coronavirus zara 2

IL VIRUS NON VA DI MODA – LA PANDEMIA HA MANDATO IN TILT LE CATENE DI “FAST FASHION” – ZARA HA GIÀ CHIUSO 1.200 NEGOZI, E PRESTO SEGUIRANNO ANCHE H&M E GLI ALTRI – A RISCHIO C’È IL 30% DEI PUNTI VENDITA, CHE SAREBBE UN TERREMOTO MAI VISTO PER LE FILIERE DELL’INDOTTO (E PER CITTÀ E CENTRI COMMERCIALI) – REGGONO MEGLIO NEGOZI DI PROSSIMITÀ E LUSSO

 

 

 

Sandra Riccio per “la Stampa”

 

coronavirus zara

La pandemia ha mandando in tilt le grandi catene della moda veloce e a basso prezzo: da Zara non ci sono più le file alla cassa, sono sparite anche le lunghe code davanti ai camerini affollati di ragazzine da H&M. Eppure, prima del coronavirus i negozi del «fast fashion» erano una delle mete da non perdere nei riti del sabato dello shopping.

 

Oggi le code si fanno per il contingentamento agli ingressi, in strada, prima di entrare. Tutto gira a ritmo più lento. Le ragazzine sono sparite e la calca di un tempo, che teneva su tutto il business, è solo un ricordo. L'effetto si è visto già nei risultati dei primi tre mesi dell'anno, con fatturati caduti in media di un terzo.

 

La percentuale sarà ben più alta ad aprile, maggio e giugno. Poi si vedrà. Il dato choc ha spinto i colossi del settore a correre ai ripari. Zara, numero uno della moda veloce, ha deciso di chiudere 1.200 punti vendita a livello globale. H&M, seconda in classifica, ne chiuderà diversi in Europa, 8 in Italia (due a Milano).

 

coronavirus e fast fashion

Anche altri nomi hanno fatto questo passo. L'elenco è lungo e va dai marchi di moda britannici Monsoon e Accessorize (35 chiusure nel Regno Unito) fino alla tedesca C&A (13 negozi) per arrivare a Urban Outfitters e Gap in Usa e Canada.

 

Sandro Castaldo – Bocconi

«L'ipotesi è che, in assenza di interventi dalle istituzioni su costo degli affitti e forza lavoro, le catene del fast fashion arrivino ad abbassare il 30% delle propri saracinesche - dice Sandro Castaldo, professore del dipartimento di marketing alla Bocconi -. Per il mondo dell'occupazione e per le filiere dell'indotto sarebbe un terremoto».

 

Il trend delle razionalizzazioni era iniziato già da tempo, soprattutto negli Usa e nel Nord Europa. Le grandi catene avevano iniziato a mettere mano agli "store "dopo l'aumento delle vendite registrate online (che durante il lockdown sono cresciute anche più del 100% per alcuni marchi).

coronavirus moda

 

«Le chiusure sono iniziate con lo sviluppo dell'e-commerce - racconta l'esperto -. Il coronavirus non ha fatto altro che accelerare questo passaggio. La spinta è stata tale da imprimere un salto indietro di 20 anni al mondo dei negozi fisici e di 10 anni in avanti alle vendite in Internet».

 

Ora la scommessa è online. «Il Covid-19 ha evidenziato l'importanza dei canali integrati» dicono da H&M. La nuova strategia porterà ossigeno in questa fase così difficile. Significa, infatti, la possibilità di tagliare i costi e salvare il business.

 

coronavirus zara 1

«Quello della moda "fast" è un modello di business che offre margini di utile bassissimi, intorno al 2% - spiega Castaldo -. Il rischio di affondare è alto se manca un forte flusso di vendite e quindi le catene devono correre subito ai ripari». Se i colossi sono piegati dal coronavirus, a sorpresa il nuovo quadro che sta emergendo potrebbe portare a una rivincita delle piccole botteghe sotto casa.

 

I negozi di prossimità, che prima del Covid stavano quasi scomparendo, sono quelli che hanno resistito meglio alle difficoltà. Adesso iniziano a guardare con più fiducia al futuro. Le ragioni sono molte. Da un lato, offrono spazi più contenuti che quindi danno più sicurezza, dall'altro hanno il vantaggio di essere posizionati in vie cittadine che probabilmente torneranno a diventare molto frequentate.

paola carboni equita

 

Gli esperti prevedono che le passeggiate del sabato pomeriggio si faranno di nuovo nelle zone pedonali del centro anziché nei mega centri dello shopping fuori città. Chi è rimasto immune, o quasi, è il lusso. «Non vediamo cambi di strategia a lungo termine in questo comparto, né chiusure né razionalizzazioni - racconta Paola Carboni, analista del settore lusso di Equita -. Del resto questo mondo può contare su margini di guadagno ben più alti rispetto alla moda veloce e a basso prezzo».

 

coronavirus e fast fashion

C'è però anche una ragione in più che ha salvato il comparto. Durante il lockdown i grandi marchi del lusso si sono inventati nuovi servizi stallati. Per fare qualche esempio, nelle vendite sono spuntati i commessi in video capaci di descrivere nel dettaglio i pregi del maglione in cashmere. La consegna a domicilio, invece, è stata affidata all'auto dedicata, con la possibilità di cambio della merce direttamente sull'uscio di casa. Un mondo a parte, certo, che conta su pochissimi clienti danarosi ma sempre pronti a spendere. Anche nel bel mezzo di una pandemia.

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