RACCHETTA ROSSA, LE MEMORIE DEL COMPAGNO ADRIANO – “COPPA DAVIS, ANDAMMO IN CILE GRAZIE A BERLINGUER (MAGLIETTA ROSSA CONTRO PINOCHET)” - MITA MEDICI? “COPPOLA E PACINO VOLEVANO FARCI CONVIVERE” - BORG “VUOTAVA DUE BOTTIGLIE DI VODKA, RESTAVA STESO FINO AL MATTINO, E POI GIOCAVA COME SE NIENTE FOSSE”…

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Fabrizio Roncone per il "Corriere della Sera" - Roma

PanattaPanatta

Adriano Panatta, c'è questa sua autobiografia uscita per Rizzoli, "Più dritti che rovesci", che è bellissima.
«L'ha letta?».

Sono arrivato al capitolo della Coppa Davis.
«La vincemmo nel 1976, in Cile, sotto gli occhi di Pinochet, dittatore fascista » .

Buona parte della sinistra italiana non avrebbe voluto farvi partire.
«Fu Enrico Berlinguer a sbloccare la situazione » .

Poi, il pomeriggio del doppio, lei e Bertolucci vi presentaste sul terreno di gioco con le magliette della Fila di colore rosso.
«Una provocazione. Quando la proposi a Paolo, negli spogliatoi, mi guardò allibito: 'Ahò, ma che sei matto?'. Io insistetti: 'A Pa', pensa le facce dei gerarchi...' » .

Augusto PinochetAugusto Pinochet

(Adriano Panatta ha 59 anni. Ogni volta che ci parli, pensi: è una leggenda. I titoli vinti nel 1976 - oltre alla Davis con l'Italia, anche gli internazionali qui a Roma e il Roland Garros a Parigi - spiegano qualcosa, non tutto. C'è altro.

Poteva essere il numero uno al mondo e invece arrivò ad essere solo il quarto perché oltre che a giocare, pensava, un po', anche a vivere. Ad un certo punto, per somigliargli, smettemmo tutti di giocare a pallone e prendemmo una racchetta. Solo che il suo polso era come quello di Giotto. Ora è un signore simpatico, cortese, perbene. Ha tre figli, e una moglie, sempre la stessa: Rosaria).

Prima di Rosaria?
«Mah. Giocavo sui campi di tutto il mondo. Da New York a Sidney... non so, non ricordo...».

Mita Medici.
«Sì... eravamo ragazzini, 23 anni: Francis Ford Coppola e Al Pacino volevano convincerci a convivere».

1983 walter veltroni enrico berlinguer1983 walter veltroni enrico berlinguer

Loredana Bertè.
«Metà Settanta, credo... mi presentava i suoi amici del Piper. Un giorno mi dice: 'Dobbiamo passare a prenderne uno, a piazza Venezia, sotto al balcone'. Quando arriviamo, da lontano vedo un tipo vestito da marziano: era Renato Zero » .

Lei, Panatta, era, ed è, di sinistra.
«Sì. E se c'è una cosa di cui vado fiero, è di aver reso il tennis, con le mie vittorie, uno sport di massa. Prima era una roba per pochi, il giro dei ricchi che giocavano nei circoli».

Lei è cresciuto al Parioli.
«Ero il figlio di Ascenzio, il custode » .

Ascenzietto.
«Mi chiamava così anche Nicola Pietrangeli. Finché un giorno, a Bologna, non vinsi gli Assoluti battendolo in finale. Avevo 20 anni, ero diventato un tennista » .

Come spese i soldi della vittoria?
«Tornai a Roma e comprai un'Alfa Gt bianca, usata. Un milione di lire tondo, tutto il premio».

MITA MEDICI - Copyright PizziMITA MEDICI - Copyright Pizzi

E dove ci andò?
«A Formia, in ritiro. Ad aspettarmi, sulla porta dell'albergo, c'era Mario Belardinelli, il mio maestro di tennis e di vita. Rassegnato, mi disse: 'Ti sei speso tutto, eh?».

Dei ragazzi che studiavano tennis a Formia, lei è rimasto molto amico con...
«Con Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli » .

Bjorn Borg.
«Ci sentiamo poco, ultimamente. Ma c'è grande affetto. Che tipo, Bjorn: capace di vuotare due bottiglie di vodka, restare steso fino al mattino, e poi giocare come se niente fosse».

Il più bravo tennista di sempre?
«Rod Laver».

E poi?
«Poi Federer, Borg, Sampras e Agassi » .

Una volta, al Foro, durante un match, segnò la Roma e...
«E io, che sono sempre stato romanista, ero al servizio. Alzo la pallina ma... boato dall'Olimpico. Allora, mi fermo e chiedo al pubblico: ahò, chi ha segnato? » .

Renato ZeroRenato Zero

Per lei, sempre un tifo pazzesco. Il coro era: Aaaaa/dri/a/no!
«Successe anche a Wimbledon, nel 1979. Sugli spalti del Centre Court, cominciano a cantare a centinaia. I giornali inglesi, il giorno dopo, sprezzanti scrivono: camerieri italiani che lavorano a Londra. Invece erano studenti romani, e tra loro pure Enrico Gasbarra, l'ex presidente della Provincia».

La sua ultima partita.
«Nel 1983... all'inizio dell'anno, mi ritrovai in mano una rivista specializzata, con la classifica Atp, che non guardavo mai: ma per leggere il mio cognome dovetti arrivare al numero 38. In quel momento pensai che fosse giunto il momento e... beh, sì, allora chiesi di giocare ancora una volta, l'ultima, in Davis, contro l'Argentina».

Al Foro.
«Sì, volevo congedarmi dal mio pubblico con una vittoria, magari su Vilas. Ma quando venne il giorno, non toccai palla. Non ne avevo più, la benzina era finita » .

Come fu l'ultimo sottopassaggio?
«Ero triste, stanco, svuotato. Poi mi venne incontro un bambino, un raccattapalle. Guardò il fascio delle racchette di legno che avevo sotto il braccio, e disse: 'Adrià, me ne regali una?'. Io ci pensai un istante, poi gli risposi: io non te ne regalo una, ma te le regalo tutte. Tieni. Tanto a me non servono più » .

Senta, Panatta: il suo tennis era una metafora di vita. Sempre all'attacco, osando, e mettendoci fantasia.
«Ho anche perso molto, giocando così. Ma mi sono sempre divertito. Sempre. E soprattutto, ora, non ho rimpianti » .

 

 

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