IN IRAN LA REPRESSIONE CONTINUA, A TUTTA FORCA! – UN RAGAZZO DI 23 ANNI, MOHSEN SHEKARI, È IL PRIMO GIUSTIZIATO DAL REGIME PER AVER PARTECIPATO ALLE PROTESTE PER ROVESCIARE IL REGIME DI ALI KHAMENEI – MA ATTENZIONE: PER IL GOVERNO IRANIANO LA PRIMA ESECUZIONE È UNA SCOMMESSA, INASPRENDO ANCORA DI PIÙ LO SCONTRO I RIVOLTOSI POTREBBERO ESSERE ANCORA PIÙ INCAZZATI E RADICALIZZARE, ANCORA DI PIÙ, LO SCONTRO – LE RIVELAZIONI DEI MEDICI IRANIANI: LA POLIZIA SPARA AI GENITALI DELLE DONNE…

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1 - GLI AYATOLLAH NON ARRETRANO PRIMO MANIFESTANTE IMPICCATO "L'OCCIDENTE STA COI TERRORISTI"

Fabiana Magrì per “la Stampa”

 

mohsen shekari mohsen shekari

Con le mani si copre il volto mentre esplode in un grido straziante e urla il nome del figlio Mohsen. La donna aspettava sue notizie fuori dal carcere dove il ragazzo era detenuto dal 25 settembre, arrestato durante la prima fase delle proteste innescate dall'uccisione di Mahsa Amini. La madre e gli altri familiari di Mohsen Shekari, 23 anni, avevano presentato appello contro la sentenza con cui la magistratura iraniana l'aveva condannato a morte, ma all'alba di ieri hanno ricevuto il messaggio più doloroso: il ragazzo, ritenuto colpevole di "moharebeh", inimicizia contro Dio, per «aver bloccato una strada, aver estratto un'arma con l'intenzione di uccidere e avere ferito intenzionalmente un ufficiale durante il servizio» è stato impiccato.

 

Alla diffusione della notizia da parte dei media statali iraniani, molte cancellerie occidentali hanno espresso aspre critiche e sconcerto. Nessuna reazione ufficiale ha invece suscitato la smentita della condanna a morte di Fahrimeh Karimi da parte dell'agenzia di stampa semi-ufficiale iraniana Mehr. L'Ufficio per le pubbliche relazioni del tribunale di Pakdasht avrebbe precisato che «il caso è oggetto di indagine, e finora nessuna sentenza è stata emessa».

 

Quella di Shekari è stata la prima esecuzione di un manifestante di cui si è avuta conferma dalla magistratura iraniana, che ha deliberato la pena capitale per cinque individui.

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Il direttore della Ong con sede a Oslo Iran Human Rights, Mahmood Amiry-Moghaddam, sollecita «rapide conseguenze pratiche a livello internazionale» per arginare «il rischio di avere esecuzioni di manifestanti ogni giorno». Amnesty International accusa i tribunali iraniani di svolgere «processi gravemente iniqui».

 

La stessa confessione di Shekari, con cui la magistratura ha sostanziato la sentenza, è ritenuta dagli attivisti «forzata» in seguito a torture. Barbarie e atrocità che si sommano a quelle denunciate al Guardian da medici iraniani di varie città del Paese, perpetrate dalle forze di sicurezza iraniane che, durante le manifestazioni contro il regime, sparano alle donne da distanza ravvicinata, colpendole al volto, agli occhi, al petto e ai genitali. Aspre le critiche dall'Europa e dagli Stati Uniti.

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«L'Ue è contraria alla pena di morte in ogni circostanza», ha twittato il ministro degli esteri europeo Josep Borrell. Dure condanne sono arrivate da Francia, Germania e Gran Bretagna. Dagli Usa, il portavoce del dipartimento di stato Ned Price definisce l'esecuzione di Shekari «una escalation sinistra del regime». Ma il governo iraniano difende la sua linea durissima, e dal profilo Twitter ufficiale del ministero degli Esteri definisce i propri «metodi antisommossa proporzionati e standard».

 

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Ma la reazione non si ferma qui. In una serie di tweet collegati il ministero accusa l'Occidente di «ipocrisia» e di «ospitare, sostenere e incoraggiare i terroristi» e collega alle accuse i profili della vice presidente del Parlamento europeo Pina Picierno, della ministra degli Esteri tedesca Annalena Baerbock, e gli account dei ministeri degli Esteri di Francia e Austria. Il regime non sembra quindi arretrare, nonostante le voci di una possibile trattativa con il Venezuela per l'accoglienza dei vertici in caso di «cambio di regime».

