LINO Agrusti, L'UOMO DI Geronzi per domare definitivamente il Leone di Trieste - CHI è LA BANCA D'AFFARI CHE HA TRACCIATO L'INDISPENSABILE FUSIONE TELECOM-TELEFONICA? - SCAJOLA SNOBBATO DA MARPIONNE - TOTONOMIME PER CHI VA ALL'ABI - ADDIO VATTANI ADDIO

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1 - CHI è LA BANCA D'AFFARI CHE HA 'TRACCIATO' LA FUSIONE TELECOM-TELEFONICA?
Gli uscieri di Telecom non sono  rimasti affatto sorpresi dalla notizia pubblicata sabato sul "Corriere della  Sera" secondo la quale Franchino Bernabè porterebbe avanti l'ipotesi di una fusione dell'azienda con la spagnola Telefonica.

Franco BernabèFranco Bernabè

Gli uscieri sanno da tempo che questo progetto esiste e ormai hanno capito il carattere e le intenzioni del manager di Vipiteno che assiste con ammirazione alle piroette planetarie di Sergio Marpionne. Anche lui si rende conto che "niente sarà come prima" nel mercato infernale del capitalismo dove le grandi alleanze sono diventate indispensabili.

Il progetto di fusione è un salto indispensabile che va ben oltre le sinergie da 1,3 miliardi con Telefonica annunciate nell'ultima Assemblea degli azionisti, e i risultati del primo trimestre non sono esaltanti: l'utile è calato del 4,3%, i ricavi hanno segnato -6,7 e gli investimenti sono scesi di 203 milioni di euro rispetto al 2008.

CORRADO PASSERA CON GIOVANNA SALZA - Copyright PizziCORRADO PASSERA CON GIOVANNA SALZA - Copyright Pizzi

Ma il problema più grosso, che rende plausibile e indispensabile la fusione con gli spagnoli (titolari del 42,3% di Telco), è rappresentato soprattutto dalla caliente situazione in America Latina dove le due aziende rischiano di essere penalizzate dal governo argentino e in Brasile.

In pratica Bernabè vorrebbe ripetere per Telecom il modello del 1999 quando per arginare l'Opa di Colaninno tentò una disperata alleanza con Deutsche Telekom. Non se ne fece nulla, e Franchino fu costretto a fare le valigie per ritirarsi nell'attività privata. L'uomo non è tipo da restare con le mani in mano e quando fu eletto la prima volta al vertice di Telecom (era il 1998) disse ai giornali: "A 50 anni o si cambia la moglie o si cambia il lavoro: io sono affezionato a mia moglie e perciò cambio lavoro".

Cesare GeronziCesare Geronzi

Adesso che di anni ne ha 61 l'affetto per la moglie non è in discussione, ma ancora una volta il "Marpioncino" di Telecom (così lo chiamano affettuosamente gli uscieri) si trova sul crinale di una scelta importante.

Non appena è uscita la notizia sul suo incontro di lunedì scorso con Cesare Geronzi e Corradino Passera, Telecom si è affrettata a smentire qualsiasi fondamento, ma questa premura è del tutto "formale" perché negli incontri "informali" della settimana scorsa Franchino ha buttato sul piatto l'ipotesi dell'alleanza e ha raccolto reazioni molto fredde.

Nella sua infinita miseria Dagospia è in grado di rivelare che quello di Bernabè non è stato un cauto sondaggio, bensì l'indicazione di un percorso che dovrebbe consentire a Telecom di fare un salto di qualità sui mercati e di parare le botte che gli arrivano dal Sud America e dell'Italia dove il Rapporto Caio pone chiaramente il problema di una massa di investimenti che Telecom da sola non può sostenere. Ma c'è di più, perchè sembra che la fusione abbia già precisi contorni industriali e finanziari.

Sergio BalbinotSergio Balbinot

E a Milano si è aperto un dibattito sulla banca d'affari che avrebbe tracciato le linee del piano di fusione. Comunque, non è immaginabile che il "Marpioncino" di Vipiteno possa partorire una fusione così importante tagliando fuori piazzetta Cuccia e BancaIntesa, le due realtà che hanno applaudito alla sua nomina nel novembre 2007 e che fino a ieri l'hanno sostenuto con determinazione.
 
2 - Agrusti, L'UOMO DI Geronzi per domare definitivamente il Leone di Trieste
A Trieste c'è un uomo dal volto arcigno che gira per la città con l'aria preoccupata. Così dicono nel  palazzone delle Generali, la roccaforte delle assicurazioni guidata  dall'85enne Bernheim.
Quest'uomo si chiama Raffaele Agrusti ed è direttore generale e finanziario della Compagnia. I rarissimi amici lo chiamano "Lino" e fu proprio la sua promozione nel 2007 a scatenare la reazione dei fondi stranieri e la battaglia innescata contro Bernheim da Davide Serra, il giovinotto di Algebris di cui si sono perse le tracce nei docks di Londra.

Giovanni PerissinottoGiovanni Perissinotto

Oggi Agrusti è considerato l'uomo più potente del Leone di Trieste, colui che è in grado di dire parole decisive e di mettere in ombra i due amministratori delegati Sergio Balbinot e Giovanni Perissinotto.

Per questi due uomini il futuro sembra quantomai incerto. Il primo, Balbinot, è un 51enne di Tarvisio che nell'83 è entrato nella Compagnia e ha fatto esperienze in Germania, Zurigo, Parigi. Anche adesso continua a girare il mondo mentre l'altro amministratore delegato, Giovanni Perissinotto (un ravennate di 56 anni), cerca di sopravvivere nonostante a Trieste lo considerino un "dead man walking", poco efficace nella gestione del Gruppo.

