I GIOCHI DI "ALCATRAZ" – LE OLIMPIADI DI TOKYO SARANNO SENZA TURISTI. E (QUASI) SENZA PUBBLICO. LE DELEGAZIONI OLIMPICHE ALL' 80 PER CENTO SARANNO VACCINATE, MENTRE INVECE IL GIAPPONE È RESTIO, NEANCHE IL 4 PER CENTO DEL PAESE SI È IMMUNIZZATO. GIOCHI IN CLAUSURA MA NON SI POTEVANO CANCELLARE. IN BALLO 28 MILIARDI DI DOLLARI. LA PIÙ ALTA CIFRA DI SEMPRE. SE LE OLIMPIADI NON SI ACCENDONO, MOLTI SPORT MORIRANNO D'ASFISSIA...

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Emanuela Audisio per "il Venerdì - la Repubblica"

 

Giocheremo. Come sempre, ma diversamente da sempre. Le Olimpiadi non si spengono. Semaforo verde.

Tokyo 2020 Tokyo 2020

 

La rete televisiva americana Nbc, che iniziò ad occuparsene proprio a Tokyo nel '64, ha annunciato una copertura senza precedenti: settemila ore di trasmissione, più inedito streaming, nonostante il fuso orario di 13 ore tra le due capitali non sia favorevole. 41 sport, 339 medaglie. «Sarà l' evento mediatico più grande di sempre».

 

Tokyo 2020 si farà. Un anno dopo, il logo non cambia. Nei Cinque Cerchi trovi i colori del mondo: Americhe, Europa, Africa, Asia, Oceania. Una sabbia antica, calpestata da tanti, con le orme di tutti. Ci si affondava, ci si mischiava, ci si scopriva. La bellezza era quella: non c' era più la giusta distanza. Si respirava assieme, niente più abissi, né confini. Le Olimpiadi da sempre sono il fiato del mondo: corto, lungo, allegro.

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Tradizione e rivoluzione. Contatti ravvicinati. Il nero americano Owens che nel '36 a Berlino diventa amico del tedesco Luz Long, che trascura la sua arianità e fa infuriare Hitler. La rumena Nadia Comaneci, primo 10 della ginnastica, che ai Giochi di Montreal nel '76 scopre che esistono le bubble-gum, ma non solo: «Ricordo la sorpresa quando al villaggio olimpico mi accorsi che il cibo era gratis: la pizza, i cereali, la ricotta, il burro di arachidi.Chi li aveva mai visti prima?». In mensa mangiavi tra il pugile iraniano, la maratoneta etiope, il giocatore di basket americano, le nuotatrici australiane, il rugbista delle Fiji, la giavellottista finlandese. Corpi, culture, religioni diverse. Un mappamondo umano, tutti lì, in un puntino, in una città, in un villaggio, alla stessa tavola.

 

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né turisti né pubblico È l' edizione numero 32 dei Giochi. La prima posticipata, la prima segregata, la prima soffocata. Dicevano che il Giappone non voleva essere contagiato, che mal sopportava l' invasione straniera olimpica, più di 70 mila accreditati, sì, aveva invitato il mondo a casa, ma prima che il Covid-19 si sedesse, non gradito, a tavola. Tokyo 2020 doveva essere quella che non sarà più: un' Olimpiade libera, sostenibile, festosa.

 

Sarà invece la più prigioniera, la più cara, la più sofferente. Senza turisti. E (quasi) senza pubblico.

 

Se Monaco '72 ha reso i Giochi meno innocenti, la pandemia li ha resi più virali, trasformandoli in un possibile attentato alla salute. Più di 200 i Paesi presenti, assente la Corea del Nord.

 

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Bolle, tamponi, mascherine, tracciamento. Già la chiamano Alcatraz, perché le vie di fuga saranno poche. Protocolli di sicurezza rigidi. Playbook (che non è Playboy) in mano: una guida infernale piena di selve oscure per non sbagliare girone. Ognuno starà nel suo gruppo, dichiarerà i suoi percorsi olimpici, vietati i giri in città, i mezzi pubblici, i ristoranti, proibita ogni contaminazione. Distanziamento fisico per tutti. Separazioni esistenziali e culturali. E al primo malessere: via, reclusione, anzi isolation facility, in inglese suona meglio.

 

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Numeri ridotti al minimo, anche per i capi di Stato, prego arrangiarsi con staff limitato a 11 persone. No party, zero cerimonie. Nemmeno per il presidente Macron, che verrà, perché nel 2024 i Giochi si tengono a Parigi.

 

Raccomandazione agli atleti: abbreviate la vostra permanenza, arrivate all' ultimo, ripartite subito.

L' abbraccio al mondo sarà per un' altra volta.

 

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Anche se le delegazioni olimpiche all' 80 per cento saranno vaccinate, mentre invece il Giappone è restio, neanche il 4 per cento del paese si è immunizzato. Però l' attenzione all' ambiente resta, guai a sprecare: i 98 podi, disegnati dall' artista Asao Tokolo, sono stati costruiti con 24,5 tonnellate di plastica, l' equivalente di 400 mila bottiglie di detergente e le medaglie sono di metallo riciclato, dentro troverete i resti di 6, 2 milioni di vecchi cellulari. Il falò della vanità, appunto.

 

Il low-cost però è svanito: cara Tokyo ti scrivo, sei carissima, nessuna come te ai giochi estivi. Giocheremo per 28 miliardi di dollari. La più alta cifra di sempre, calcolando che all' inizio (nel 2013) la spesa prevista era di 7,5 miliardi. Il «whatever it takes» per i Cinque Cerchi è stato criticatissimo, nel Paese e fuori.

