coronavirus terapia intensiva

“MI SENTO MIRACOLATO DUE VOLTE” – LA STORIA DEL 64ENNE DI TORINO GUARITO DAL COVID E POI NUOVAMENTE FINITO IN TERAPIA INTENSIVA DOPO ESSERE STATO “RICONTAGIATO”: DOPO 15 GIORNI DI RICOVERO ERA TORNATO A CASA, MA NEPPURE UNA SETTIMANA DOPO È STATO RIPORTATO IN OSPEDALE – LA FAMIGLIA: “NON SAPPIAMO COME SIA POTUTO SUCCEDERE…”

Lidia Catalano per "La Stampa"

 

nazareno fratea

Le immagini nella mente di Nazareno Fratea sono offuscate, confuse. «L'unico ricordo nitido risale al secondo ricovero in terapia intensiva, impossibile dimenticare quella sensazione». Lo sguardo smarrito che cerca punti di riferimento e li ritrova negli arredi, nei dettagli, nelle luci sul soffitto.

 

«Ho riconosciuto perfino i disegni appesi alle pareti e ho avuto la certezza che in quel posto io c'ero già stato. Perché ero finito di nuovo lì dentro?». Per due volte il coronavirus ha provato a strappargli il respiro e per due volte ha lottato per riprenderselo. Il primo ricovero all'ospedale Maria Vittoria di Torino risale al 3 aprile. «Qualche giorno prima avevo iniziato ad avere febbre alta e tosse». L'esito del tampone è scontato: positivo al Covid-19. La situazione precipita in fretta. «Avevo un polmone compromesso, era necessario intubarmi».

 

terapia intensiva coronavirus

Un'altra immagine prima del buio: «I medici mi hanno detto: "Non perdere la fiducia, sei forte, ce la farai"». Nazareno Fratea, 64 anni, è rimasto attaccato alle macchine per 15 giorni prima di riaprire gli occhi. «Quando ho iniziato a riprendermi sono stato trasferito per la degenza in un altro ospedale, l'Amedeo di Savoia». Poi finalmente il doppio tampone negativo e le dimissioni.

terapia intensiva coronavirus 1

 

«Ero certo di essermi lasciato quell'incubo alle spalle. Dovevo continuare le terapie ma potevo tornare dalla mia famiglia e ricominciare a vivere». Ad aspettarlo a casa, trincerate in quarantena nell'appartamento vicino allo Juventus Stadium c'erano la moglie Giovanna e le figlie Erica e Greta, di 28 e 30 anni. «Nessuna di noi, nonostante la convivenza con papà già ammalato, ha mai sviluppato sintomi. Eravamo felicissime di poterlo riabbracciare», racconta la primogenita.

 

reparto di terapia intensiva brescia 13

Quella gioia però si esaurisce in fretta. Neppure una settimana dopo l'ex responsabile del reparto ittico di una gastronomia ricomincia ad avere difficoltà respiratorie. «Sembravano crisi asmatiche, così abbiamo chiamato di nuovo il 118», racconta Greta. La diagnosi dei sanitari è immediata: «Questo è respiro da Covid». Si ripete la scena di un mese prima, con la corsa in ambulanza al Maria Vittoria. «Papà è arrivato in ospedale in crisi respiratoria, ci hanno detto che era grave».

terapia intensiva coronavirus 2

 

Nazareno Fratea torna a lottare nella stanza di cui ricorda ogni dettaglio, ma questa volta il ricovero è più breve. «Dopo quattro giorni ho iniziato a stare meglio e mi hanno di nuovo trasferito all'Amedeo di Savoia». Nel selfie con gli infermieri che lo immortala il giorno delle dimissioni, Nazareno sorride con il pollice su in segno di vittoria. Da quasi due mesi ha ripreso la sua vita, le passeggiate ai giardini sotto casa.

 

reparto di terapia intensiva brescia 11

«Non sappiamo come sia potuto succedere. I suoi problemi di diabete e cardiopatia di certo non hanno aiutato ma ha sempre osservato le regole. A marzo usciva solo per fare la spesa, all'epoca però non c'era ancora l'obbligo di mascherina e nessuno la portava», riflette Greta.

 

«Casi come questo sono rari», conferma il professor Giovanni Di Perri, responsabile delle Malattie infettive dell'Amedeo di Savoia. «Abbiamo visto pochissime recidive con sintomi, mentre sono molto più diffuse quelle asintomatiche, che riguardano almeno il 20 per cento dei pazienti».

reparto di terapia intensiva brescia 10

 

 Altro che patente di immunità. «Tutti noi abbiamo sperimentato che i virus di raffreddore e influenza rendono immuni per qualche settimana al massimo. È plausibile che il Covid-19 si comporti allo stesso modo». Anche Nazareno Fratea è convinto che «sarà dura togliercelo dai piedi» e pensa a godersi ogni istante con la sua famiglia. Solo quando è tornato a casa ha saputo che loro non lo hanno mai perso di vista.

 

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«Non potevamo andare a trovarlo ma ogni giorno grazie agli infermieri lo vedevamo in videochiamata: la nostra voce gli arrivava attraverso un tablet e lo esortava a non mollare», racconta Greta. Ma confida: «Noi però vivevamo nell'ansia che da un momento all'altro arrivasse la telefonata che spezza ogni speranza». Nazareno ora si sente «due volte miracolato». Quella chiamata a casa sua non è mai arrivata.

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