Antoine BernheimAntoine Bernheim

L'uomo forte che sembra comandare la baracca è sempre di più "Lino" Agrusti e del suo potere ha preso coscienza anche il presidente Bernheim che sembra non aver alcuna intenzione di ritirarsi. Nella primavera del prossimo anno scadrà il mandato del Grande Vecchio francese, ma l'avventura italiana di questo parigino con due lauree che già una volta nel '99 lasciò la presidenza di Generali e si sentì tradito da Enrico Cuccia, è per lui questione di vita o di morte. Al suo fianco i due "alani" Balbinot e Perissinotto appaiono insostituibili, ma sullo sfondo si agita la figura di Agrusti che Bernheim considera la punta avanzata di Cesarone Geronzi per domare definitivamente il Leone di Trieste.

In questo disegno qualcuno dice che il presidente di Mediobanca vorrebbe piazzare al posto di Bernheim un "padre nobile" dell'economia (come Padoa Schioppa o Mario Monti) e un amministratore delegato unico, già individuato in Enrico Tommaso Cucchiai, un bocconiano ex-McKinsey dalla testa pelata e la barbetta grigia che assomiglia incredibilmente al sondaggista Piepoli.

Claudio ScajolaClaudio Scajola

Nel suo ufficio di Parigi in Boulevard Haussmann il vecchio Bernheim ha fiutato l'operazione e pare che stia preparando un bel piattino per l'arcigno "Lino".
 
3 - SCAJOLA SNOBBATO DA MARPIONNE
Claudio Scajola ha due problemi, uno locale, l'altro nazionale.
Il primo riguarda il futuro dell'aeroporto di Albenga, che ha sempre considerato una sua creatura e per il quale si è battuto affinché in coincidenza con il governo Berlusconi funzionasse la tratta che dalla città ligure porta a Roma. Nella sua splendida villa di Imperia l'ex-democristiano che passerà alla storia per aver definito Marco Biagi "un rompicoglioni" sta cercando la soluzione che consenta di privatizzare l'aeroporto gestito dalla società Ava con il contributo dei comuni e delle amministrazioni locali.

La questione non è nuova e nel settembre dell'anno scorso sembrava che fosse risolta con l'intervento degli imprenditori Orsero e Bassani, che hanno i loro centri operativi ad Albenga e Montecarlo. Negli ultimi giorni sembra che la soluzione stia maturando perché - come ha scritto venerdì il quotidiano "MF" - la famiglia Orsero che fattura 1,2 miliardi nella logistica ortofrutticola, sembra intenzionata a mettere sul piatto i 3,2 milioni necessari per arrivare al 51% del capitale.

Guardacaso questa famiglia Orsero è entrata con una quota del 2,36% nella cordata dei patrioti italiani che hanno salvato l'Alitalia, e qualche maligno per le strade di Imperia sussurra che si tratti di un graditissimo scambio.

Umberto VattaniUmberto Vattani

Ad inquietare l'ineffabile Scajola c'è poi il problema "nazionale" che riguarda il modo ingrato con cui Sergio Marpionne sta snobbando il governo e il ministro che più si è battuto per gli incentivi all'automobile. Nei giorni scorsi Scajola si è davvero inquietato per l'indifferenza del manager dal pullover sgualcito che ormai parla solo con Obama e i governatori tedeschi.

Con un grido di dolore ha detto: "spero che la presenza di Fiat in Italia aumenterà e non diminuirà", un linguaggio del tutto simile a quello dei sindacalisti e dell'ex-ministro del Lavoro, Damiano.
Il politico dell'aeroporto di Albenga soffre per lo snobismo del planetario Marpionne che non se lo fila per niente, e teme che tra pochi giorni sotto gli uffici di via Veneto arrivino i "rompicoglioni" di Pomigliano d'Arco e Termini Imerese con tanto di striscioni e tamburi.
 
4 - SANTACECCA DELL'ABI
Dopo la barba bianca di Giuseppe  Zadra, ecco spuntare all'orizzonte i baffi neri di Domenico Santececca, l'uomo  che a giugno sembra destinato a sostituire il direttore generale dell'Abi.  

MASSIMO CAPUANOMASSIMO CAPUANO

Sul nome di Santececca si sta realizzando una convergenza tra i banchieri dell'Associazione che considerano l'Abi con molta sufficienza, ma non possono permettersi il lusso di non avere alcuna rappresentanza. Dopo la laurea nel '77 alla Sapienza di Roma, il baffuto Santececca è entrato all'Abi nel '92, poi se ne è andato per un paio di anni ed è ritornato nel '94 come direttore centrale responsabile dell'Area Servizi di Mercato.

La sua candidatura sarà esaminata dal collegio degli altri banchieri che si riunirà dopo il 31 maggio, giorno dell'Assemblea della Banca d'Italia. Secondo il "Sole 24 Ore" di sabato la short list comprenderebbe nomi ben più pesanti di quello di Santececca quali: Pietro Modiano, Giampiero Auletta Armenise e addirittura Massimo Capuano, l'ex-McKinsey che guida Borsa Italiana.
In realtà sembrano nomi troppo grandi per una poltrona troppo piccola dove l'esperienza di un "interno" come Santececca basta e avanza.
 
5 - VATTANI ADDIO
Avviso ai naviganti: "Si avvisano  i signori naviganti che dopo la condanna a due anni e otto mesi per 50 ore di  telefonate un po' troppo "hardite" si dà per scontata l'uscita  dell'ambasciatore Umberto Vattani dalla presidenza dell'Ice".

 

 

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