Gabriele Romagnoli per “la Repubblica”
LE librerie sono piene di capolavori incompiuti. Mai terminati. Non dagli autori: quelli sono arrivati a pagina 786 (o anche solo 203) e hanno messo la parola fine, soddisfatti. Sono i lettori ad essersi fermati prima, annoiati. Difficilmente lo ammetteranno: gli scaffali non parlano, sono custodi del bluff di migliaia di case. Anche se un conto è esibire senza aver letto, un altro è avere interrotto il rapporto perché non dava più piacere. Nell’era digitale il segreto della carta viene svelato dalla trasparenza dell’elettronica.
Kobo, il rivale di Kindle, ha fatto verifiche sullo “sfoglio” degli e book. Come prevedibile la soglia reale si ferma spesso molto prima della didascalia 100%. Tanto per fare un esempio, l’acclamato Il Cardellino di Donna Tartt, 800 pagine con una “cima Coppi” intorno alla trecentesima, ha portato al traguardo meno della metà di chi l’aveva affrontato.
I “Koboleaks” rivelano che la classifica dei libri più letti sarebbe molto diversa da quella dei più venduti e, come immaginabile, non premierebbe la qualità: in Italia, per dire, la categoria in cui più si va a fondo (74%) è quella dei romanzi rosa, non sempre scritti con il cuore.
Ma che cosa determina la scelta tra resistere e arrendersi quando il meccanismo s’inceppa e ci si scopre a pensare ad altro? Andiamo con ordine.
La prima discriminante è: hai pagato per quel libro? Se sì, sarai più motivato a consumare per intero il prodotto. È una banale legge economica. Pensi che il tuo investimento debba essere ripagato da una fruizione, anche se non entusiasmante. Il capitalismo si fonda sulla convertibilità del tempo in denaro (ore di lavoro, anni di carcere). Se leggi troppo poco, ammetti uno spreco di soldi. Non rendendoti conto che lo spreco di minuti ha identico valore. Quindi è più probabile che venga mollato un libro ricevuto in regalo, con conseguente declassamento del donatore alla serie B del gusto.
Partenza ad handicap e arrivo quasi impossibile per i libri omaggio delle case editrici, le centinaia di copie addebitate all’autore e spedite all’indirizzo di possibili recensori, influencers, professionisti del passaparola, che ammucchiano, leggono la bandella, tre pagine, riciclano.
Poi c’è lo scoglio, quello che argina il mare: le prime cinquanta pagine. Uno dei più noti e bravi editor italiani sostiene che lì si gioca la partita. Sospetto abbia riscritto di suo pugno molte cinquantine altrimenti sfumate di grigio. Se il testo non ti prende lì, non si va avanti.
Vero? Forse. Ma è anche vero che Preghiera per un amico di John Irving aveva le prime cinquanta pagine più disarmanti, divaganti e noiose avessi mai letto. L’avessi abbandonato nella culla, mi sarei perso un compagno di vita, un personaggio di quelli più reali di molte persone che ho incontrato.
Esiste poi il fattore “isola deserta”. Ti sei portato dieci libri in vista del naufragio, non è che puoi andare per il sottile. Valeva prima che inventassero l’ereader. Ora ti basta una connessione Wi-Fi per accedere ad altre migliaia di alternative. Valeva quando andai alle Olimpiadi di Pechino e scommisi sulla trilogia di Millennium : quindici giorni, tre tomi, chi m’ammazzava? Stieg Larsson, ecco chi. Parere personale, ma a pagina 200 di Uomini che odiano le donne ho preferito la televisione cinese, o il cielo inquinato. Tanto poi arriva il film per dirmi come va a finire.
Ecco uno dei motivi per andare avanti: sapere come andrà a finire. Gli autori lo sanno e si difendono. Come? Ci sono due strumenti: il cliffhanger e l’inizio “fine di mondo”. Il primo ha un campione insuperato in Dan Brown. Alla fine di ogni capitolo getta il gancio per continuare la scalata e ti sfida a non voler sapere di più. Come fai, quando «Il medico venne verso Jeff con l’esito del suo esame istologico in una mano e una scatola rossa nell’altra. Nella tasca di Jeff il cellulare vibrò». L’inizio “fine di mondo” è un attacco di romanzo in cui esplode la bomba atomica.
Insuperabile nel genere X-Ydi Sandro Veronesi: ventun cadaveri nella neve, ognuno vittima di una morte diversa, dalle pugnalate al morso di squalo. Vedi un po’ se non vuoi scoprire come è stato possibile.
Puoi sempre ricorrere allo spoiler amichevole, o a Wikipedia, ma di certi libri bisogna pur saper parlare nelle cene intelligenti e non bastano quattro righe di trama raccattate qua e là. Di qui la “lettura trasversale”, più disonesta dell’abbandono all’autogrill durante il viaggio di andata.
Li si vedono spesso, quelli che sfogliano come avessero un lettore ottico incorporato, in realtà pescando scene e frasi da citare al momento opportuno. Ci spaventa la lunghezza (per alcuni più in Shantaram che in Vita e destino ). Ma valeva nel regno della carta quando era equivalente al peso. Con un Kobo o un Kindle 800 pagine sono immateriali quanto 102 e svelano il “relativismo del mattone”: ci sono novelle più indigeste di una saga (quelle familiari hanno il vantaggio che puoi fermarti dopo un paio di generazioni e non sfogliare l’intero album dei Buendía).
Il timore più grande resta quello reverenziale. Mi ha perseguitato per metà della vita: se smetti di leggere manchi di rispetto all’autore, non lo ripaghi della sofferenza e dell’impegno, dell’essersi esposto per arrivare fino a te, mettendosi in gioco pur di consolarti, emozionarti, portarti fuori dalla tua vita.
Alzarsi a metà di un film e uscire è un gesto che suscita riprovazione pubblica, abbandonare un libro a metà è qualcosa che avviene in privato, eppure viene vissuto come più difficile, perché l’intimità creata dal libro è maggiore: ce l’hai tra le mani, tu avevi delle aspettative, lui si è aperto, avete cominciato una storia. È come lasciarsi, c’è chi non ne è capace. Piuttosto si fa del male. Nella seconda parte della vita sono riuscito a evitarlo. Ho imparato a dire basta. Che cosa era successo? Ho cominciato a pubblicare.
Ho scoperto che quegli autori per cui sentivo necessario il rispetto erano, più o meno, come me. Mi son fatto una risata e abbandonato non dico che cosa, perché gli scrittori contemporanei prima o poi li incroci e quasi mai sono autoironici. Ho pensato a quando scopri che il tuo compagno di liceo che tirava le molliche e copiava dai foglietti nel vocabolario è diventato cardiochirurgo e di riflesso ti senti una fitta al cuore. Poi ho anche pensato: abbandonatemi pure. Magari non fatemelo sapere. Autoironia sì, ma con misura. E comunque, Donna Tartt l’ho lasciata a pagina 301.