CONDANNATA IN CASSAZIONE A 6 ANNI E 8 MESI DI CARCERE LA MAMMA DI VERONA, ACCUSATA DI AVER CULLATO TROPPO VIOLENTEMENTE IL FIGLIO DI 11 MESI, CAUSANDOGLI DANNI TALMENTE GRAVI DA CAUSARNE LA MORTE DOPO 11 MESI DI AGONIA – IN UN PRIMO MOMENTO ENTRAMBI I GENITORI SONO FINITI NEL MIRINO DEGLI INQUIRENTI, MA POI IL PAPÀ È STATO ASSOLTO CON FORMULA PIENA. SORTE DIVERSA PER LA MAMMA...

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Laura Tedesco per www.corriere.it

 

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Era già stata condannata dalla sorte più atroce a vivere nel dolore per la perdita del figlioletto Nicola a soli 11 mesi, ora la mamma è stata condannata in via definitiva anche dalla Giustizia che fa ricadere su di lei ogni responsabilità per la prematura scomparsa del piccolo. Lo avrebbe cullato «troppo violentemente», forse in preda alla stanchezza lo avrebbe «scosso con eccessiva energia», provocandogli danni e traumi talmente gravi da causarne la morte dopo 11 mesi di agonia su un lettino della Terapia Intensiva neonatale.

 

La sentenza della Cassazione

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Ieri, 6 dicembre, da Roma non è arrivato alcun colpo di scena e dunque non verrà riaperto in extremis il drammatico caso del bimbo «morto per scuotimento» a soli 11 mesi. La Cassazione ha infatti respinto nelle scorse ore l’ultimo possibile ricorso da parte della difesa, rendendo così definitiva e non più impugnabile la pesante condanna inflitta alla mamma del piccolo: 6 anni e 8 mesi per l’omicidio preterintenzionale della creatura che aveva da poco messo al mondo, una pena che la donna rischia di dover scontare, perlomeno in una fase iniziale, in una cella del carcere. Sarebbe un’altra mazzata per una madre già troppo duramente provata da un destino impietoso.

 

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Fino all’ultimo l’avvocato Massimo Ruffo ha tentato di far riaprire il processo chiedendo ai giudici «l’affidamento di una perizia che accerti il nesso causale tra le lesioni riportate dal piccolo e il decesso», ma dai magistrati è stato acceso il semaforo rosso raggelando così le residue speranze della difesa, della mamma e di un’intera famiglia. Per la magistratura è quindi definitivamente chiusa la tragica vicenda di cui è stato teatro poco più di 5 anni fa un comune scaligero che dista una quindicina di chilometri dal capoluogo.

 

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«Venite presto, non respira più»

Un caso che fece inizialmente finire sul registro degli indagati i nomi di entrambi i genitori del piccolo Nicola, una coppia di veronesi quarantenni (di cui omettiamo dettagli identificativi per tutelare gli altri minori coinvolti, ndr). Cominciò tutto il 26 settembre 2017, giorno in cui la madre e il padre del bimbo fecero intervenire d’urgenza un’ambulanza a casa per soccorrere il bebè che, all’epoca, aveva solo un mese. «Venite, presto, non respira più», aveva urlato sconvolta la mamma al telefono.

 

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Per la coppia ma soprattutto per Nicola, cominciò un incubo che si sarebbe protratto per dieci interminabili mesi: circondato dalle disperate cure dei medici, è rimasto attaccato 24 ore su 24 alle macchine, assistito giorno e notte dalla mamma e dal papà, nel reparto di Rianimazione all’ospedale di Borgo Trento. Una duplice tragedia per i genitori, da subito indagati per lesioni gravissime: il 21 luglio 2018, alla morte di Nicola, il pm ha poi sollecitato per entrambi il processo per omicidio preterintenzionale.

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Il papà assolto

Hanno sempre negato di aver «mai voluto fare del male» al figlioletto: in aula il papà venne assolto con formula piena per «non aver commesso il fatto», mentre tutte le responsabilità si concentrarono sulla mamma: di lei, i giudici di primo e secondo grado hanno sostenuto che si tratta di «una brava madre» e che con ogni probabilità la tragedia sarebbe stata«colpa della stanchezza».

 

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Ciò nonostante è stata condannata a 7 anni in primo grado a Verona, ridotti a 6 anni e 8 mesi in appello a Venezia. Da ieri, 6 dicembre, il responso dei tribunali non è più impugnabile e ora rischia persino il carcere: la condanna finale, il dramma nel dramma.

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