QUEL VOLO MILANO-ROMA IMBOTTITO DI "CIMICI" - LE INTERCETTAZIONI AMBIENTALI REGISTRATE IN UNA SALA D'ATTESA, NELLA QUESTURA DI MILANO, DOVE VENIVANO PARCHEGGIATI QUELLI CONVOCATI PER TESTIMONIANZE - LE CONVERSAZIONI CAPTATE DAL TELEFONINO DI FEDE.
1 - FEDE & BERLUSCONI, IL MISTERO DEI NASTRI.
Francesco Grignetti per "La Stampa"
Nella cassaforte della procura di Potenza c'è rinchiuso un «tesoretto»: migliaia di intercettazioni, sia telefoniche, che ambientali. Da quel poco che si sa, ci sono le intercettazioni che furono eseguite su un volo Alitalia Milano-Roma che fu letteralmente imbottito di «cimici» per ascoltare le conversazioni di chissà chi.
Ci sono altre intercettazioni ambientali registrate in una sala d'attesa, nella questura di Milano, dove venivano parcheggiati molti di quelli convocati per testimonianze. E ci sono le conversazioni captate dal telefonino di Emilio Fede, il direttore del «Tg4».
Curiosa posizione giuridica, quella di Fede. Dagli atti finora pubblicati risulta essere un testimone prezioso. E' lui che racconta una serie di episodi accaduti a ragazze che conosceva bene, come Teodora Rutigliano, che hanno poi dato il via al filone della prostituzione manovrata da Fabrizio Corona. Sempre lui ha raccontato per primo la storia dei panfili di miliardari americani o arabi dove le ragazze-immagine della televisione italiana erano particolarmente appetite. Ma poi si scopre che il suo telefonino è stato intercettato per ordine della magistratura di Potenza per almeno un mese. Senza che il giornalista sia mai stato iscritto al registro degli indagati. E' possibile. C'è una scappatoia prevista dal Codice Penale.
«La cosa - dice il diretto interessato, ironico - non mi stupisce. Il vizio è così antico, che nel 1981 quando lui era presidente del Consiglio e io direttore del Tg1, Giovanni Spadolini mi disse: "Emilio, ricordati che da oggi il tuo telefono è sotto controllo. Me lo sono sempre ricordato. Tanto è vero che interrogandomi, Woodcock mi ha detto: tanto lei lo sapeva di essere intercettato».
Attraverso quel telefonino, però, come è facile immaginare, sono transitate centinaia di telefonate delicate. Ovvio. Un direttore di telegiornale chiacchiera e discute al cellulare con i suoi giornalisti, ma anche con colleghi direttori, con parlamentari, ministri, imprenditori, gente dell'alta finanza. Un direttore parla spesso con il suo editore, ad esempio. Che nel caso di Emilio Fede si chiama Silvio Berlusconi.
E poi, naturalmente, Emilio Fede parla con gli amici. Uno è Lele Mora. Che tra i due ci sia un forte legame è noto. Anzi, stranoto. Fede l'ha sempre difeso. Si è appoggiato alla sua società per farsi promuovere i libri. E' sempre presente alle sue feste in Sardegna come alle cene a Milano. Naviga allegramente nel mondo di Veline, Letterine e Schedine che Lele Mora ha sotto contratto. Finché si tratta di telefonate tra Fede e Mora, comunque, non sorgono problemi. Altro discorso è quando c'è di mezzo un parlamentare. La legge al riguardo è chiarissima: le conversazioni sono inutilizzabili per le indagini a meno che non l'autorizzi il Parlamento. E quindi il «tesoretto» fonetico della Procura rischia in grande parte di restare nei cassetti.
Sembra appena cominciata, a Milano, la sfilata di vip, o aspiranti e presunti tali, destinati a essere interrogati per chiarire gli aspetti della costola milanese dell'inchiesta della Procura di Potenza. Dopo l'interrogatorio come teste, nei giorni scorsi, della partecipante a «La pupa e il secchione» Amalia Roseti, ieri a testimoniare davanti al pm Frank Di Maio è stata la sua collega di trasmissione Nora Amile.
La ragazza ha risposto alle domande sull'autonomo filone d'indagine milanese scaturito dalla denuncia di un imprenditore, ripreso con Amalia Roseti davanti a una discoteca milanese da un fotografo dell'agenzia di Corona. All'uomo sarebbero stati chiesti tremila euro per far sparire dalla circolazione quegli scatti, e nel registro degli indagati compaiono proprio i nomi dell'ex marito di Nina Moric e di un'altra persona.
2 - FEDE: DISONESTO PUBBLICARE IL NOME.
Dal "Corriere della Sera" - «E' una vergogna. Io come direttore di una testata, e sono stato al Tg1 prima che a Rete4, non mi sono mai permesso nulla del genere»: anche secondo Emilio Fede è stata «gogna mediatica». Nessuna scusante per la scelta del collega Belpietro, direttore del
Giornale: «Quello che hanno fatto a Sircana grida vendetta e qualcuno dovrebbe pagare. E' stato un atto vile sul piano umano e politico. E' stata un'imbecillità, significa non saper fare il proprio mestiere, significa essere disonesti».
