TURBOLENZE PERICOLOSE - RAGNETTI AI DIPENDENTI ALITALIA: “NON CREDETE ALLE IMPROBABILI E DILETTANTESCHE ANALISI APPARSE SUI GIORNALI” - ALLA VIGILIA DEL VIA LIBERA ALLA VENDITA DELLE AZIONI: “LE PROSPETTIVE DI SVILUPPO RIMANGONO INTATTE E SONO BEN DELINEATE NEL NOSTRO PIANO STRATEGICO” - A PROPOSITO DI STRATEGIA: PUNTARE TUTTO SULLA ROMA-MILANO MENTRE IMPAZZANO I TRENI VELOCI, CHE GENIALATA’ – ZINGARETTI CONTRO L’ALLARGAMENTO DI FIUMICINO…

1 - RAGNETTI SCRIVE AI DIPENDENTI: SU ALITALIA GIOCHI ELETTORALI
A. Bac. per il "Corriere della Sera"

Cari colleghi...
Andrea Ragnetti, amministratore delegato di Alitalia ha scritto ai dipendenti per spiegare che «Alitalia, pur in presenza del continuo deterioramento dell'ambiente macroeconomico», presenta «risultati negli ultimi due trimestri in linea con le nostre previsioni, ed in continuo miglioramento».

Una smentita a quelle che Ragnetti definisce «le speculazioni più improbabili su variazioni nel nostro azionariato, insinuazioni pesantissime sullo stato dei nostri conti e sulla sostenibilità economica di Alitalia, critiche di vario genere alle scelte strategiche aziendali, corredate di improbabili e spesso dilettantesche analisi sulle "cose da fare"», apparse sui giornali.

Ricostruzioni prevedibili alla vigilia della scadenza del lock up che lega gli azionisti al possesso delle quote e che ha scatenato una ridda di ipotesi sulla vendita della compagnia. Ma per Ragnetti tutto si spiega «alla luce del momento pre-elettorale». A far saltare i nervi a Ragnetti ieri mattina, anche la chiusura della «corsia veloce» di Fiumicino che l'ad attribuisce a «una polemica pretestuosa su presunti mancati pagamenti» da parte di Aeroporti di Roma.

Il consiglio di Ragnetti ai lavoratori è «ignorare questo rumore di fondo» e concentrarsi sul lavoro e sulle «prospettive di sviluppo che rimangono intatte e sono ben delineate nel nostro piano strategico». Chissà che ne pensa il presidente Roberto Colaninno, che sull'onda di quei rumors ha visto volare in Borsa il titolo della sua Immsi, azionista di Alitalia.

2 - ALITALIA, COSÌ POLITICA E MANAGER HANNO AFFOSSATO LA ROMA-MILANO
Daniele Martini per il "Fatto quotidiano"

Alla vigilia del giorno libera-tutti nel quale ai «patrioti» di Silvio Berlusconi è permesso di darsela a gambe levate vendendo le azioni acquistate nel 2008, emerge che non è colpa del destino cinico e baro se l'Alitalia è di nuovo ad un passo dal fallimento. Il secondo crack in appena quattro anni. Il mandante del delitto ha un nome preciso: si chiama politica. La cattiva politica che con attori e interpreti diversi ha condizionato Alitalia prima e seconda maniera tenendola lontana mille miglia da un approccio sano al business del trasporto aereo.

Ai tempi della società statale la mala politica ha svilito l'azienda al rango di ancella dei partiti, imponendo scelte strampalate ed illogiche, degradando le piste a prateria per scorribande clientelari ed elettorali, ruberie, nepotismi e via elencando. Poi dopo, privatizzandola senza capo né coda in omaggio ad un'italianità esibita da Berlusconi come specchietto per le allodole elettorali, l'ha condannata ad una vita inevitabilmente grama.

