
COMUNQUE ANDRÀ, SARANNO DAZI NOSTRI – A WASHINGTON SONO IN CORSO LE TRATTATIVE USA-UE. E GLI IMPRENDITORI ITALIANI TREMANO. NELL’IPOTESI DI DAZI RECIPROCI AL 10%, L’IMPATTO SUL NOSTRO EXPORT SARÀ DI ALMENO 5 MILIARDI DI EURO – L’ANALISI DI CERVED: “IL DANNO SAREBBE MOLTO IMPORTANTE. CONSIDERANDO IL LIVELLO DI PARTENZA DI UN DAZIO MEDIO DEL 2,5%, SI RAGGIUNGEREBBE UN 13-14%” – E MENO MALE CHE GIORGIA MELONI AVEVA AFFERMATO CHE LE TARIFFE SAREBBERO STATE “NON PARTICOLARMENTE IMPATTANTI” – CON DAZI AL 50% L'IMPATTO PUÒ SALIRE FINO A...
Estratto dell’articolo di Raffaele Ricciardi per “la Repubblica”
DONALD TRUMP MOSTRA LA TABELLA CON I NUOVI DAZI
Un dazio che «fa male» ma è tutto sommato gestibile. Oppure un colpo «ben più grave», che potrebbe avere «impatti rilevanti su alcune categorie di prodotto, mettendole fuori mercato» e «avviare un effetto di rallentamento sistemico sulle economie».
Per non parlare dell'opzione più estrema, di fronte alla quale ogni strategia di risposta da parte delle aziende rischia di essere scritta sulla sabbia in una giornata di mare mosso.
Il barometro della tensione è a mille in attesa di capire che piega prenderanno le discussioni tra Ue e Usa sulle tariffe doganali. E le conseguenze per le imprese italiane possono variare a seconda dei tre scenari di cui sopra, descritti da Serenella Monforte, responsabile delle analisi settoriali di Cerved.
GIORGIA MELONI AL TAVOLO CON TRUMP ALLA CENA DEL VERTICE NATO DELL'AJA
Il primo caso, quello considerato «di base» ossia più probabile nel Cerved industry forecast, sposa l'idea di tariffe reciproche al 10%, con gli innalzamenti per alcuni settori specifici come acciaio-alluminio, auto, elettrodomestici. Il punto di caduta per il quale firmerebbero molte cancellerie europee.
Se questo venisse cristallizzato dalle diplomazie commerciali, Cerved calcola che la perdita complessiva di fatturato per le imprese italiane dovrebbe superare i 5 miliardi di euro. Un calcolo svolto sui bilanci di 750mila aziende, tenendo conto dell'elasticità al prezzo dei vari prodotti esportati (chi compra una Ferrari continua a farlo anche con un +10% di listino, lo stesso non si può dire per un macchinario sostituibile da altre geografie) e l'effetto sulle filiere.
«Il danno sarebbe molto importante: considerando il livello di partenza di un dazio medio all'import Ue negli Usa del 2,5%, si raggiungerebbe un 13-14% considerando anche i maggiori costi di compliance e doganali», spiega Monforte. «Ma sarebbe tutto sommato gestibile».
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Lo scatto successivo ipotizza un dazio che sale al 20% da luglio. Qui il conto salirebbe a oltre 10 miliardi di fatturato, «ma bisogna considerare che alcuni prodotti finirebbero fuori mercato: penso al vino, all'olio, a tutti quelli che sono sostituibili», spiega ancora Monforte. E poi «l'effetto sulle economie mondiali sarebbe ancora più marcato, con un probabile rallentamento di consumi, investimenti, persino viaggi: infatti aumenterebbe il peso delle perdite di filiera rispetto allo scenario "di base". I tagli agli outlook sovrani di Moody's di mercoledì sono una prima spia.
prodotti italiani esportati negli usa
I comparti della componentistica elettromeccanica e quello dei metalli subirebbero una perdita di fatturato superiore ai 2 miliardi, seguiti dai prodotti alimentari e bevande di largo consumo. Importanti le perdite per la farmaceutica, il sistema moda e i mezzi di trasporto. Il terzo esercizio, che si spera rimanga tale, è quello dei dazi al 50% minacciati da Trump nei mesi scorsi. Il che significherebbe una rottura delle trattative e la perdita arriverebbe a 29 miliardi, calcola Cerved.
MEME SU DONALD TRUMP GOLFISTA E DAZISTA
E dire che le cose potrebbero non andare così male per l'Italia Spa. «La parola "resilienza" è stata forse abusata, ma è la migliore per descrivere come le aziende italiane sono arrivate a questa fase di estrema incertezza», racconta Monforte.
Prima la batosta improvvisa del Covid; poi lo shock energetico con la guerra in Ucraina; infine gli innumerevoli focolai di tensione geopolitica, dal Mar Rosso in giù: «È come se avessero innalzato la soglia di tolleranza all'incertezza delle nostre imprese», spiega Monforte. [...]