 

Ma la prima esecuzione di un manifestante è «una grande scommessa» secondo Parham Ghobadi, giornalista di Bbc Persian. Se da un lato potrebbe dissuadere altri dallo scendere in piazza, tuttavia - osserva il reporter - «potrebbe rivelarsi un'arma a doppio taglio per il regime iraniano, che cerca di incutere paura ma provoca rabbia». Intervistato dal quotidiano riformista Etemad, il professore di sociologia Taghi Azadarmaki ha dichiarato: «Se il sistema punisce i manifestanti, il comportamento delle persone diventerà radicale e la loro pazienza finirà. La notizia di emettere condanne a morte e carceri a lungo termine è pericolosa. Se questa tendenza continua, le persone tenderanno a cambiamenti fondamentalisti».

 

2 - ORRORE A TEHERAN: IMPICCATO UN RIBELLE LA POLIZIA SPARA SUI GENITALI DELLE DONNE

Estratto dell’articolo di Anna Lombardi per “la Repubblica”

 

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Lo hanno impiccato ieri all'alba dopo averlo giudicato colpevole di moharebeh, "inimicizia verso Dio": un delitto previsto dalla sharia iraniana che punisce chi "offende l'Islam" o, più semplicemente, lo Stato islamico. Il primo dei circa 28 rivoltosi condannati alla pena capitale dal tribunale degli ayatollah ad essere effettivamente giustiziato per aver partecipato alle proteste seguite alla tragica fine di Mahsa Amini - la 22enne picchiata a morte dalla polizia morale iraniana perché non indossava "correttamente" il velo - si chiamava Mohsen Shekari, aveva 23 anni, lavorava in una caffetteria e amava i videogiochi.

 

Ce ne restituisce il volto e un brandello di storia un amico, il "digital creator" Bob Aghebati, con un drammatico messaggio postato su Instagram, uno di quei social proibiti nel Paese che i giovani iraniani continuano ad utilizzare, aggirando le censure agganciandosi ai vpn. «Sono stato suo compagno di cella per 20 giorni nell'infame carcere di Evin», scrive.

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«Stamattina ho saputo della morte di Moshen e ora mi esplode il cervello. Mi parlava del suo amore per i videogiochi fin dal mattino. E della sua solitudine. Era gentile. Mi offriva sempre il suo cibo. Dopo l'ultimo interrogatorio mi portò pure una Coca Cola. Vorrei fosse ancora fra noi, tornato a preparare i suoi caffè. Vorrei non aver saputo della sua morte che ora mi fa odiare il mio essere vivo...».

 

Mohsen era stato arrestato il 25 settembre, nei primi giorni di mobilitazione, con l'accusa di aver partecipato al blocco di via Sattar Khan, una delle arterie principali di Teheran, e in quell'occasione di aver colpito con un coltello un agente alle scapole. La condanna a morte era stata pronunciata il 10 novembre, e la Corte Suprema l'aveva confermata, rigettando l'appello. Ieri lo hanno condotto al patibolo senza nemmeno permettergli di rivedere i familiari.

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«Un processo farsa», tuona Iran Human Rights dalla sede in Norvegia. Col direttore Mahmood Amiry- Moghaddam a chiedere la risposta della comunità internazionale: «Bisogna reagire subito». Usa, Ue e i vari governi, compreso quello Meloni, condannano il regime. Amnesty International da giorni avverte che in tanti corrono lo stesso rischio di Shekari.

 

Le proteste hanno provocato circa 18mila arresti, e una trentina sono già stati condannati a morte. «Le sentenze emesse saranno eseguite», conferma il capo della Giustizia Gholam-Hossein Mohseni-Eje' i. Fra i condannati, per ora, non c'è l'allenatrice della squadra di pallavolo Fahimeh Karimi, accusata di aver dato un calcio a un poliziotto, già compagna di cella della blogger romana Alessia Piperno (arrestata a fine settembre e poi rilasciata 40 giorni dopo). Lo dice l'Ufficio per le pubbliche relazioni del tribunale di Pakdasht: «Il caso è ancora oggetto di indagine, finora nessuna sentenza è stata emessa».

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