FRANCESCHINI HA LASCIATO IN EREDITÀ A SANGIULIANO UN PASTICCIO DA FILM – PER LA CORTE DEI CONTI C’È QUALCOSA CHE NON VA NEL PROGETTO PER POTENZIARE GLI STUDIOS DI CINECITTÀ, FORTEMENTE VOLUTO DALL'EX MINISTRO DELLA CULTURA. SECONDO I GIUDICI “NON RISPONDE AGLI OBBLIGHI SULLA TRACCIABILITÀ DELLE OPERAZIONI” – ORA IL MIBAC DOVRA’ RIFERIRE DAVANTI ALLA CORTE. A RISCHIO 300 MILIONI DI EURO DI FONDI DEL PNRR GIÀ STANZIATI…

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Fabio Amendolara per “La Verità”

dario franceschini dario franceschini

 

L'ultimo pasticcio di Dario Franceschini al timone del ministero della Cultura mette a rischio i fondi del Pnrr e consegna al suo successore, Gennaro Sangiuliano, che è stato invitato dai giudici della sezione di controllo della Corte dei conti a riferire entro 30 giorni, una brutta gatta da pelare.

 

La bomba è deflagrata il 30 dicembre alle 7.51 del mattino, quando dalla sezione centrale della Corte dei conti hanno trasmesso al ministero della Cultura, alla cabina di regia del Pnrr (in capo alla presidenza del Consiglio dei ministri), al ministero per gli Affari europei, alla Ragioneria generale dello Stato e alle commissioni Cultura di Camera e Senato, la pesantissima analisi sulla misura 3.2, quella denominata Progetto Cinecittà. Risorse stanziate: 300 milioni di euro da impiegare su tre linee d'intervento propagandatissime da Franceschini quando era ancora in sella.

 

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I fondi, stando alle previsioni ministeriali, servirebbero per il potenziamento degli studi cinematografici di Cinecittà, per il potenziamento delle attività di produzione e formazione del Centro sperimentale di cinematografia, per lo sviluppo di infrastrutture («virtual production live set») a uso professionale e didattico, per la digitalizzazione e la modernizzazione del parco immobiliare e impiantistico e per il rafforzamento delle competenze professionali nel settore audiovisivo legate soprattutto a favorire la transizione tecnologica.

 

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Azioni che avrebbero dovuto lanciare Cinecittà nel futuro internazionale dell'industria cinematografica. Ma che, a quanto pare, sono state preparate con leggerezza e approssimazione. E fanno emergere «a carico delle strutture ministeriali un esercizio assai limitato del ruolo alle stesse rimesso ai fini dell'attuazione del Pnrr».

 

I giudici contabili hanno quindi ricostruito l'intricato e sciatto meccanismo messo su dai Franceschini boys al ministero. La questione ruota tutta attorno al soggetto attuatore dei progetti, che il segretario generale del ministero aveva indicato nella Direzione generale per il cinema e l'audiovisivo. Di colpo, però, è passato tutto alla Cinecittà spa, società di proprietà del ministero dell'Economia e i cui diritti di socio sono esercitati dal ministero della Cultura.

 

dario franceschini foto di bacco dario franceschini foto di bacco

Cinecittà spa in un primo momento era stata indicata nel progetto solo nella qualità di «organismo intermedio»: ovvero avrebbe dovuto solo partecipare all'attuazione. E quando il magistrato istruttore ha chiesto di conoscere lo stato di avanzamento dei progetti, dal ministero hanno risposto «fornendo documentazione nella quale hanno trovato esposizione gli interventi deliberati da Cinecittà spa anche nella sua precedente veste societaria e costituiti da affidamenti per lavori e servizi in generale finalizzati alla riqualificazione e al rilancio del sito di Cinecittà».

 

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E sono cominciate le scudisciate: «Allo stato degli atti, il Collegio non condivide la prospettazione fornita dal ministero circa la qualificazione di Cinecittà quale soggetto attuatore sulla base della mera inclusione di tale ente tra gli "organismi intermedi" a vario titolo partecipi», scrivono i giudici. Secondo i quali Franceschini non avrebbe ben recepito le direttive di Mario Draghi: «A tale qualificazione si oppone la diversa previsione del decreto sulla governance del Pnrr». E lo stesso segretario generale del ministero della Cultura aveva «indicato puntualmente», sottolineano i giudici, «la Direzione generale cinema quale unica struttura attuatrice, ascrivendole precisi compiti e conseguenti responsabilità».

 

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Dall'istruttoria sarebbe emersa invece «la mancata adozione da parte delle strutture ministeriali degli atti che avrebbero dovuto produrre». Ma anche che il ministero allora guidato da Franceschini avrebbe cercato di spacciare i progetti già in corso a Cinecittà per quelli del Pnrr. «I progetti in essere», spiegano le toghe, «dovrebbero includere solo quelli avviati nel periodo compreso tra l'1 febbraio 2020 e la data di adozione del Pnrr». I giudici quindi erano certi di trovare quella che definiscono «l'imprescindibile elaborazione, da parte del ministero titolare, di una pianificazione e programmazione ex ante, corredata da quadri economici finanziari di dettaglio, degli interventi destinati a costituire il contenuto di ciascuna delle linee di azione».

 

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E invece si sono ritrovati documentazione che non permetterebbe la possibilità di distinguere tra i vecchi e i nuovi progetti per gli studios. Il che avrebbe «reso impossibile [...] monitoraggio, rendicontazione e controllo delle spese» nonché «la relativa separazione rispetto alle spese correnti». «L'assenza di un quadro economico-finanziario per i singoli interventi», inoltre, secondo i giudici, «rileva negativamente anche sotto il profilo contabile».

 

E ancora: «Tale operazione non appare rispondente ai principi di separazione contabile e agli obblighi di assicurare la completa tracciabilità delle operazioni e la tenuta di una apposita codificazione contabile per l'utilizzo delle risorse del Pnrr, secondo le indicazioni fornite dal ministero dell'Economia e delle finanze».

 

DARIO FRANCESCHINI SERVE AI TAVOLI ALLA FESTA DELL UNITA DARIO FRANCESCHINI SERVE AI TAVOLI ALLA FESTA DELL UNITA

E in uno dei capoversi i giudici descrivono i rischi: «Un controllo effettuato solo in via successiva, quale quello che le strutture ministeriali si accingono ora a svolgere, ben potrebbe comportare non solo un'inammissibilità delle spese a valere sulle risorse del Pnrr ma anche un accertamento di irregolarità [...] con conseguente inutilizzabilità delle stesse e pregiudizio delle successive fasi di realizzazione». E l'invito a riferire inviato al nuovo ministro si è rivelato una sentenza definitiva sulla qualità della guida di Franceschini al ministero della Cultura.

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