A NOI LA CINA VA DI LUSSO - MENTRE IN ITALIA SI COMPRA SEMPRE DI PIÙ MERCE CINESE PERCHÉ PIÙ ECONOMICA, IN CINA SI POSSONO PERMETTERE IL CONSUMISMO SENZA LIMITISMO E SPOPOLANO I MARCHI DI LUSSO ITALICI: IL 23% DEL NOSTRO MERCATO, IN TESTA ABBIGLIAMENTO E PREZIOSI) - A VIA CONDOTTI SPUNTANO COMMESSE CINESI CHE NON PARLANO ITALIANO, TANTO SONO POCHI QUELLI CHE POSSONO PERMETTERSI GIACCHE DA 2 MILA EURO...

Rita Fatiguso per "Il Sole 24 Ore"

Solo per pochi e, rigorosamente, su misura. Alle classi emergenti cinesi gli acquisti di gran lusso piacciono proprio così, oggetti esclusivi e di marca, e buon per noi, perché solo abili mani italiane possono sfornare prodotti raffinatissimi come la pochette di Leu Locati fotografata tra le mani di Liu Yongqing, moglie del presidente in carica Hu Jintao. O le calzature di Silvano Lattanzi per le quali le sedute di prova, come gli esami, non finiscono mai. Oppure i prestigiosi yacht Ferretti ora nell'orbita della cinese Weichai e, non è un caso se a Shanghai già si registra un balzo negli acquisti del 30 per cento.

Casi eccellenti che fanno da traino per i prodotti di fascia media di qualità sempre, beninteso, in odore di italianità, elemento considerato ormai irrinunciabile per i consumatori locali, sempre più consapevoli della bontà del made in Italy più autentico.

Lunga vita al mercato cinese, dunque, che tra tutti è quello più promettente, non fosse altro perché sta crescendo a passi veloci. Una ragione è di tipo essenzialmente culturale e riguarda il cambio di marcia del consumatore benestante.

«L'ostentazione di oggetti preziosi come status symbol è un fenomeno di matrice occidentale - spiega Lelio Gavazza, ex Ermenegildo Zegna, a capo dell'espansione di Bulgari in Cina, insomma uno che se ne intende di Cina e lusso - ma l'elite economica cinese, principale consumatrice di beni di lusso, ha progressivamente moltiplicato il proprio potere d'acquisto allineandosi a mercati ben più maturi del loro».

«Oltre al mercato dei preziosi - continua Gavazza -, ad esempio l'oro che, secondo il World Gold Council, vede la Cina assorbire il 25% del mercato globale, tra i principali traini economici di questi ultimi anni si sono piazzati i grandi marchi occidentali del lusso visti, ancora più che in Occidente, come irrinunciabili status symbol».

Insomma, i cinesi hanno imparato la lezione e, nonostante l'inesorabile crescita della valuta (in un anno l'apprezzamento del renminbi sull'euro è stato dell'8%) in Cina continuano ad aumentare anche i consumi dei beni del settore del luxury, aumentati del 20% nell'ultimo anno (rispetto al 4% stimato in Europa e il 7% nell'intero continente americano) tanto da portare la Cina ad essere il secondo mercato mondiale per i beni del lusso dopo gli Stati Uniti.

Aggiunge Beatrice Spagnoli, autrice con Lelio Gavazza di un approfondimento sul tema del lusso per conto dell'Osservatorio Asia, «nonostante le previsioni di rallentamento dell'economia cinese, e si tratta di tassi che rimangono abbondantemente superiori alle aspettative di crescita di Europa e Stati Uniti, insieme all'economia cinese continuano a crescere i consumi nei beni di lusso, in binomio con la valuta cinese. Va da sè che il mercato cinese, con la sua crescita, ha indubbiamente aiutato, e sta aiutando, l'economia a mantenere alto il valore del nostro prezioso made in Italy».

Valutazioni che collimano con quelle di altre fonti di rilevazione. Se le esportazioni italiane crescono a due cifre (+12,2% nel 2011), come segnala un rapporto del servizio studi e ricerche di Intesa Sanpaolo dedicato al «Sistema moda italiano e le relazioni con la Cina», cresce, in parallelo, l'importazione di beni della moda di alta gamma nelle quali l'Italia eccelle. Il 13,6% è la quota imputabile a prodotti di alta qualità, contro il 4,4% e l'1,7% di quelli definibili di media e bassa qualità.

Ebbene, le importazioni cinesi di beni del sistema moda di alta gamma sono cresciute a ritmi elevati negli ultimi anni, arrivando a rappresentare oltre un terzo delle importazioni cinesi di beni del sistema moda, passando dal 26 al 34% in poco meno di un decennio.

La Cina è assetata di beni di lusso nel tessile, negli accessori, nell'abbigliamento, nella pelletteria. Per Fabrizio Guelpa, responsabile del servizio studi e ricerche dell'istituto di credito «le difficoltà della domanda interna renderanno ancora più importante la capacità delle imprese italiane della moda di sfruttare le opportunità sui mercati esteri e, nonostante la revisione al ribasso, la domanda mondiale si mostrerà comunque dinamica, in particolare nei paesi di più recente industrializzazione, soprattutto in Cina».

«Negli ultimi anni è aumentata la propensione ad importare beni di alta gamma della moda da parte dei paesi emergenti, Cina in testa - precisa Fabrizio Guelpa - nel prossimo futuro questa tendenza sarà sostenuta dall'innalzamento dei redditi, favorendo l'offerta del Made in Italy. Certo, molte imprese italiane sembrano pronte a cogliere questa sfida e molte sono già attive in questa direzione, con buone quote di mercato. Rimane, tuttavia, il rischio di una nuova riduzione della base produttiva italiana, in particolare tra le imprese più piccole che faticano a trovare la strada dell'export».

Per questa ragione alcune categorie di imprese, ad esempio le industrie tessili che fanno parte di Sistema moda italia (Smi), ma non solo, hanno aperto un ufficio in Cina che funziona da punto di riferimento anche per aziende di mediopiccole dimensioni alle quali sta offrendo, con la collaborazione di istituti di credito, prodotti su misura per finanziare e favorire i loro rapporti commerciali con La Cina. Prima che gli spazi di manovra si richiudano prima ancora di essere stati occupati.

 

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