1. GLI AMBIENTI DELLA FINANZA MILANESE ASSISTONO CON GRANDE GODURIA ALLA PROIEZIONE DEL FILM: “I PREDATORI DELL’ITALIA PERDUTA”: GENERALI, MEDIOBANCA E INTESA NON VEDEVANO L’ORA DI METTER FINE AL BAGNO DI SANGUE CHE NELL’ARCO DI POCO PIÙ DI UN DECENNIO HA PORTATO TELECOM DA UN VALORE DI 55 MILIARDI AI 7,5 DI OGGI 2. TELEFONICA NON HA I PIEDI D’ARGILLA: È UN COLOSSO DUE VOLTE PIÙ GRANDE DI QUELLO ITALIANO CON 63 MILIARDI DI RICAVI E UN MARGINE OPERATIVO LORDO DI 23 MILIARDI 3. TRA LE STAR DE “I PREDATORI DELL’ITALIA PERDUTA” C’È UN PERSONAGGIO DI MEDIOBANCA CHE NELLE ULTIME SETTIMANE HA LAVORATO DIETRO LE QUINTE: IL CONTE GALATERI 4. CHI SGOMITA IN FINMECCANICA È GIUSEPPE BONO, CHE NON VEDE L’ORA DI METTERE SOTTO LA CAPPELLA DI FINCANTIERI LE TRE AZIENDE “CIVILI” PER CREARE UN UNICO AGGLOMERATO

1. BENVENUTI ALLA PROIEZIONE DEL FILM: "I PREDATORI DELL'ITALIA PERDUTA"
Gli ambienti della finanza milanese assistono con grande attenzione alla proiezione del film: "i predatori dell'Italia perduta" che si sta proiettando da lunedì mattina quando è uscita la notizia sulla scalata degli spagnoli a TelecomItalia.

La pellicola non è ancora arrivata alla fine ed è probabile che ci saranno colpi a sorpresa capaci di far palpitare il cuore di chi ha messo i soldi dentro l'azienda di Franchino Bernabè.

Un fotogramma strappalacrime si è visto ieri pomeriggio sul canale televisivo Class CNBC dove è apparso Franco Lombardi, l'uomo che difende gli interessi dei piccoli risparmiatori. Costui è un ingegnere piuttosto tarchiato che per 35 anni ha lavorato nelle telecomunicazioni lasciando l'incarico di dirigente nel 2002 dopo l'Opa di Colaninno. Era davvero commovente vederlo mentre, senza chiedere la testa di Bernabè, invocava l'arrivo di un cavaliere bianco che prima del 3 ottobre quando si riunirà il cda di Telecom, metta sul piatto i miliardi che servono per evitare il disastro e portare al macello il parco buoi di 600mila piccoli azionisti.

Probabilmente questa immagine non ha creato alcuna emozione nei soci forti di Telco che non vedevano l'ora di metter fine al bagno di sangue che nell'arco di poco più di un decennio ha portato l'azienda da un valore di 55 miliardi ai 7,5 di oggi.

Questo spiega perché ieri anche le Generali ,che posseggono il 30,6% della scatola di controllo di Telecom, abbiano emesso un comunicato dai toni quasi euforici in cui si leggeva che la svalutazione della quota sarà pari a circa 65 milioni e consentirà "di guardare con ottimismo alla distribuzione di un dividendo soddisfacente a fine anno".

Questo risultato arriva dopo gli incontri del vicepresidente della Compagnia assicurativa, Francesco Gaetano Caltariccone nelle stanze di Mediobanca dove ha ricordato che non più tardi di qualche mese fa il Leone di Trieste è stato costretto a svalutare la sua quota in Telco per 560 milioni.

A questo punto è evidente che di fronte alle lacrime dei 600mila piccoli azionisti i soci forti sentono di dovere un po' di gratitudine a quel Bernabè che spalancando la porta agli spagnoli ha consentito di togliere le castagne dal fuoco in una partita micidiale che ha visto il titolo scivolare in Borsa.

Oggi Franchino, faccia d'angelo, si è presentato al Senato e con l'innocenza dimostrata quando a suo tempo ha decapitato i vertici dell'Eni, ha detto di aver saputo soltanto dai comunicati stampa che gli spagnoli hanno intenzione di prendere il controllo totale della sua azienda (un concetto che ieri aveva negato, con una distinzione da sofista incallito, tra la crescita di Telefonica in Telco e la sorte futura di Telecom). È probabile che la sua virtù di giocoliere sia stata particolarmente apprezzata nelle stanze di Mediobanca, l'Istituto che esce da Telco con 60 milioni di utili.