Dagospia 16 Marzo 2007
Francesco Grignetti per "La Stampa"
Nella cassaforte della procura di Potenza c'è rinchiuso un «tesoretto»: migliaia di intercettazioni, sia telefoniche, che ambientali. Da quel poco che si sa, ci sono le intercettazioni che furono eseguite su un volo Alitalia Milano-Roma che fu letteralmente imbottito di «cimici» per ascoltare le conversazioni di chissà chi.
Ci sono altre intercettazioni ambientali registrate in una sala d'attesa, nella questura di Milano, dove venivano parcheggiati molti di quelli convocati per testimonianze. E ci sono le conversazioni captate dal telefonino di Emilio Fede, il direttore del «Tg4».
Curiosa posizione giuridica, quella di Fede. Dagli atti finora pubblicati risulta essere un testimone prezioso. E' lui che racconta una serie di episodi accaduti a ragazze che conosceva bene, come Teodora Rutigliano, che hanno poi dato il via al filone della prostituzione manovrata da Fabrizio Corona. Sempre lui ha raccontato per primo la storia dei panfili di miliardari americani o arabi dove le ragazze-immagine della televisione italiana erano particolarmente appetite. Ma poi si scopre che il suo telefonino è stato intercettato per ordine della magistratura di Potenza per almeno un mese. Senza che il giornalista sia mai stato iscritto al registro degli indagati. E' possibile. C'è una scappatoia prevista dal Codice Penale.
«La cosa - dice il diretto interessato, ironico - non mi stupisce. Il vizio è così antico, che nel 1981 quando lui era presidente del Consiglio e io direttore del Tg1, Giovanni Spadolini mi disse: "Emilio, ricordati che da oggi il tuo telefono è sotto controllo. Me lo sono sempre ricordato. Tanto è vero che interrogandomi, Woodcock mi ha detto: tanto lei lo sapeva di essere intercettato».
Attraverso quel telefonino, però, come è facile immaginare, sono transitate centinaia di telefonate delicate. Ovvio. Un direttore di telegiornale chiacchiera e discute al cellulare con i suoi giornalisti, ma anche con colleghi direttori, con parlamentari, ministri, imprenditori, gente dell'alta finanza. Un direttore parla spesso con il suo editore, ad esempio. Che nel caso di Emilio Fede si chiama Silvio Berlusconi.
E poi, naturalmente, Emilio Fede parla con gli amici. Uno è Lele Mora. Che tra i due ci sia un forte legame è noto. Anzi, stranoto. Fede l'ha sempre difeso. Si è appoggiato alla sua società per farsi promuovere i libri. E' sempre presente alle sue feste in Sardegna come alle cene a Milano. Naviga allegramente nel mondo di Veline, Letterine e Schedine che Lele Mora ha sotto contratto. Finché si tratta di telefonate tra Fede e Mora, comunque, non sorgono problemi. Altro discorso è quando c'è di mezzo un parlamentare. La legge al riguardo è chiarissima: le conversazioni sono inutilizzabili per le indagini a meno che non l'autorizzi il Parlamento. E quindi il «tesoretto» fonetico della Procura rischia in grande parte di restare nei cassetti.
Sembra appena cominciata, a Milano, la sfilata di vip, o aspiranti e presunti tali, destinati a essere interrogati per chiarire gli aspetti della costola milanese dell'inchiesta della Procura di Potenza. Dopo l'interrogatorio come teste, nei giorni scorsi, della partecipante a «La pupa e il secchione» Amalia Roseti, ieri a testimoniare davanti al pm Frank Di Maio è stata la sua collega di trasmissione Nora Amile.
La ragazza ha risposto alle domande sull'autonomo filone d'indagine milanese scaturito dalla denuncia di un imprenditore, ripreso con Amalia Roseti davanti a una discoteca milanese da un fotografo dell'agenzia di Corona. All'uomo sarebbero stati chiesti tremila euro per far sparire dalla circolazione quegli scatti, e nel registro degli indagati compaiono proprio i nomi dell'ex marito di Nina Moric e di un'altra persona.
2 - FEDE: DISONESTO PUBBLICARE IL NOME.
Dal "Corriere della Sera" - «E' una vergogna. Io come direttore di una testata, e sono stato al Tg1 prima che a Rete4, non mi sono mai permesso nulla del genere»: anche secondo Emilio Fede è stata «gogna mediatica». Nessuna scusante per la scelta del collega Belpietro, direttore del
Giornale: «Quello che hanno fatto a Sircana grida vendetta e qualcuno dovrebbe pagare. E' stato un atto vile sul piano umano e politico. E' stata un'imbecillità, significa non saper fare il proprio mestiere, significa essere disonesti».
Dagospia 16 Marzo 2007