QUANDO C'ERA LA DC - 1955, SCELBA "PROTEGGEVA" I COMUNISTI: USARE LE PROVE DEL FINANZIAMENTO SOVIETICO AL PCI SIGNIFICAVA METTERLO FUORI LEGGE - RISCHIO GUERRA CIVILE.

Da "La Stampa"


Si intitola "Il lungo intrigo", sottotitolo "Dal 1943 a oggi: per una storia segreta dell'Italia", il nuovo libro di Alfio Caruso in uscita da Longanesi (pp. 353, e16,60). Nato da una serie di articoli pubblicati sulla "Stampa", racconta in forma sceneggiata i grandi misteri degli ultimi 60 anni, dalla prima strage politica (Gela 1946) al delitto Pasolini, dal caso Mattei all'uccisione di Dalla Chiesa, dal rapimento Moro alla morte di papa Luciani.

Pubblichiamo uno stralcio del capitolo «Due miliardi al Pci», in cui si ricostruisce una vicenda relativa al finanziamento del partito comunista da parte dell'Urss, nel 1955, attraverso il dialogo immaginario tra il direttore di un apparato istituzionale e un professore che lavora per una struttura segreta al suo servizio.

DUE MILIARDI AL PCI
«Queste sono le foto e questi sono i nastri». La figura minuta, imbacuccata dentro cappotto, sciarpa, cappello, depositò sulla scrivania le due buste.
Stravaccato nella poltrona il direttore conservò un'espressione ironica. Era occorso tutto il suo intuito di napoletano colto e snob per cogliere la capacità mimetica del professorino piombato a Roma dieci anni prima in fuga dai partigiani. Insegnante di lettere alla luce del giorno, responsabile della «squadretta» quando le ombre della sera avvolgevano le strade e i palazzi.

«Professore, roba che scotta?».
«Non capisco perché ce la siamo dovuta sciroppare noi e non gli americani. Sono buoni solo a comandare?». Al direttore venne da sorridere: il vecchio livore contro i cow boy tornava sempre a galla.

Le foto raccontavano di due uomini con due valigie a testa scesi da un'auto e infilatisi nel portone di un imponente palazzo. «Allora, vediamo la sua preziosa mercanzia...» (.)
«Nelle valigie ci sono i dollari», precisò il professore con un moto di stizza, alzò la tesa del cappello e sciolse il nodo della sciarpa. «Che al cambio facciano due miliardi lo dicono quelli dell'appartamento. Lo può ascoltare anche lei nei nastri».

«Esclude che possano aver preparato una trappola per quelli troppo curiosi, tipo lei?».
«Le valigie hanno viaggiato da Mosca con il bagaglio diplomatico. Le abbiamo seguite fino all'ambasciata e dall'ambasciata alla casa sicura in via Ripetta. Lì sono arrivati gli uomini di Secchia a prelevarle».

«Mai avevano spedito due miliardi.».
«Avranno voluto coprire i 500 milioni portati via l'estate scorsa dal segretario di Secchia, Seniga, assieme ai documenti».

«Può essere, può essere.» il direttore assaporò le parole in bocca alla stregua di uno dei suoi vini d'annata. «Quanto tempo abbiamo per intervenire?».
«Fino a un'ora addietro i soldi erano a Monteverde».

Il direttore annuì. «Professore, continui a tenere sotto osservazione l'appartamento e le valigie. Le farò sapere». (.)
Due ore dopo il direttore attendeva in un salottino del ministero della Difesa. Le due buste erano posate su un basso e lungo tavolo liberty dai doppi vetri, impreziosito dai piedi d'argento. All'ingresso dell'ospite il direttore scattò in piedi con i tempi dettati dalla sua pinguedine. «È il materiale di cui mi ha parlato?». (.)

«Esattamente. Dentro troverà le foto, l'identità degli uomini ritratti, l'ora del trasbordo, i nastri e le relative trascrizioni».
«Dobbiamo conoscere qualche altro particolare? Il ministro sta per informarne il presidente del Consiglio.».



«A che cosa si riferisce?».
«A queste», il funzionario picchettò nervosamente con la mano destra sulle due buste. «Non vi saranno piovute dal cielo. È opera dei suoi amici della Cia?».
«Nossignori. È tutta farina del nostro sacco. Quando il ministro lo riterrà opportuno informeremo l'ambasciata statunitense». (.)

All'una del giorno seguente il direttore scorse il professore salire lentamente le scale di Trinità dei Monti. Malgrado il tepore primaverile era sempre avvolto in sciarpa, cappotto e cappello. Sotto entrambe le braccia portava registri e libri.
«Ci tiene a far sapere di essere un insegnante? Teme che possa essere scambiato per una spia?».

Il professore replicò con una smorfia di sopportazione. «La vecchia borsa ha reso l'anima a Dio e per i motivi a lei noti non ho ancora avuto il tempo di acquistarne un'altra».
«Adesso avrà tutto il tempo che desidera».

«Ci pensate voi?».
«Non ci pensa nessuno».
«Che cosa significa?».
«Che il capo del governo ha deciso d'ignorare il nostro lavoro».

«Per quale benedettissimo motivo? Non dice a ogni intervista di voler regolare i conti con i rossi? Vatti a fidare di questi segaioli di sagrestia».
«Mi è stato detto che quando Taviani gli ha messo sotto il naso la produzione della sua squadretta dapprima è impallidito, poi ha mormorato che non poteva essere impiegata».

«Anche Scelba se la fa sotto di fronte ai comunisti?».
«Del siciliano tutto si può dire, tranne che abbia paura. Dal 1950 ci martella sulla struttura militare segreta del Pci, sul suo coinvolgimento nei delitti della Volante Rossa e del triangolo della morte in Emilia, sui rifugi offerti a molti assassini in Cecoslovacchia. Escludo che lo muova la paura».

«Ne è sicuro?».
«L'uomo è orgoglioso. Ed è anche più permaloso di una scimmia. Ne sa qualcosa la signora Luce, l'ambasciatrice americana. Non la sopporta innanzi tutto perché è donna, poi perché la ritiene troppo amica di Pacciardi, che lui vede come un nemico. Mi hanno raccontato che dinanzi alle insistenze della Luce per usare il pugno di ferro contro i comunisti le abbia risposto a brutto muso: cara signora noi siamo una democrazia, non una repubblica delle banane; certe porcherie fatele chiedere dai fratelli Dulles ai Paesi sudamericani, non a noi».

«E questo sarebbe l'anticomunista?».
«Si fidi, caro professore. Non solo è il meglio che abbiamo contro il comunismo, ma è anche uno dei pochi che non teme di affrontarli a viso aperto».
«Allora perché non sfrutta le prove che gli abbiamo fornito?».

«Ritiene che rendere pubbliche quelle prove obbligherebbe a mettere fuori legge il partito comunista e la conseguenza finale sarebbe la guerra civile». «Con quali armi? Non ne hanno più».

Il professore poggiò sul muretto libri e registi, dalla tasca interna del cappotto estrasse un foglietto. «Ecco i numeri delle armi sequestrate ai comunisti fino all'anno scorso: 173 cannoni, 719 mortai, 35 mila fucili mitragliatori, 37 mila pistole, 25 mila bombe a mano, 309 radio trasmittenti».


Dagospia 20 Novembre 2007