COME TI MANIPOLO LE NOTIZIE – LE RIVELAZIONI BOMBA DEL GIORNALISTA MATT TAIBBI, INCARICATO DA ELON MUSK DI APRIRE I “TWITTER FILES”: IL SOCIAL NETWORK CENSURÒ LO SCOOP DEL “NEW YORK POST” SUL LAPTOP DI HUNTER BIDEN INVENTANDOSI UN FINTO HACKER! IL TUTTO, SU RICHIESTA DEL PARTITO DEMOCRATICO E A POCHI GIORNI DALLE ELEZIONI PRESIDENZIALI AMERICANE, VINTE DAL PADRE DI HUNTER, JOE…

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Stefano Graziosi per “La Verità”

 

matt taibbi matt taibbi

Ricordate quando Twitter censurò lo scoop del New York Post, che provava come Joe Biden fosse a conoscenza dei controversi affari di suo figlio all'estero? Era l'ottobre 2020 e, a pochi giorni dalle elezioni presidenziali americane, quell'articolo avrebbe potuto seriamente danneggiare l'allora candidato dem. Eppure, il social di San Francisco decise di bloccare la possibilità di condividerlo.

 

Una scelta controversa, su cui ha finalmente gettato luce il giornalista Matt Taibbi. In un thread su Twitter, costui ha infatti chiarito alcuni aspetti della vicenda, basandosi su documentazione interna recentemente resa pubblica. Taibbi ha iniziato col sottolineare come la piattaforma ricevesse spesso richieste dal mondo politico per bloccare tweet considerati sgraditi: da quanto sostiene, tali richieste sarebbero pervenute sia dall'amministrazione Trump sia dal comitato elettorale di Joe Biden.

HUNTER BIDEN CON UNA PIPA DI CRACK HUNTER BIDEN CON UNA PIPA DI CRACK

 

Il punto è che, prosegue Taibbi, «questo sistema non era bilanciato. Era basato sui contatti. Poiché Twitter era ed è composto in modo schiacciante da persone con un dato orientamento politico, c'erano più canali, più modi per lamentarsi, aperti a sinistra (cioè ai democratici) che a destra». E qui veniamo al primo nodo.

 

La piattaforma poteva infatti vantare legami assai più solidi con il Partito democratico che con il Partito repubblicano. E attenzione: non si trattava solo di simpatia a livello ideologico. Come emerge dal sito Open Secrets, nei cicli elettorali del 2018 e del 2020 i dipendenti di Twitter versarono cospicui finanziamenti all'asinello, riservando invece briciole all'elefantino. In tutto questo, il Washington Examiner ha riferito che la maggior parte dei tweet, segnalati dalla campagna di Biden o dal Comitato nazionale del Partito democratico, non sono più disponibili.

 

MEME SU ELON MUSK E TWITTER MEME SU ELON MUSK E TWITTER

Sia chiaro: i finanziamenti elettorali in sé stessi erano legali. Il punto è politico. Secondo Taibbi, Twitter si arrogò il diritto di censurare lo scoop del New York Post, facendo ricorso a strumenti fino ad allora utilizzati soltanto per casi oggettivamente gravissimi.

 

«Twitter ha adottato misure straordinarie per sopprimere l'articolo, rimuovendo collegamenti e pubblicando avvisi che avrebbe potuto essere "non sicuro". Ne hanno addirittura bloccato la trasmissione tramite messaggio diretto: uno strumento finora riservato a casi estremi, per esempio la pedopornografia», ha scritto il giornalista.

 

HUNTER BIDEN HUNTER BIDEN

Fu addirittura bloccato l'account dell'allora portavoce della Casa Bianca, Kayleigh McEnany, colpevole di aver postato lo scoop. Ora, la gravità non sta solo nel fatto che sul social cinguettavano allegramente figure a dir poco controverse, come Ali Khamenei e Nicolas Maduro. Ma che si trattasse di una circostanza potenzialmente lesiva del Primo emendamento fu sottolineato ai vertici di Twitter anche da Ro Khanna: deputato dem che, per la cronaca, risulta notevolmente spostato a sinistra e che non è quindi tacciabile di simpatie trumpiste.

 

Ma gli aspetti inquietanti non si fermano qui. Una delle ragioni addotte per la censura fu che i materiali contenuti nello scoop fossero stati hackerati. Peccato che non ci fosse alcuna prova ufficiale della cosa. Non a caso, la questione suscitò dibattito anche tra le alte sfere di Twitter.

 

In particolare, la decisione ultima di censurare fu presa dalla responsabile dell'ufficio legale dell'azienda, Vijaya Gadde (che è stata, anche per questo, licenziata dal nuovo Ceo, Elon Musk). Al contrario, Jack Dorsey non sarebbe stato coinvolto nell'affossamento dell'articolo né lo sarebbero stati apparati governativi. Non solo.

 

i twitter files di matt taibbi sul caso hunter biden 2 i twitter files di matt taibbi sul caso hunter biden 2

Secondo Taibbi un ex dipendente di Twitter avrebbe riferito che «l'hacking era la scusa, ma nel giro di poche ore praticamente tutti si sono resi conto che non avrebbe retto. Tuttavia, nessuno ha avuto il coraggio di invertire  la rotta». Che la base legale fosse fragile era quindi chiaro a tutti i dirigenti: d'altronde, in uno scambio di messaggi, il Deputy general counsel della società, Jim Baker, ammise che servivano «più fatti» per capire se il materiale provenisse da un hacking, ma aggiunse anche che, nel mentre, la «cautela era giustificata».

 

Della serie: prove non ce ne sono, ma intanto blocchiamo tutto. Ricordiamo sempre che mancava meno di un mese alle elezioni presidenziali di allora e che Baker era stato assunto in Twitter a giugno 2020, dopo aver prestato servizio nell'Fbi e aver partecipato all'inchiesta federale sulla presunta collusione tra Donald Trump e la Russia. Non sentite anche voi puzza di cortocircuito?

 

le feste di hunter biden 9 le feste di hunter biden 9

In tal senso, il deputato repubblicano, James Comer, ha annunciato che a gennaio chiamerà in audizione alla Camera i responsabili della censura. Lo scoop del New York Post conteneva un'email di aprile 2015 rinvenuta nel laptop di Hunter Biden: un'email in cui un alto funzionario della controversa azienda ucraina Burisma ringraziava lo stesso Hunter per avergli presentato suo padre, che all'epoca era vicepresidente degli Stati Uniti.

 

Pochi mesi dopo quella email, l'allora numero due della Casa Bianca fece pressioni sul presidente ucraino, Petro Poroshenko, per silurare il procuratore generale Viktor Shokin: una figura chiacchierata ma che aveva indagato proprio su Burisma. Ora, non sapremo mai se, senza questo atto di censura, l'esito delle ultime presidenziali americane sarebbe stato differente. Tuttavia, la gravità di quanto accaduto dovrebbe far riflettere sulla pericolosità insita in alcuni tanto decantati «meccanismi di moderazione» vigenti nei social. Ci sarebbe infine piaciuto che la Commissione europea, oggi tanto severa e occhiuta verso il Twitter di Musk, avesse detto qualcosa anche nel 2020. E comunque nuovi documenti potrebbero essere presto resi pubblici.

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