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Conveniva il rinvio, costato circa tre miliardi di dollari? Troppi egoismi in gara: quello degli atleti che guardano solo alle medaglie, quello degli sponsor che badano ai loro affari, quello del Cio sensibile solo alla sua riproduzione, quello delle tv che vivono di share (anche perché l' Nbc ha pagato per i diritti 7,65 miliardi di dollari fino al 2032), quello dell' intrattenimento che non rinuncia mai al suo spettacolo, quello di chi non ammette emergenze perché naufragar m' è dolce in questo sport.

 

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La guerra contro Tokyo ha mosso molti eserciti e procurato defezioni: si sono tirati indietro volontari, infermieri, dottori. Cancellati anche molti ritiri, ma la squadra femminile australiana di softball è già lì, è stata la prima delegazione straniera ad arrivare, a Ota, nella prefettura di Gunma.

 

un miliardo di ragioni I Giochi non sono solo orgogli da lucidare, supremazie da affermare, ma sono la corrente (finanziaria) che trascina lo sport mondiale. Entrate economiche per le federazioni internazionali (circa 450 milioni) e altrettanti per la solidarietà olimpica. Sono un miliardo di dollari di ragioni. Le belle storie si raccontano da sole, diceva Francis Scott Fitzgerald.

 

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Ma per avere vita devono nascere, esistere, crescere. Quelle sportive lo fanno con la redistribuzione dei ricavi olimpici. I Giochi non sono solo polvere di stelle, ma sostanza, sono il nutrimento che consente quella diversità biologica di eroi e di discipline che tanto ci colpiscono perché piccole, sconosciute, senza pubblicità. Perché permettono quel «One moment in time» che cantava Whitney Houston: «Voglio un momento nel tempo, quando sono più di quello che pensavo di poter essere».

 

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Ci commuoviamo vedendo a Londra 2012 piangere un omone come Michele Frangilli, «arciere eretico», oro nella gara a squadre, quello che in 35" tira la decima e ultima freccia e poi sul podio versa lacrime in ricordo di sua madre Paola, ci sorprendiamo di Marco Galiazzo, campione olimpico nell' arco individuale ad Atene 2004, che tira con gli occhiali da vista e con il cappello da pescatore in testa, che si allena sei ore al giorno, trecentocinquanta frecce quotidiane per centrare il bersaglio, 122 centimetri in tutto, e finisce sui giornali ogni quattro anni.

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Ci meravigliamo dell' americana Simone Biles, forse la più grande ginnasta di sempre, figlia di una drogata e alcolista, adottata a cinque anni con la sorella dai nonni, che ha cercato un rifugio, un aiuto e un futuro nello sport. Ora Simone è ricca e famosa, ma se non avesse trovato un programma dove inserirsi?

Ci chiediamo: ma come fanno? Loro e quelli come loro. Non le star, ma tutti quelli condannati all' invisibilità, tranne che per quel momento.

 

Michele Frangilli Michele Frangilli

Se le Olimpiadi non si accendono, lo sport muore d' asfissia. Mario Scarzella, vicepresidente vicario della federazione internazionale (World Archery) confessa: «Siamo in sofferenza, il nostro sport ha rotto i salvadanai, e come noi tante altre discipline, senza contributo olimpico del Cio, tra pandemia e rinvio, abbiamo grandi problemi. Senza soldi non si fanno né si organizzano competizioni e una volta che la spina è staccata, non è detto che a riattaccarla riparta tutto».

 

Marco galiazzo Marco galiazzo

la sfilata dei rifugiati Anche World Triathlon ha annunciato un fondo di 80 mila euro per sostenere 23 atleti e paratleti di 11 Paesi, per permettere loro di pagare le spese di qualificazione per Tokyo. Quando vedrete la (ridotta) cerimonia d' inaugurazione, dietro alla Grecia, prima a sfilare, ci sarà il Paese che non ha più un Paese, la squadra dei rifugiati con l' acronimo Eqr (Équipe Olympique des Réfugiés): 29 atleti in fuga da guerra e da discriminazioni in rappresentanza di 12 sport, selezionati tra oltre 200 mila persone per favorire l' inclusione.

 

thomas bach thomas bach

I Giochi sono compagni che offrono il braccio, che pagano per la possibilità di riparare i viventi, di offrire un' altra vita. Non sono perfetti, ma arrivano negli angoli: il Cio redistribuisce il 90 per cento degli introiti olimpici. Non si tratta di welfare o di reddito di cittadinanza sportiva per fannulloni, perché agli ultimi Giochi di Rio 815 atleti sostenuti dalla solidarietà olimpica hanno vinto 101 medaglie. L' allenatore che ha qualificato due atleti rifugiati per Tokyo è Niccolò Campriani, tre volte campione olimpico nel tiro, che ora dice: «Non avrei mai pensato che una delle giornate di sport più belle della mia carriera l' avrei vissuta dopo il mio ritiro».

 

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I suoi ragazzi sono Mahdi, cresciuto in Iran, (ma gareggia per l' Afghanistan) e Luna, eritrea, diventata mamma un anno fa. Entrambi fuggono da un mondo di violenza, per la prima volta hanno un' arma in mano che non uccide, ma prova a guarire. Campriani all' inizio del suo progetto ha fatto ricorso al crowfunding, ora invece il suo team può andare avanti con una borsa di studio olimpica. E Mahdi avrà realizzato il suo sogno orgoglioso: farsi vedere in tv dalla vecchia madre. Tokyo sarà un gioco diverso e complicato. I Cinque Cerchi saranno in clausura. Ma meritano una carezza e il perdono.

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