ISCHIA NEL PANTANO BUROCRATICO – GLI ABITANTI DELL'ISOLA DEVASTATA DALLA FRANA TEMONO DI ESSERE ABBANDONATI A LORO STESSI, COME DOPO IL TERREMOTO DEL 2017 – IL CASO PIU’ ECLATANTE È QUELLO DELL'HOTEL GRAZIA, UNO DEI PIÙ GRANDI DI ISCHIA, CHE DA OLTRE CINQUE ANNI È IN ATTESA DELLA LICENZA PER LA RICOSTRUZIONE E DEI FONDI MAI ARRIVATI. LE PRATICHE SONO FERME TRA IL COMUNE E LA SOVRINTENDENZA…

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Niccolò Zancan per “La Stampa”

 

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Via Lava. Via Cava. Piazza Fango. Come dice la diciassettenne Francesca Darco, studentessa di Lingue al Liceo Statale di Ischia, certe volte il destino è scritto nel nome delle cose. «Non è colpa della natura, sapevamo tutti che poteva succedere proprio qui. Lo sapevamo perché era già successo». Lo dice. E poi ricomincia a spalare. Qui è dove c'era anche un grande albergo di lusso, uno dei più grandi dell'isola, l'hotel Grazia. Ottanta camere, dieci piscine, il parco termale che si estendeva su tre ettari di isola. C'era. E ancora c'è. Ma come un fantasma.

 

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Tutti ricordano la notte del 21 agosto 2017, quella del terremoto. Una scossa di magnitudo 4.0: due morti e 2.700 sfollati. Era sempre questa zona, ancora qui l'epicentro del disastro. La parte della collina che scende dal monte Epomeo e finisce al mare, nei territori confinanti fra i comuni di Casamicciola e Lacco Ameno. Quell'albergo è rimasto chiuso da allora. Ormai è diventato sconosciuto anche a Google Maps. Sta lì, ma non esiste. Non ospita più nessuno. È spento. Prima squassato dal terremoto, ora lambito dalla colata di fango.

 

«Non so che nome dare a quello che è successo in tutto questo tempo, se non il grande nulla», dice il direttore dell'albergo Antonio Longobardi. Figlio di una famiglia di costruttori, 62 anni, aveva ereditato l'hotel e lo dirigeva. «Dopo il terremoto la costruzione è stata dichiarata inagibile. Non ha gravi danni strutturali, non sono caduti pilastri o solai. Ma certo l'albergo deve essere riparato, ristrutturato e messo in sicurezza».

 

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Lo dice adesso. Come se fosse successo adesso. Ma sono passati cinque anni e tre mesi da quella scossa di terremoto. E quindi la storia dell'Hotel Grazia racconta bene come vanno a finire le cose quando finisce l'emergenza e si infrange l'onda dell'emotività. Ecco, così vanno a finire. «Nulla. Non è successo nulla. Non abbiamo mai ricevuto un ristoro per la mancata attività, per la perdita di fatturato, per il magazzino. La pratica è ferma al Comune e alla Sovrintendenza. Siamo in attesa. Non abbiamo ancora ottenuto la licenza per la ricostruzione, quindi la possibilità di accedere a dei fondi e impiegarli per mettere l'albergo in sicurezza. È tutto bloccato, al palo. Impantanato nella burocrazia. E adesso, su quella stessa zona, si è abbattuta un'altra calamità. Un altro pantano».

 

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L'isola è divisa in due. La strada che collega Casamicciola a Lacco Ameno è aperta solo ai mezzi di soccorso. La colata di fango taglia le comunicazioni fra vicini di casa. Al posto di percorrere un tratto di auto di 5 minuti, bisogna fare tutto il giro dell'isola, guidare per un'ora, per sbucare dall'altra parte. È la zona del terremoto. È quella della frana e del fango. È quella degli allarmi disattesi. E del pantano burocratico.

 

«Abbiamo chiesto tante volte di poter ripartire, ma inutilmente», dice Antonio Longobardi. «Ischia è passata dall'essere l'isola più bella del mondo a quella più disgraziata. Adesso è l'isola degli abusi edilizi. Ma è assurdo quello che sta succedendo. Tutte queste critiche dei media. È sempre sbagliato generalizzare. In Italia non c'è mai equilibrio. E non c'è mai un piano vero per far fronte alle situazioni. Solo emotività, annunci, emergenze e commissari straordinari. Perché l'ordinario è quel nulla che abbiamo constato, la totale mancanza di risposte».

 

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Antonio Longobardi è appena arrivato a fare un sopralluogo nella zona del fango. «L'hotel Grazia è stato costruito con tutte le licenze necessarie, non ci sono abusi. Ma le pratiche sono ferme. E io per andare avanti ho dovuto dare quel nome a un'altura struttura e ricominciare altrove. O ci rimbocchiamo tutti le maniche e facciamo una vera e grande opera di messa in sicurezza dell'isola, oppure resteremo sempre schiacciati dagli accadimenti».

 

Sono trenta le case distrutte dalla colata di fango. Trenta case, otto morti, quattro dispersi. La scena è questa. Avvicinarsi al punto esatto dove continuano gli scavi per la ricerca dei superstiti è impossibile. Ma da ogni prospettiva, dove si possano vedere auto ribaltate e spalatori, fango e cataste di mobili, stanno le telecamere a riprendere in diretta l'ennesima tragedia dell'isola di Ischia.

 

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A un microfono si presenta Luca D'Ambra, presidente di Federalberghi: «Sono cinquecento i posti letti occupati da soccorritori e sfollati. Sono 290 i residenti di Ischia che hanno dovuto abbandonare le case. Ma ci dicono che la zona considerata a rischio idrogeologico potrebbe presto essere estesa. Quindi ci stiamo preparando. Dobbiamo essere pronti a qualsiasi evenienza».

 

La colata di fango è venuta giù nei giorni meno affollati dell'anno. Novembre è forse l'unico mese di bassa stagione. Molti alberghi sono chiusi e i pochi turisti, quasi sempre tedeschi, si aggirano per la strade disastrate con aria incredula. Anche Luca D'Ambra ricorda bene i giorni del terremoto e aggiunge un dato: «Allora gli sfollati furono 2.700. Qualcuno è rimasto in albergo per più di tre anni». Così passa il tempo quando non è più straordinario. E tutto diventa ordinaria burocrazia, pantano e lentezza. L'isola di Ischia sa già adesso che presto verrà lasciata sola con i suoi problemi e con le sue contraddizioni.

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