Ora, in attesa che si compia ciò che era già scritto nei fatti, la compagnia, ormai ridotta a rango regionale, svalutata e spompata, aspetta di finire verosimilmente in bocca ad Air France che gioca con Alitalia come il gatto con il topo o a qualche altro vettore globale, come ad esempio Ethiad dell'emiro di Abu Dhabi, che la prenderebbe per usarla come semplice portatrice d'acqua.


I manager che si sono succeduti a Fiumicino ci hanno messo del loro, ovviamente, basterebbe pensare a Giancarlo Cimoli, l'amministratore che tra le macerie ha salutato l'azienda dopo essersi infilato in tasca oltre 5 milioni di euro di buonuscita. Tutti però hanno un'attenuante: aver agito in stato di costrizione politica. E nello stesso tempo un'aggravante: non aver fatto nulla per sfuggire alla morsa, accomodandosi spensierati dietro ben remunerate scrivanie, come topi nel formaggio.

All'interno di questo quadretto non proprio idilliaco, si capisce meglio il senso di scelte apparentemente illogiche, come quella di battere la testa contro il muro di Malpensa per quasi un decennio rimettendoci un tesoro di quattrini. O di puntare tutte le carte sulla tratta Roma-Milano, come se nel frattempo i binari dell'Alta velocità ferroviaria da perenne cantiere non fossero diventati realtà, e le Ferrovie statali di Mauro Moretti e la Ntv di Luca Cordero di Montezemolo non avessero organizzato treni (Frecce e Italo), capaci di collegare le due metropoli con tempi e tariffe assolutamente concorrenziali con quelle dell'aereo.

La dirigistica e anticoncorrenziale imposizione berlusconiana di regalare nell'estate 2008 ad Alitalia ancora per qualche anno il monopolio di quella tratta, si è rivelata quindi una specie di disperata respirazione bocca a bocca ad un corridore in debito di ossigeno, caduto definitivamente questo autunno quando sottratta dall'Antitrust al diktat berlusconesco la linea è stata aperta ad altri, a cominciare da EasyJet.

Anche l'idea di Berlusconi di negare Alitalia all'acquisto di Air France è stata un dannoso e costoso bluff politico: i francesi hanno risparmiato un bel po' di soldi, ma nel frattempo la compagnia italiana è diventata ugualmente gregaria dei transalpini, costretta a svenarsi trasportando passeggeri a Parigi e quindi a concentrarsi su un medio raggio dove corrono le lepri low cost e ad abbandonare mete prestigiose e redditizie tipo quelle del Nord America, come è successo di recente con Newark (New York), a cui in fretta e furia è stato preferito l'improbabile scalo di Fortaleza nel nordest del Brasile.

A Malpensa Alitalia l'obolo lo ha pagato soprattutto alla Lega. Secondo calcoli ufficiosi, ma assolutamente attendibili dei dirigenti della compagnia, l'incaponimento sull'aeroporto varesino è costato in un decennio, fino all'aprile 2008, data dell'abbandono definitivo, tra i 3 e i 4 miliardi di euro di perdite mentre nel frattempo la politica non era in grado o si rifiutava di ridimensionare lo scalo di Linate.

Qualche manager Alitalia, per la verità ha anche provato a dare un taglio a Malpensa, ma poi si sono fermati come al cospetto della Muraglia cinese non osando sfidare i veti lumbard di Umberto Bossi e Roberto Maroni che sulla scalo avevano piantato il bandierone color verde leghista. Ora, è notizia di ieri, Malpensa si ingrandisce, ma Alitalia non c'è più. Mentre a Fiumicino Alitalia c'è, ma contro l'allargamento dell'aeroporto si schiera Nicola Zingaretti, candidato Pd alla presidenza della Regione.

 

ragnettialitalia logo passeggeroCOLANINNO E RAGNETTI ANDREA RAGNETTI E ROBERTO COLANINNONicola Zingaretti AEROPORTO FIUMICINO Aeroporto Fiumicino

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