Nessuno finora ha detto che tra i protagonisti del film "i predatori dell'Italia perduta" c'è un personaggio di Mediobanca che nelle ultime settimane ha lavorato dietro le quinte senza farsi accecare dai riflettori. Quest'uomo dal volto perennemente abbronzato e sorridente è il conte Gabriele Galateri, figlio di un alto ufficiale dell'esercito discendente della nobile famiglia piemontese dei conti di Suniglia e di Genola.

Per ciò che si è capito nelle ultime ore, questo 66enne che ad aprile di due anni fa è diventato presidente delle Generali, è sempre stato considerato (anche da quel sito disgraziato di Dagospia) un uomo che quando al mattino si fa la barba bacia lo specchio perché vede riflesso nella sua persona il profilo mitologico della dea fortuna.

A dimostrazione del suo excursus straordinario c'è il curriculum che lo vede entrare negli anni Settanta al Banco di Roma e poi, dopo una breve parentesi nel gruppo Saint Gobain in Italia e a Parigi, alla corte dell'Avvocato Agnelli. Le madame torinesi che prendono il tè in piazza San Carlo insinuano con malignità che il volo professionale di Galateri sia iniziato grazie all'amicizia sportiva nata sulle nevi del Sestriere tra la moglie Evelina Christillin e Gianni Agnelli.

Resta il fatto che nel '77 il conte piemontese entra in Fiat chiamato da Romiti e nove anni dopo diventa amministratore delegato dell'Ifil, la cassaforte della Sacra Famiglia torinese. Il 27 giugno 2002 i suoi talenti, fortunosi o fortunati che siano, lo portano al vertice della Fiat come amministratore delegato a fianco di Paolo Fresco, ma già nel '97 si trova tra le mani il dossier di Telecom che porta alla decisione di Umberto Agnelli di controllare l'azienda telefonica con il nocciolino duro dello 0,7% di azioni. A lui si deve la scelta infelice di Gian Mario Rossignolo, il manager cacciato dopo soli dieci mesi che pochi mesi fa è finito in carcere per disavventure finanziarie.

Resta il fatto che la passeggiata di Galateri nelle stanze del potere continua dopo la Fiat e prosegue in Mediobanca dove lavora (si fa per dire) dal 2003 al 2007 quando il Comitato nomine di piazzetta Cuccia lo sceglie come presidente di TelecomItalia al posto del baffuto ingegnere Pasquale Pistorio.

Fin qui la carriera irresistibile del conte piemontese, ma sarebbe una lacuna gravissima ignorare che dopo la laurea in legge, l'ineffabile marito di Evelina ha preso un master alla Columbia University. Nelle aule dell'università americana Galateri si tiene lontano dalle tentazioni di Harlem e stringe un'amicizia al cemento con Cesar Alierta, l'attuale capo di Telefonica.

A distanza di quattro decenni il rapporto tra i due non solo rimane inalterato ma si rafforza perché entrambi hanno quella che in Spagna chiamano "discreciòn", la rara virtù della riservatezza che in Italia valeva ai tempi di Enrico Cuccia e di pochi altri capitani di avventura. Dal rapporto tra i due nasce l'invito che Galateri rivolge al manager di Saragoza di due anni più giovane, di entrare nel 2007 dentro Telco comprando le azioni a 2,85 euro.

Agli occhi di Telefonica l'operazione sembrò favorevole non tanto per la "discreciòn" di Galateri, ma per le prospettive di allargare l'impero guidato da Alierta dal luglio 2002 nel ricco mercato dell'America Latina dove Telecom ha macinato utili enormi grazie anche a quel Luca Luciani che Franchino nella sua lungimiranza manageriale si è tolto dai coglioni.

Nell'arco di sei anni la gallina d'oro di Telecom ha perso le penne ed è dimagrita paurosamente, ma questo non impedisce alla Telefonica di oggi di dare l'assalto al fortino italiano. Qualcuno insiste a dire che i 51 o addirittura 55 miliardi di debiti degli spagnoli aggiunti a quelli di TelecomItalia a rendono impraticabile una politica di investimenti.

