LA MANFRINA DI SALA È UN TRUCCO PER RICATTARE I MAGISTRATI (ED È PURE ILLEGITTIMA) - LA LEGGE NON PERMETTE L'AUTOSPENSIONE PERCHÉ SI È INDAGATI, IL PREFETTO RIGETTA LA RICHIESTA, E BEPPINO SI INVENTA L''IMPEDIMENTO TEMPORANEO'. COSÌ DIVENTA COLPA DEI PM SE LA CITTÀ RESTA SENZA SINDACO - MA I CITTADINI SPERANO CHE LA PANTOMIMA SI RISOLVA ENTRO L'ANNO, 'CHIARITE LE ACCUSE' (CHE SONO CHIARE DA 2 ANNI)

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Giorgio Arnaboldi per ''La Verità''

 

GIUSEPPE SALA GIUSEPPE SALA

 Autosospeso nel vuoto all' ultimo piano del Bosco Verticale, di fatto Beppe Sala non è più il sindaco di Milano. O almeno ha deciso di non guidare la locomotiva d' Italia per qualche mese. E il motivo va cercato dentro il dossier Expo.

 

Ieri mattina il prefetto Alessandro Marangoni gli ha detto che l' autosospensione è irricevibile, «semplicemente non esiste», poiché la legge Severino la considera solo dopo una condanna di primo grado. Ma il manager scelto da Matteo Renzi per amministrare Milano ha deciso la linea e non la cambia: vuole chiamarsi fuori, intende portare avanti quella che ha tutta l' aria d' essere una forzatura (anche se la Procura generale si è detta disponibile ad ascoltarlo a più presto). E per farlo si appella allo statuto del Comune che prevede la sostituzione in caso di «impedimento temporaneo».

 

MARIA ELENA BOSCHI GIUSEPPE SALA MARIA ELENA BOSCHI GIUSEPPE SALA

Questo lo è, anche se non si vede l' orizzonte del «temporaneo» (sei mesi, molto meno in caso di stralcio della posizione) perché l' iscrizione del sindaco nel registro degli indagati con l' accusa di falso ideologico e falso materiale apre scenari imprevedibili.

 

Sala è accusato di avere retrodatato, ai tempi dell' Expo, il provvedimento di nomina di un componente della commissione appalti entrato in sostituzione di un collega. E perché lo avrebbe fatto? Perché il rispetto della tempisti ca standard avrebbe ritardato l' avvio dei lavori. Un simile gesto, considerato all' inizio dai pm un «falso innocuo», ora non lo è più.

 

La vicenda generale è più complessa e risale al 2012, quando Expo 2015 era poco più di un' ipotesi e i ritardi cominciavano a creare nervosismo. Bisognava realizzare la «Piastra dei Servizi», la base dell' esposizione universale sulla quale sarebbero stati edificati i padiglioni, e la società Mantovani di Piergiorgio Baita (indagato a sua volta e già arrestato a Venezia per il Mose) si aggiudicò l' appalto per 149 milioni, con un fantascientifico ribasso del 42% rispetto alla base d' asta.

matteo renzi giuseppe sala matteo renzi giuseppe sala

 

La verifica di congruità sul maxiribasso non fu mai svolta (il manager Antonio Rognoni in un interrogatorio rivela: «Sala disse che non c' era tem po») e si andò avanti. Allo stesso modo, alla Mantovani fu affidata la fornitura di 6000 alberi per ingentilire l' area, per un importo di 4,3 milioni di euro a fronte di un costo di 1,6 milioni. Forbice larga, troppo larga per non insospettire i magistrati, che già quattro anni fa avevano aperto un' inchiesta, poi arenatasi sulla scrivania del procuratore Edmondo Bruti Liberati (ringraziato pubblicamente, e in maniera inconsueta, o forse no, dall' allora premier Renzi per «aver gestito la vicenda con sensibilità istituzionale»).

