano da femmine e, anzi, dichiara, è stato Lui a pretendere di farne degli uomini da femmine che erano.

 

Dunque è una misoginia che forse è, tout court, misantropia. Ma lascerei a lui tutto lo slancio negativo che del resto è l’anima di Eros e Priapo, di cui il volume adelphiano fornisce anche, in appendice, una galassia di testi o scritture gaddiane rimaste a latere che ancor più confortano l’idea di un libro in realtà infinito come la mostruosità della dittatura di cui si fa specchio.

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