Bisogna però ricordare che Telefonica è un colosso due volte più grande di quello italiano con 63 miliardi di ricavi e un margine operativo lordo di 23 miliardi, quindi non è un player dai piedi d'argilla, e che a differenza di Telecom, ha una strategia non conservativa ma espansiva che guarda all'Europa e all'America Latina.

Ciò non significa che il suo percorso per spolpare i resti della gallina dalle uova d'oro sia facile, anche se d'ora in avanti potrà contare sempre sul vecchio amico di università Galateri fino al punto, in caso di successo, di farlo diventare Presidente della nuova Telecom.

2. CHI SGOMITA IN FINMECCANICA È GIUSEPPE BONO, IL CAPO DI FINCANTIERI CHE NON VEDE L'ORA DI METTERE SOTTO LA SUA CAPPELLA LE TRE AZIENDE "CIVILI" PER CREARE UN UNICO AGGLOMERATO
Gli uscieri di Finmeccanica hanno deciso di mettere il catetere al cervello.
Nelle ultime settimane non riescono più a far defluire i neuroni che consentono di raccapezzarsi sul futuro del Gruppo di piazza Monte Grappa.

Oggi accompagneranno il board nella sala del settimo piano dove il ragioniere Alessandro Pansa fara' un aggiornamento sulla vendita di Ansaldo Energia. Dopo l'incontro con i sindacati e le polemiche sui "capitanidi sventura" è diventata più sostanziosa la volontà di cedere gli asset "civili" e di aprire le porte ai coreani di Doosan e agli americani di General Electric interessati al catorcio Ansaldo Breda.

La scelta sta diventando ancora più urgente per la bocciatura del titolo a spazzatura, una botta tremenda che il mite Marco Forlani sta cercando di rintuzzare con qualche articoletto di modesta fattura sui giochetti delle agenzie di rating.

Peraltro corre voce che il presidente Gianni De Gennaro, insediato all'inizio di luglio, sia molto infastidito per non dire incazzato, da chi vuole attribuirgli la decisione di far uscire dal perimetro aziendale le aziende che non operano nel settore dello spazio e della sicurezza.

In realtà l'ex-superpoliziotto non sembra che si sia speso molto per questa strategia e che nel suo recente incontro di due ore con Giuseppe Zampini, il manager di Ansaldo Energia, abbia dimostrato attenzione senza ulteriori suggerimenti.

Chi invece sgomita fuori dal palazzo è Giuseppe Bono, il capo di Fincantieri che non vede l'ora di mettere sotto la sua cappella le tre aziende "civili" per creare un unico agglomerato. Il 69enne manager calabrese sa che questo è il capolavoro finale di una carriera che è cominciata nel 1963 e lo ha portato prima ai vertici dell'Efim poi nel 2000 a quelli di Finmeccanica.

Con l'arrivo due anni dopo del maremmano Guarguaglini sono scoppiati i fuochi d'artificio e Bono insieme a una assistente che in Fincantieri chiamano la czarina, è approdato alla società che costruisce le grandi navi militari e i megayacht. Per lui sta arrivando l'ora della rivincita, ma gli uscieri di Finmeccanica attrezzati di catetere intellettuale, pensano che ancora una volta la politica si metterà di mezzo per rendere la vita difficile all'idea dello spezzatino del ragioniere Pansa.

3. LA MINA CHE E' ESPLOSA NEL CAMPO DELLA COMUNICAZIONE: MINA PICCININI
Avviso ai naviganti: "Si avvisano i signori naviganti che nel mondo della comunicazione ha preso quota il nome di una bella donna di nome Mina Piccinini che a soli 39 anni ha maturato una lunga esperienza nel Gruppo Fiat e in Ferrari.
A suo merito va il successo riportato nei giorni del recupero della nave Concordia di Costa Crociere, la società dove la Piccinini ha l'incarico di responsabile per la comunicazione e la sostenibilità".

 

bernabee mucchettiBERNABE E MUCCHETTI GYNGT SE kU B U CP x LaStampa it Home Page BERNABE cb a b f ee ktYD U WRB x LaStampa Mucchetti e Caltagirone ALIERTA Massimo Mucchetti e Francesco Gaetano Caltagirone SQUINZI CECCHERINI E GALATERI A BAGNAIA EVELINA CHRISTILLIN CON AGNELLI mario greco MARCO TRONCHETTI PROVERA E ALBERTO NAGEL FOTO BARILLARI Alberto Nagel article Gianni De GennaroGianni De GennaroGiuseppe Bonomina-piccinini

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