FERRERO NON SA COME LIBERARSI DI "LIBERAZIONE" - PERCHÉ UNA TESTATA POLITICA DI RIFERIMENTO PER L'AREA C'È GIÀ ED È 'IL MANIFESTO'. CHE AI 'FERRERIANI' PIACE MILLE VOLTE DI PIÙ (MA VENDOLA SI OPPONE).

S. N. per L'espresso

Se fosse per lui, Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, di un giornale come 'Liberazione' farebbe a meno. Anzi, investirebbe nella creazione di una tv, come Veltroni e D'Alema. Invece 'Liberazione' è lì, con i suoi 60 dipendenti (di cui 37 giornalisti a tempo indeterminato, oltre a collaboratori a tempo determinato e poligrafici) e un buco di bilancio che sfiora i 12 milioni l'anno. Di recente, poi, sono rientrati in organico ex parlamentari, come Rina Gagliardi e Francesco Forgione, e questo ha fatto lievitare ancora di più i costi. Se ci si mette anche che presto l'annunciato taglio ai fondi dell'editoria diventerà realtà, il panorama non è roseo.

Che fare, dunque, di 'Liberazione'? Ferrero, nonostante le smentite per tranquillizzare una redazione allarmata, ha le idee chiare: riduzione drastica degli organici, salvaguardia della testata e sua trasformazione in un settimanale lontano anni luce dalla connotazione di organo di partito. Perché una testata politica di riferimento per l'area c'è già ed è 'il manifesto'. Che ai 'ferreriani' piace mille volte più di 'Liberazione'.



L'alternativa è la chiusura del giornale. I 'vendoliani' del Prc, però, fanno muro: di chiudere 'Liberazione' non se ne parla. Il caso è ormai politico e preme sul futuro unitario del partito più della rivendicazione degli sconfitti al congresso: "Vogliamo il 47,3 per cento di tutto, soldi, sedi, locali e posti". Ma di spartirsi anche i debiti di 'Liberazione' neanche a parlarne.



Dagospia 19 Settembre 2008