 

Questo stallo era stato uno dei motivi della dura polemica fra il numero uno della Procura e il pm Alfredo Robledo, poi trasferito a Torino. L' indagine sugli appalti e sui comportamenti di Beppe Sala, di Angelo Paris e Antonio Acerbo (due manager Expo già arrestati per altre vicende), di Piergiorgio Baita, degli imprenditori Erasmo e Ottavia no Cinque e di Paolo Pizzarot ti (colui che perse l' asta e sul quale ci sono sospetti di collusione con la Mantovani) era avviata all' archiviazione. Dopo l' arrivo di Francesco Greco al quarto piano di Palazzo di Giustizia, il fascicolo è stato avocato dalla Procura generale che ha chiesto di prorogare i termini delle indagini.

matteo renzi giuseppe sala matteo renzi giuseppe sala

 

E siamo all' oggi, a un Sala inviperito che fatica a spiegare a chi lo circonda e ai milanesi la decisione (illegittima) di autosospendersi. Era convinto che le nebbie di quella vicenda gestita come minimo frettolosamente (ma l' Expo sul davanzale del mondo si doveva allestire) si erano ormai diradate. Acqua passata, e invece no. E invece l' ombrello protettivo sull' evento che per 12 mesi ha posto il nostro Paese sotto gli occhi del pianeta, ora non c' è più.

 

Giorgio Napolitano, il vero anestetizzatore degli scandali possibili, non è più al Quirinale. Matteo Renzi, sponsor numero uno di Sala e king maker della sua ascesa prima all' ombra dell' Albero della vita e poi nell' ufficio con vista su piazza della Scala, non è più a Palazzo Chigi. Coincidenze nefaste, un baco nel quale si è infilata la Procura per ripartire con l' inchiesta. Che appare tardiva e che avrebbe dovuto chiudersi secondo logica prima delle elezioni di Milano, prima della lotta spalla a spalla fra Sala e Parisi. È il contrappasso. Un Sala rinviato a giudizio non si sarebbe neppure candidato, un Sala prosciolto ora sarebbe legittimamente in sella per guidare la città per realizzare quel nuovo salto di qualità (urbanistico, sociale, infrastrutturale) che tutti si aspettano.

ANNA SCAVUZZO ANNA SCAVUZZO

 

Il sindaco caratterialmente decisionista ha incassato male lo schiaffo. E ha subito fatto sapere le sue intenzioni. «Mi autosospendo anche se non ho la benché minima idea delle ipotesi investigative». Frase di per sé priva di logica. Se veramente il primo cittadino non è a conoscenza del perimetro delle accuse, è assurdo che abbandoni per sei mesi la città nelle mani inesperte della vicesindaca Anna Scavuzzo, 40 anni, insegnante di Fisica, scout di lungo corso, renziana di ferro, già consigliera comunale con Giuliano Pisapia. Nel backstage del consiglio comunale si parla di rischio di personalismi o di implosione, perché i suoi pieni poteri potrebbero nascondere in realtà un vuoto di potere che una piccola metropoli efficiente come Milano non può permettersi.

 

EXPO PIASTRA EXPO PIASTRA

La lettera con cui Sala lascia la compagnia è lapidaria: «La mia assenza è motivata dalla personale necessità di conoscere, innanzitutto, le vicende e i fatti contestati; pertanto, fino al momento in cui mi sarà chiarito il quadro accusatorio, ritengo di non poter esercitare i miei compiti istituzionali». Il sindaco non lascia alcuno spiraglio alla trattativa. E i motivi sono sostanzialmente due. O ha deciso di giocare a braccio di ferro con la Procura, di fatto lasciando ai titolari dell' inchiesta la responsabilità di un vuoto che Milano non merita. Oppure sa che la faccenda è più tosta di quanto non appaia, e che per affrontarla al meglio sono necessari i saluti. E i guantoni.

 

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